Fotovoltaico a terra - © I Stock

Pale eoliche e pannelli fotovoltaici, non è così che si cura l’ambiente

Secondo Salvatore Settis è in corso una sorta di metaforica sostituzione etnica: aerogeneratori in luogo degli olivi, sfruttamento industriale del territorio anziché tutela dei paesaggi

I crinali e le pianure del nostro Paese sono oggetto di una aggressione sempre più forte da parte delle industrie eoliche e fotovoltaiche, un vero e proprio assalto al suolo agricolo e forestale, all’ambiente, alla biodiversità, al paesaggio e alle economie locali, che potrebbe essere evitato e governato attraverso una pianificazione volta ad individuare un giusto equilibrio tra la tutela del territorio e le esigenze energetiche.

Ci sembra quindi utile ricordare le importanti riflessioni di Salvatore Settis, che in modo semplice ed autorevole, da tempo sottolinea la gravità e le contraddizioni di questo fenomeno. Riportiamo due articoli del prof. Settis pubblicati su La Stampa.

PALE EOLICHE E PANNELLI FOTOVOLTAICI NON È COSÌ CHE SI CURA L’AMBIENTE

Ecco gli aspetti più critici della transizione ecologica contenuti nel Piano nazionale di rilancio e resilienza

SALVATORE SETTIS – La Stampa 1.7.2023

Prof. Salvatore Settis © Feltrinelli

Il ritardo culturale del nostro Paese sul fronte delle energie rinnovabili è rivelato dall’esultanza con cui fu accolto il cambio di etichetta da «ministero dell’Ambiente» a «ministero della Transizione ecologica». Quasi che tale formula sia l’abracadabra che dischiude da solo le porte del paradiso ecologico che tutti desiderano. Perfino all’arcigno Garante dei Cinque Stelle quelle due parolette parvero garanzia sufficiente, pur in assenza di contenuti e impegni ben definiti, per deliberare il pieno appoggio del suo partito al governo Draghi. Ma ora che è arrivato il momento della verità è il caso di chiedersi di quale transizione ecologica stiamo parlando.

Un analisi dei dati e dei rischi che sia mirata al vantaggio del Paese e al bene delle generazioni future deve fondarsi sulla sostanza dei problemi, e non su pregiudiziali schieramenti pro o contro questo o quel governo. Le scelte di oggi avranno conseguenze di lunghissimo periodo; perciò non possiamo ignorare che il cuore del problema non è l’opzione astratta per le energie rinnovabili, ma come esercitare in concreto le scelte di fondo. Gli impianti eolici e fotovoltaici, infatti, possono avere effetti positivi, ma anche un impatto assai negativo su valori di grande rilevanza ecosistemica, a cominciare dal paesaggio e dall’agricoltura di qualità. Se l’intensificazione di pannelli solari e torri eoliche dovesse comportare la devastazione di preziosi paesaggi storici, quali saranno le nostre priorità? Il bivio è simile a quello, non meno drammatico, fra il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Come si è visto a Taranto, se lavorare in una fabbrica comporta gravi danni alla salute, la soluzione non è scegliere fra due valori che sono (entrambi) costituzionalmente protetti, ma assicurare il rispetto di entrambi. Mantenere i posti di lavoro e proteggere al massimo la salute dei lavoratori.

Nel Pnrr la transizione ecologica comporta un grande investimento complessivo (quasi 70 miliardi di euro), con l’obiettivo di raggiungere il 30% di energia rinnovabile entro il 2030, portando questa percentuale al 50% entro il 2050. Di fronte a obiettivi così ambiziosi, le gravi preoccupazioni espresse da Italia Nostra meritano la massima attenzione da parte del governo.

Negli ultimi due decenni, già si è moltiplicata oltre ogni misurara gionevole la presenza di turbine eoliche alte fino a 250 metri, distribuite sul territorio con scarsa considerazione per le caratteristiche paesistiche; per non dire delle grandi estensioni di terreno sottratte all’agricoltura per cospargerle di pannelli solari. Ma l’Italia non può e non deve gareggiare per numero dei nuovi impianti con altri Paesi di ben diverse dimensioni: per fare un solo esempio, mentre lanostra popolazione e quella della Francia sono assai simili (poco più di 60 milioni), e hanno dunque gli stessi bisogni di energia, la Francia ha una superficie quasi doppia (550.000 kmq contro i 300.000 dell’Italia); e di conseguenza la nostra densità di popolazione (206 abitanti per kmq) è quasi doppia di quella francese (117 abitanti per kmq). L’Italia ha pochi spazi pianeggianti, che dovrebbero essere dedicati all’agricoltura onde assicurare non solo il nostro sostentamento ma la produzione di cibo sano e di qualità; ma questi spazi, dalla pianura padana alla Campania, sono stati devastati da un consumo di suolo che è il più alto d’Europa, superiore anche a quello della Germania che ha più abitanti. E tuttavia il disegno di legge inteso a limitare il consumo di suolo, dopo nove anni di traversie parlamentari, è stato da poco affossato in Senato. Intanto sono rallentati manutenzione e incremento dei bacini idroelettrici, che producono il 15% del fabbisogno di energia elettrica, per giunta non intermittente, e dunque più affidabile di eolico o fotovoltaico. Mettendo in sicurezza le dighe e ripulendo i fondali dai detriti si potrebbe non solo aver cura dell’ambiente ma anche accrescere la produzione, riducendo la corsa a nuove fonti di energia.

