di Serena Mattia
“Terreni e suoli sono risorse fragili e limitate, soggette alla pressione di una sempre crescente ricerca di spazio: l’espansione urbana e l’impermeabilizzazione del suolo consumano la natura e trasformano preziosi ecosistemi in deserti di cemento” (Commissione Europea, 2021).
Ma perché il suolo è una risorsa limitata? Dobbiamo pensare che l’acqua copre circa il 75% della superficie (oceani, laghi, fiumi), il 25% rimanente rappresenta le terre emerse, di questa percentuale però circa la metà è rappresentata da aree desertiche o polari, zone montuose, tutte improduttive e inospitali.
Il 12,5% rimanente rappresenta il suolo fertile che abbiamo a disposizione e che compete con tutte le altre esigenze umane, in primis l’urbanizzazione.
Dovremmo quindi tutelare questa piccola percentuale che sostiene la nostra vita e invece agiamo come se avessimo a disposizione una risorsa illimitata, i dati dell’ultimo rapporto ISPRA sul consumo di suolo lo dimostrano.
Nell’ultimo anno consumati 21 ettari al giorno
In un solo anno sono stati consumati 76,8 chilometri quadrati di territorio, con una media di circa 21 ettari al giorno, il valore più elevato degli ultimi 11 anni.
Anche la velocità del consumo è aumentata: ogni secondo vengono persi 2.4 metri quadrati di suolo.
Le aree agricole cementificate ammontano a 4.500 ettari, troppi considerando che la superficie agricola utilizzata (SAU) è in continua riduzione con conseguente deficit produttivo e importazioni dall’estero.
La riduzione e la cementificazione delle superfici agricole, inoltre, modificano inevitabilmente la struttura del paesaggio agrario, ovvero “quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale”, per citare le parole di Emilio Sereni. È così che si perde l’identità dei luoghi e l’impronta culturale che da quell’identità deriva.
Ma questo non è l’unico dato a destare preoccupazione.
Aree a pericolosità idraulica, sismica e da frana
L’8,6% della superficie edificata nazionale ricade in area a pericolosità da frana; il 36,2% ricade in aree a pericolosità sismica, con un massimo nelle Marche, dove il 100% del territorio è esposto a pericolosità sismica. Il 12,8% ricade in aree a pericolosità idraulica media e poco meno della metà di questi si trova in Emilia-Romagna, complessivamente circa il 63% della superficie edificata della regione ricade in zone a pericolosità idraulica media, proprio in quella regione in cui a maggio si verificò una delle alluvioni più disastrose avvenute in Italia. “L’aumento dell’impermeabilizzazione in aree già a rischio idraulico, nel complesso, non fa che aumentare la pericolosità stessa del territorio”, spiega Michele Munafò.
Ma è la Liguria la regione con la maggior percentuale di suolo consumato in aree a pericolosità idraulica per tutti e tre gli scenari di pericolosità, dove il 23% delle nuove costruzioni ha riguardato zone a pericolosità idraulica elevata.
Implicazioni ecologiche del consumo di suolo
L’impermeabilizzazione produce effetti diretti e indiretti, non riguarda solamente le superfici interessate dalla copertura artificiale ma si estende anche alle aree ad esse limitrofe. La realizzazione di una strada, ad esempio, provoca un effetto diretto sulla biodiversità, la frammentazione degli habitat che ne deriva è invece una conseguenza indiretta.
La cementificazione delle aree urbane ha poi effetti sul microclima locale: al crescere del tasso di consumo di suolo, la temperatura di superficie aumenta in maniera decisamente significativa, generando l’effetto isola di calore. Nelle principali città italiane, la temperatura cresce all’aumentare della densità di coperture artificiali, raggiungendo nei giorni più caldi valori compresi tra 43 e 46 °C nelle aree più sature e seguendo andamenti diversi a seconda delle caratteristiche del territorio circostante. Non solo, l’impermeabilizzazione aumenta anche il rischio idrogeologico, rendendo il nostro Paese sempre meno sicuro.
L’impatto economico del consumo di suolo in Italia produce perdite molto elevate. I costi relativi alla perdita annuale dei servizi ecosistemici arrivano fino a 9,5 miliardi di euro all’anno, considerando solo il consumo di suolo avvenuto tra il 2006 e il 2022.
Insomma, le conseguenze del consumo di suolo sono ormai sotto gli occhi di tutti eppure questo consumo scellerato sembra non preoccupare la nostra politica.