La legge regionale n. 14/2017, emanata per azzerare il consumo di suolo in Veneto entro il 2050, in realtà ha moltiplicato di tre volte la superficie territoriale consumabile rispetto alla legge precedente
di Endri Orlandin
La questione del consumo di suolo nel nostro Paese suscita spesso più di qualche discussione in termini semantici, quantitativi, di cause ed effetti e su tanto altro ancora. In una regione come il Veneto dove ormai da diversi anni l’attività pianificatoria, sia territoriale che urbanistica, sta avendo un fortissimo impatto sul consumo di questa risorsa non rinnovabile bisogna risalire a vent’anni fa per avviare una riflessione critica rispetto ai tentativi che la Regione ha cercato di portare avanti per provare ad arginare questo fenomeno che appare oramai, nel nostro territorio, completamente fuori controllo.
E per farlo i numeri sono la chiave di lettura fondamentale per consentirci di mettere a fuoco la questione.
Come vedremo i numeri che entrano in gioco sono figli di leggi regionali che hanno cercato in poco più di un decennio (tredici anni per l’esattezza), a modo loro, di contenere (?) questo fenomeno attraverso una pianificazione del territorio che inizialmente (nel 2004) sembrava aprire a una nuova stagione di deregulation ma che, a posteriori, pur con i propri limiti, sembra una strada tutto sommato più conservativa di quanto non lo sia stata la successiva legge regionale sul consumo di suolo emanata nel 2017.
Il 2004 costituisce l’anno in cui sono cominciati, in termini legislativi (con la promulgazione della Legge regionale 23 aprile 2004 n. 11, “Norme per il governo del territorio” a cui, successivamente, è stato aggiunto il paesaggio), i tentativi che la Regione Veneto ha messo in campo per provare a porre un freno a un fenomeno che aveva preso avvio negli anni Settanta, era letteralmente esploso negli Ottanta con i processi di diffusione insediativa (la tanto decantata e studiata metropoli diffusa del nord-est), era completamente impazzito assecondando derive dispersive negli anni Novanta, ed è arrivato negli anni Duemila a riversare, sul poco territorio rimasto ancora libero, l’ultima significativa colata di cemento e asfalto finendo per saturarlo quasi completamente (i numeri che testimoniano e quantificano questo processo sono riportati nella tabella al termine del testo).
La legge regionale n. 11 del 2004, con l’Atto di indirizzo Lettera C – SAU, ai sensi dell’articolo 50, definiva la metodologia per il calcolo, nel piano di assetto del territorio (il corrispettivo del piano strutturale comunale in altre leggi regionali, con validità a tempo indeterminato), del limite quantitativo massimo della zona agricola trasformabile in zone con destinazioni diverse da quella agricola definendo, con riferimento a tre contesti territoriali (pianura, collina, montagna), la media regionale del rapporto tra la superficie agricola utilizzata (SAU) e la superficie territoriale comunale (STC). La superficie trasformabile per ogni singolo comune veniva determinata in base a un calcolo che utilizzava per ognuno dei tre contesti territoriali un indice medio di trasformabilità della superficie agricola utilizzata. Ma come vedremo più avanti, al di là della spiegazione dell’algoritmo utilizzato per questo calcolo, ciò che più conta è la quantificazione finale degli ettari consumabili a livello regionale. Questo primo approccio, in termini di dimensionamento della capacità incrementale degli strumenti urbanistici, derivante dalla moltitudine di piani e varianti redatti ai sensi della Legge regionale 27 giugno 1985 n. 61 “Norme per l’assetto e l’uso del territorio” cercava di mettere un dito nella diga che aveva cominciato a sgretolarsi e aveva lasciato che un mare di cemento si riversasse sul territorio inondando tutto il Veneto (si veda al riguardo: AaVv, Dalla legge regionale n. 61 del 1985 alla nuova legge urbanistica regionale n. 11 del 2004. Elementi per una valutazione dei processi di pianificazione, Venezia, 2008).
L’eredità del ciclo di pianificazione derivante dalla Lr 61/1985 in termini di piani regolatori generali, ma ancor più di varianti generali e parziali ai Prg, programmi complessi e altri strumenti di varia pianificazione, tra il 2000 e il 2007 ha raggiunto lo straordinario numero di quasi cinquemila varianti, pari a quasi nove strumenti urbanistici all’anno per ogni comune veneto; in questi otto anni per ognuno degli allora 581 comuni è come se fossero stati realizzati mediamente 72 piani e/o varianti urbanistiche, di cui una parte figlie dell’effetto annuncio “emanazione della nuova legge urbanistica regionale” (nel periodo 2000-2004), un’altra, figlie delle continue deroghe concesse dalla legge regionale sul governo del territorio Lr 11/2004 nel suo primo periodo di applicazione tra il 2004 e il 2007 (le deroghe tuttavia sono continuate anche ben oltre il 2007).