Non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte al pericolo di danneggiare in modo irreversibile un Paese, il nostro, che fu un tempo il «giardino d Europa» e di assecondare la messa in opera di torri eoliche e pannelli solari facendo l’interesse delle imprese (in gran prevalenza non italiane) che li producono ma non di chi vive in Italia e ha diritto a un contesto paesaggistico rispondente alle caratteristiche del Paese.

I bei paesaggi sono Luoghi che curano (questo il titolo di un bel libro di Paolo Inghileri, Ed. Cortina), mentre i paesaggi deturpati danneggiano la salute dell’anima e della società. A questi temi l’Italia di oggi sembra insensibile: come si può altrimenti spiegare il duro contrasto fra il Regolamento europeo 2021/ 241, secondo cui le misure Pnrr devono proteggere gli ecosistemi senza produrre alcun danno ambientale, e il Dl «Semplificazioni,» dove tale principio è sostanzialmente ignorato? E che cosa saprà fare l’Italia, dove la tutela del paesaggio è fra i principi fondamentali dello Stato (art. 9 Cost.) di fronte a un Europa che propaganda il Green New Deal senza menzionare il paesaggio e il patrimonio storico-artistico e archeologico? Che cosa faremo per regolare la scelta di luoghi idonei ad accogliere i nuovi impianti, o per lavorare d’anticipo coprendo sin dal principio il costo dello smantellamento di tali impianti, e non lasciarlo in eredità ai nostri figli e nipoti? Franosità, fragilità idrogeologica, alta sismicità, densità di popolazione da un lato; ricchezza di paesaggi, ecosistemi, produzione agricola e monumenti preziosi dall’altro: sapremo tener conto di questi fattori e del loro combinarsi? O li cancelleremo dalla memoria storica in nome di una transizione ecologica ciecamente concentrata solo su se stessa?

LA GIUNGLA DELLE NUOVE PALE EOLICHE, L’ENERGIA PULITA CHE DEVASTA IL PAESAGGIO

ll Pnrr le premia e i progetti si moltiplicano. A rischio la Laguna di Orbetello e i Monti dell’Uccellina

SALVATORE SETTIS – La Stampa 27.7.2023

Chi teme l’eccesso di turismo in Italia sarà lieto di sapere che in alcune aree siamo alla vigilia di un forte calo delle presenze. Tali sono, per esempio, la Maremma toscana, le dolci colline fra la Laguna di Orbetello (tombolo della Giannella), il promontorio di Talamone coi Monti dell’Uccellina e il mirabile borgo di Magliano in Toscana con la sua cinta muraria quattrocentesca. Nove gigantesche pale eoliche, alte 200 metri (contro i 130 delle mura di Magliano), e per giunta collocate in parte su una collina, provvederanno a rendere irriconoscibile quel paesaggio, secondo la proposta di Apollo Wind srl. Questo progetto di parco eolico è comparso il 6 luglio sul sito del Comune di Orbetello e già ieri sono scaduti i termini per formulare osservazioni. Troppo facile profezia è che la sindrome della fretta indotta dal Pnrr, la diffusa insensibilità politica e la crescente rassegnazione dei cittadini avranno la meglio su ogni obiezione.

Nessuno nega l’urgenza della crisi energetica, per la micidiale tenaglia in cui siamo presi, fra l’emergenza climatica e la guerra in Europa. Ma, come già due anni fa ho scritto su questo giornale (il primo e l’8 luglio 2021), il cuore del problema non è l’opzione astratta per le energie rinnovabili, ma come esercitare in concreto le scelte di fondo.

È possibile collocare gli impianti eolici o fotovoltaici senza devastare i paesaggi storici, senza alterare in misura irreversibile i valori ecosistemici né mortificare il lungo lavoro di tutela di Soprintendenze e Comuni? L’Italia, ce lo andiamo ripetendo come una litania, è stato il primo Paese al mondo a porre in Costituzione, fra i principi fondamentali dello Stato, la «tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione» (art. 9). E allora come mai, di fronte all’avanzata inesorabile di torri eoliche sparse a caso dappertutto, non si sono stabiliti criteri adeguati a pilotare le ipotesi progettuali, scegliendo luoghi idonei non solo per la frequenza o l’intensità dei venti, ma anche per il rispetto dei valori paesaggistici e delle attività agricole? Come mai, anzi, c’è chi accusa le Soprintendenze di frenare la transizione ecologica con la scusa di difendere i paesaggi storici? Nella guerra suicida fra le nozioni giuridiche di “paesaggio” da tutelare e “ambiente” da proteggere mediante le rinnovabili, quale è la posizione di chi ci governa?

