di Maria Cariota
Per il calo dei volumi chiude il centro di smistamento ed è a rischio l’apertura del nuovo stabilimento costruito su terreni agricoli
“Riteniamo incomprensibile la decisione del colosso Amazon, oltre che fredda e distaccata, senza preavviso minimo e senza alcun interesse né comprensione o attenzione per i lavoratori e le famiglie che si troveranno senza lavoro e senza reddito già da fine luglio. Dietro un sito produttivo c’è un tessuto sociale che, con atteggiamenti simili, si sgretola sotto i colpi di una multinazionale”. Il comunicato della Filt Cigl Piemonte del 15 giugno scorso esprime così la rabbia dei dipendenti della Afs Service s.r.l., che si trova nell’interporto di Orbassano, prima cintura di Torino.
A metà giugno Amazon ha fatto sapere che, dal 1° agosto, non rinnoverà il contratto di fornitura di servizi di smistamento e cross docking di merci con la Afs Service, che, dall’agosto 2020, dopo aver destinato ingenti investimenti e predisposto gli ambienti ad hoc, opera esclusivamente per tale commessa. Come hanno spiegato i lavoratori di Afs in occasione dello sciopero del 23 giugno, la conseguenza di tutto ciò sarà la chiusura del centro e la perdita di 147 posti di lavoro (87 dipendenti assunti a tempo indeterminato, 50 in somministrazione e 10 addetti alla sicurezza).
Amazon in una nota ha precisato: “La cessazione del contratto AFS si basa su considerazioni commerciali, a seguito di un’approfondita valutazione della nostra rete logistica, in risposta all’evoluzione dei requisiti operativi.” Il sindacato spiega che la multinazionale ha deciso di affrontare in questo modo il calo delle vendite, che sta interessando la società ad ogni livello, locale e nazionale. Alcuni osservatori collegano i tagli al personale, che si stanno verificando in Italia e all’estero, anche con la volontà di investire in robot, risparmiando sulla forza lavoro umana.
I lavoratori di Afs chiedono di essere ricollocati nel polo logistico Amazon che è stato appena realizzato ad Orbassano un chilometro più in là, ma la multinazionale sembra escludere questa possibilità. Il nuovo polo, che si trova tra via Agnelli e strada Stupinigi, non è stato ancora attivato, proprio – dice l’Afs – per la riduzione dei volumi.
Il nuovo insediamento fu presentato dal colosso statunitense come un progetto di “impatto occupazionale oltremodo significativo”, che avrebbe “impiegato 484 operatori per turno”. Una previsione che per ora risulta smentita. Eppure durante il procedimento di approvazione la creazione dei posti di lavoro è stata particolarmente esaltata dai media e dall’amministrazione ed è stato uno degli elementi principali su cui l’amministrazione ha fatto leva per far accettare ai cittadini la trasformazione.
Il polo logistico ha cancellato 130.000 mq di terreni agricoli
Il nuovo polo si è mangiato quasi 130.000 mq di terreni agricoli che venivano coltivati a mais e frumento, per realizzare un capannone di più di 36.000 mq, aree a parcheggio e spazi per la movimentazione delle merci (la superficie territoriale del progetto è di 195.600 mq), compromettendo l’uso agricolo anche del poco suolo libero rimasto accanto. Nel procedimento conclusosi alla fine del 2021 non sono state accolte le osservazioni delle associazioni Pro Natura e Legambiente e del Forum Salviamo il Paesaggio, che evidenziavano gravi lacune e incongruità: palese contrasto con le norme del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, ricorso alla Variante semplificata al Piano Regolatore e mancata attivazione della Valutazione Ambientale Strategica, inadeguatezza delle compensazioni (risalite dei pesci, piste ciclabili, riforestazioni in altre parti della città), insufficiente e frettolosa analisi delle aree alternative, mancata considerazione della natura non rinnovabile della risorsa suolo e della perdita irreversibile delle funzioni ecologiche da esso prodotte. Se 1 ettaro di terreno in un anno produce cibo mediamente per 6 persone, la costruzione di questo polo logistico ha comportato una perdita della capacità di produzione alimentare media annua sufficiente per soddisfare circa 120 persone.
Alle pesanti conseguenze ambientali non è stato fatto cenno durante l’evento che il Comune di Orbassano ha organizzato l’11 novembre 2022, per festeggiare in pompa magna la piantumazione del primo alberello della riforestazione del Parco Ilenia Giusti (che dovrebbe essere accompagnata dal capping di copertura della ex discarica che si trova all’interno del parco), una delle compensazioni ambientali promesse da Amazon. Un’iniziativa per la stampa, in cui sono stati invitati a parlare autorità locali, funzionari e la Vailog s.r.l., la ditta costruttrice dell’enorme edificio per la logistica. Anche quel giorno la sindaca Cinzia Maria Bosso (riconfermata nelle elezioni del maggio scorso) ha tenuto a ribadire: “Ringrazio tantissimo chi decide di venire ad investire nei nostri territori. Attenzione in primis al lavoro e alle opportunità che arrivano sul nostro territorio, senza tralasciare l’ambiente. Una comunità che lavora è una comunità che cresce, questo per noi è importante”.
Il Comune ha incassato più di 2.800.000 euro per oneri di urbanizzazione
Con la chiusura della Afs e il mancato assorbimento dei 147 dipendenti nel nuovo polo si comincia a capire che molto probabilmente le promesse legate alle opportunità di lavoro non verranno mantenute, come accade spesso al gigante dell’e-commerce guidato da Bezos. Mentre la tutela dell’ambiente non solo è tralasciata ma diventa uno slogan esibito, dietro il quale nascondere i reali impatti dell’operazione. L’amministrazione ha fortemente voluto Amazon ad Orbassano e in questo avrà probabilmente pesato molto l’entrata nelle casse comunali di 2.386.703 di euro a titolo di oneri di urbanizzazione (tra opere eseguite direttamente e quelle per cui sono stati versati i contributi), più 476.695 di euro per l’esecuzione delle compensazioni ambientali. Vantaggi economici notevoli per i centri medio-piccoli, che, come ha evidenziato il SNPA, sono quelli in cui stanno atterrando i centri logistici, che insieme alla grande distribuzione organizzata, costituiscono una delle principali cause di consumo di suolo nel nostro paese.
Amazon vuol dire pessime condizioni di lavoro e costi ambientali pesantissimi
In Italia Amazon sta crescendo sempre di più; tra il 2020 e il 2021 ha raddoppiato gli impianti. Portando un modello spietato, basato sul lavoro precario, un continuo ricambio di lavoratori, condizioni di lavoro terribili (compiti faticosi e ripetitivi, catena di montaggio con ritmi frenetici, turni e orari massacranti – come confermano anche gli operatori di Orbassano -). Sviluppando un’economia che distrugge il commercio dei negozi di vicinato, aumenta in modo preoccupante la quantità di imballaggi e di rifiuti (anche per la distruzione dei prodotti invenduti), aumenta il traffico, distrugge per sempre suolo agricolo e naturale.
Quando cominceranno i Comuni a considerare gli effettivi costi ambientali, economici e sociali dell’insediamento dei centri logistici?