In realtà come vedremo questo approccio era il tentativo di cercare di provare a chiudere la stalla dopo che i buoi erano scappati, e principalmente per un motivo: in diversi comuni veneti il territorio agricolo trasformabile era, di fatto, già stato trasformato, soprattutto in conseguenza dell’effetto annuncio della nuova legge urbanistica regionale (la 11 del 2004), e quindi queste realtà amministrative non avrebbero avuto alcuna possibilità di accrescere il proprio potenziale espansivo e di conseguenza non avrebbero potuto prevedere alcun incremento edificatorio. E sappiamo benissimo quanto la maggior parte dei comuni veneti fossero e siano tuttora estremamente voraci di superfici edificabili (che siano per edilizia residenziale, piuttosto che per aree industriali-artigianali, oppure commerciali, o direzionali, o altro ancora).
L’effetto che la legge regionale n. 11 del 2004 avrebbe dovuto sortire sul consumo di suolo in Veneto è presto detto ed è interamente ascrivibile alla quantità totale di SAU trasformabile a livello regionale, derivante dall’applicazione del calcolo definito dall’Atto di indirizzo (lett. C), che ammontava complessivamente a 9.053 ettari, pari allo 0,5% della superficie territoriale veneta. Dato quest’ultimo che espresso in termini percentuali potrebbe sembrare poca cosa, ma che nella realtà invece determina ulteriori consistenti quote di urbanizzazione nonostante la massiccia presenza, in diversi comuni, di significative quantità di previsioni insediative residuali mai utilizzate nel corso degli anni (eredità molto spesso del ciclo di pianificazione derivante dalla Lr 61/1985, come visto in precedenza).
La legge sul governo del territorio stabiliva (e stabilisce tuttora in quanto la legge è ancora vigente) che gli ettari trasformabili dovevano essere poco più di novemila ma, dalla verifica compiuta dalla Regione Veneto prima dell’approvazione della legge sul contenimento del consumo di suolo (nel giugno del 2017) emerse che gli ettari di suolo consumati dai comuni erano stati 12.224 (quasi tremila in più rispetto a quelli previsti dalla Lr 11/2004 e pari allo 0,7% della ST del Veneto, vale a dire il 35% in più rispetto a quanto stabiliva la legge urbanistica).
Tredici anni dopo arriviamo a una svolta la Legge regionale del 6 giugno 2017 n. 14 “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 ‘Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio’” che, come ben espresso dal titolo, dovrebbe occuparsi con estrema attenzione della gestione del consumo di suolo fino al suo esaurimento entro il 2050. Questa legge, a fronte di un complesso sistema di calcolo (tra superfici residue, superfici residue ridotte del 40%, correttivi, percentuali da assegnare detratti i correttivi, etc.), quantifica in 12.793 ettari la quota massima di consumo di suolo ammessa fino all’anno 2050 in Veneto, successivamente ridimensionata a 9.575 ettari (a seguito di alcuni provvedimenti regionali e conseguenti adeguamenti comunali), con un plafond residuo di 8.530 ettari “disponibili”. La somma di questi due ultimi valori quantifica gli ettari consumabili in 18.105 che sommati ai 12.224, già consumati al momento dell’emanazione della legge regionale, portano a 30.329 ettari il totale, pari all’1,6% della superficie territoriale del Veneto. Ma volendo essere magnanimi ed effettuando il conteggio in base ai soli ettari consumabili “ridimensionati” ed escludendo quelli già consumati (12.224 ha), la percentuale di superficie territoriale regionale consumabile risulterebbe essere comunque quasi dell’1%.
I numeri parlano chiaro: la legge regionale veneta n. 14 del 2017, emanata per azzerare il consumo di suolo in Veneto entro il 2050, in realtà ha moltiplicato di tre volte la superficie territoriale consumabile determinata precedentemente dalla Lr 11/2004 (che è tutt’ora vigente) legittimando, in tal modo, il più esteso consumo di suolo sul territorio veneto, dando l’impressione di privare i comuni di un loro diritto acquisito disponendo un ridimensionamento delle previsioni urbanistiche esageratamente sovradimensionate nel corso degli anni ma in realtà concedendo loro ampi margini di incremento. E come se non bastasse le deroghe ai limiti stabiliti dalla Lr 14/2017 sono state concepite a maglie talmente larghe da concedere spazio, ad esempio, all’attività di cava, oppure agli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento, nei piani di area e nei progetti strategici regionali (vere e proprie “bombe a orologeria” pronte a riversare sul territorio nuove superfici edificabili con annesse cubature) che andranno a sfregiare ulteriormente il già deturpato paesaggio veneto.
E in questa situazione, giusto per non farci mancare nulla, brilla per la sua imbarazzante assenza il piano paesaggistico regionale, in gestazione ormai da oltre vent’anni, la cui approvazione sarà destinata a ratificare la definitiva scomparsa del paesaggio veneto.
Questo ci riporta al presupposto iniziale e cioè, parafrasando un vecchio adagio popolare, “stavamo meglio quando pensavamo di cominciare a star peggio”.