Paolo Pileri
Articolo originale pubblicato su Altreconomia
Il 5 dicembre ci ricorda che il suolo esiste ed è l’ecosistema strategico che vogliamo tutelare. Per coltivare un pensiero ecologico coerente che rifiuti la cementificazione, l’ipocrisia della politica dei “ristori” che non vuole cambiare direzione e la propaganda governativa sull’inattuale e assurdo progetto del “ponte”. L’analisi di Paolo Pileri
Quest’anno la Giornata mondiale del suolo del 5 dicembre cade in mezzo a un campo minato di contraddizioni e disastri. Una breve lista.
Primo. Siamo nel mezzo di una Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop28) che ha sede a Dubai, culla planetaria dell’insostenibilità dove migliaia di tonnellate di sabbia desertica (ovvero suolo) sono state buttate a mare per fare le famose isole artificiali con i loro lussuosi grattacieli che sono costati migliaia di morti sul lavoro.
Secondo. Due guerre in corso che hanno sulle spalle migliaia e migliaia di morti, tra cui moltissimi bambini, donne e anziani (siamo penosi); guerre in buona parte sostenute dalle nostre economie a base di armi; guerre che hanno distrutto i suoli agricoli di quei popoli che, se usciranno dalla guerra, entreranno nella fame.
Terzo. Siamo in un’Europa che ha accordato l’uso del peggior erbicida cancerogeno di tutti i tempi, il glifosato, fino al 2033 anche grazie alla posizione complice del nostro governo. Solo negli Stati Uniti, fornitore di parte del grano che i nostri pastifici usano per i maccheroni “Made in Italy” e molti prodotti mais-derivati, sono oltre due miliardi le tonnellate di glifosato sparse nei campi. Nel 2015 la l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha dichiarato che il glifosato è assai probabilmente all’origine del diffuso e grave linfoma non Hodgkin. Cose che non sembrano interessare i nostri decisori politici che non sappiamo neppur se si domandano quante tonnellate di glifosato ci sono e ci saranno nei suoli agricoli italiani. Che ignorano, verosimilmente, che esistono relazioni certe tra la salute dei suoli, quella delle piante e quindi quella delle persone (si chiama “One Health”).
Quarto. Tanto per non perderci nulla, abbiamo il clamore del ponte sullo Stretto che è tornato a occupare le pagine di giornali, social e dibattiti in tv: un congegno geniale per distrarre tutto e tutti dai tanti temi che contano. Un progetto inattuale e assurdo che non si farà mai o, peggio, che magari inizierà ma non finirà mai andando a ingrossare le fila dei tanti incompiuti, simbolo della nostra decadenza culturale. In fondo il ponte sullo Stretto che cos’è se non un progetto bandiera di un Paese che si ostina a non cambiare nulla di se stesso, nonostante la crisi climatico-ecologica. Un Paese che vuole ancora dimostrare di saper domare tutto e tutti attraverso la soluzione infrastrutturale da record mondiale, in perfetto stile autocelebrativo. Se siamo i primi, si risolvono tutti i mali: falso. Se facciamo un’opera pubblica miliardaria che fa parlare di noi (la famosa reputation che piace a tutto l’arco politico), risolviamo i milioni di problemi e di ingiustizie del Paese: falso. È solo fumo negli occhi.
“La dittatura perfetta è una dittatura con le sembianze di una democrazia, una prigione senza muri da cui i prigionieri non vogliono affatto evadere. Un sistema di schiavitù dove, grazie al consumo e all’intrattenimento, gli schiavi amano la loro condizione servile” – Aldous Huxley
La vecchia grande macchina di distrazione che inganna anche i pochissimi politici ancora dediti alla questione ecologica. I pochissimi che dicono ancora di lottare contro il consumo di suolo, l’urgenza ecologica forse più urgente. Non è certo tutta farina del sacco di questo governo l’idea del ponte sullo Stretto, visto che quello precedente non ha sbarrato definitivamente la strada al ponte nonostante l’allora ministro competente fosse l’ambasciatore dell’agenda 2030, e quelli precedenti ancora lo hanno tenuto sempre in caldo e mai sepolto.
Per il suolo sarà un’opera devastante. Le infinite tonnellate di sabbia e ghiaia per fare il cemento sventreranno migliaia di ettari di territorio. Altrettante migliaia e migliaia di ettari di consumo di suolo lo genereranno le aree di fondazione, le strade, i raccordi, le aree tecniche, i cantieri immensi. Ma nessuno ne parla e forse se ne rende conto. La propaganda di governo è talmente convinta di sé e talmente vociante che pare essere pure scomparsa la valutazione di impatto ambientale (mi permetto di suggerire alle opposizioni di tenere molto sotto controllo questa procedura). E così, natura e suolo sono indiscutibilmente “a disposizione”, sottomessi all’imperativo del solito modello della crescita.
Se il ponte domina la scena anche del 5 dicembre, temo non si parlerà del legame stretto tra cementificazioni e alluvioni-frane marchigiane, romagnole, campane, toscane che hanno messo in ginocchio il Paese e ucciso più di quaranta persone (e ne arriveranno altre di frane). E semmai qualcuno ci proverà, ci aspettiamo una politica pronta a rispondere con la parola dell’anno che mette d’accordo tutti: ristoro. Il ristoro è la “pezza” che evita di ragionare sulle cause, cucinando noi e la giustizia ambientale in un unico brodo insidioso. Non si evita nulla e si ristora tutto. Almeno a parole. E questo sta iniziando a valere anche per il consumo di suolo.
Abbiamo costruito in aree mediamente allagabili altri 917,6 ettari (13% dell’intero consumo nazionale 2022) e altri 529 ettari in aree franose (7,5%)? Nessun problema, in caso si ristorerà. Abbiamo costruito a meno di 150 metri da un corso d’acqua (più 817,2 ettari nel 2022)? Nessun problema, in caso si ristorerà. I governi sembrano ormai utili solo a ristorare. La nostra presidente del Consiglio alla Cop28 di Dubai ha addirittura annunciato di ristorare con anticipo, promettendo 100 milioni di euro per le future vittime della crisi climatica (loss and damage). Pensiamo di cavarcela con cento milioni di euro senza far nulla di serio per fermare il treno di tutto ciò che produce crisi climatica. Solo il suolo consumato nel 2022 ha generato danni finanziari equivalenti a circa otto-nove miliardi di euro a causa della scomparsa dei relativi servizi ecosistemici.
A questo serve la Giornata mondiale del suolo: a dire che il suolo esiste ed è l’ecosistema strategico che vogliamo tutelare. A regalarci un briciolo di chiarezza e a mostrare con fierezza che esiste un pensiero ecologico che fa attenzione a quel che i decisori dicono. A smascherare l’ipocrisia, a non distrarsi davanti alle trappole mediatiche come l’assurdo progetto del ponte sullo Stretto. A sentirsi parte di una comunità ecologica che rinnova il suo impegno quotidiano a dare voce al suolo. Non è poco, credetemi. Crediamoci.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo”, Altreconomia, 2022