A dire il vero, c’è una normativa (DM 219/2010) che regola l’impatto visivo dei parchi eolici, in quanto «visibili in qualsiasi contesto territoriale». L’alterazione visiva «deve essere riferita all’insieme delle opere previste per la funzionalità dell’impianto», e pertanto «la localizzazione e la configurazione progettuale, devono esser volte al recupero di aree degradate e alla creazione di nuovi valori coerenti con il contesto paesaggistico». In altri termini, l’impianto eolico dovrebbe essere l’occasione per «il progetto di un nuovo paesaggio», ma solo laddove quello esistente sia in qualche modo deteriorato. Si vedono migliaia di torri eoliche in tutta Italia, ma non saprei indicare un solo luogo in cui questa norma sia stata rispettata, e il progetto di Orbetello è anche a questo riguardo esemplare. E forse degradata, l’area dove verranno installate le nove altissime torri?

E le mura senesi di Magliano che vantaggio avranno da quell’incombente presenza? Nel progetto presentato, al borgo di Magliano viene assegnato un Vp (valore paesaggistico) assai basso, 1,2 su 4: chiunque vi sia stato una sola volta non può che trasecolare. Si sostiene che l’indice di visibilità da Magliano sul campo eolico sia paria zero, con bassissimo indice di affollamento degli aerogeneratori (nove!), che invece, a pochi chilometri dalla cinta muraria, saranno ovviamente più che visibili.

Intanto, sotto la pressione del Pnrr, si moltiplicano in tutta Italia i progetti di campi eolici: una decina solo nel Viterbese, più o meno tutti nella valle del Marta, fra Tarquinia e Bolsena. Saranno tutte aree degradate? E che speranza può mai esserci, se perfino in vista del Duomo di Orvieto, una delle cattedrali più importanti e nobili d’Europa, la società Rwe Renewables Italia sta per piantare sette torri eoliche alte 200 metri? Di questo parco eolico la sola cosa davvero appropriata è il nome, Phobos (che in greco vuol dire paura). Paura, o fobia, di chi o di che cosa? Saranno i turisti a fuggire spaventati dagli aerogeneratori giganti? O chi le ha volute, quelle torri, aveva paura di un paesaggio ancora intatto?

Eppure sono caduti nel vuoto non solo l’accorato appello di Ernesto Galli della Loggia, ma anche le vibrate proteste di otto associazioni (fra cui Lipu, Pro Natura, Associazione Bianchi Bandinelli, Gruppo di intervento giuridico). Tutto vano: il progetto risulta approvato. Eppure i cittadini (gli ambientalisti veri) non demordono, tanto è vero che alcuni da Orvieto hanno partecipato a un’assemblea di pochi giorni fa a Orbetello. Nel miope localismo che ci assedia, la convergenza di analisi e proteste fra cittadini di aree diverse è sempre un buon segnale, e un possibile asse Orvieto-Orbetello è un caso simile alla sintonia fra cittadini di Milano, Parma e Roma contro infelicissimi progetti di nuovi stadi: di questa loro eco-resistenza si è parlato in questo giornale lo scorso 19 giugno.

Solo facendo rete tra loro i cittadini possono contrastare la deriva in cui i governi hanno gettato la politica delle energie rinnovabili in Italia, affidandola interamente al caso.

In assenza di qualsivoglia piano regionale di localizzazione, è sempre e solo l’impresa proponente a prendere l’iniziativa, che i poteri pubblici, dal comune alla regione allo Stato, possono passivamente accettare o rallentare mediante «osservazioni». Sembra di là da venire una forte e mirata iniziativa pubblica, che capovolga questa dissennata procedura partendo dall’identificazione delle aree più idonee agli impianti, nel pieno rispetto delle attività agricole e delle norme di tutela (nonché delle Soprintendenze che vigilano su di esse), e solo dopo individui le imprese a cui affidare i progetti.

Invece, negli ultimi anni si va addensando sulle norme la fitta nebbia di una stratificazione normativa frammentaria, tortuosa e confusa, ma comunque ispirata da un chiaro indirizzo: il trionfo del mercato contro le pubbliche istituzioni, il guadagno immediato dei pochi contro l’interesse di tutti nei tempi lunghi. Come diceva Andrea Zanzotto, «un bel paesaggio una volta distrutto non torna più, e se durante la guerra c’erano i campi di sterminio, adesso siamo arrivati allo sterminio dei campi: fatti che, apparentemente distanti fra loro, dipendono tuttavia dalla stessa mentalità».

All’insegna della crisi energetica, è in corso una sorta di metaforica sostituzione etnica: aerogeneratori in luogo degli olivi, sfruttamento industriale del territorio anziché tutela dei paesaggi, la vista corta del Pnrr con le sue scadenze invece dell’interesse delle generazioni future, la retorica di corto respiro di un falso ambientalismo del profitto in luogo dello sguardo lungimirante della Costituzione —