di Frederick Bradley
Le recenti notizie sul fenomeno dell’overtourism nelle 5 Terre e a Santorini mettono in evidenza un problema che accomuna molti territori il cui sviluppo socio-economico ha avuto il suo motore trainante in quelle che vengono giustamente definite bellezze paesaggistiche. È noto che problemi analoghi affliggono sia altri territori di pregio, come, ad esempio, la Val d’Orcia, sia diverse città d’arte, di cui San Gimignano è forse il caso più emblematico.
Quasi che possedere un bel paesaggio sia non solo la fortuna di luogo speciale, ma anche la sua nemesi per ciò che quella bellezza arriva a comportare. Sembra un non senso il fatto che un territorio di alto valore estetico venga penalizzato dal suo stesso paesaggio, e in effetti, se ciò accade non è imputabile al paesaggio in sé, ma all’accezione che comunemente ne viene data.
Almeno questa è l’interpretazione che scaturisce dall’analisi delle fasi che hanno caratterizzato la crescita socio-economica di molti territori paesaggisticamente rilevanti, modellati dall’uomo nel corso dei secoli. Nello sviluppo di queste aree è possibile riconoscere otto fasi sequenziali in cui l’approccio al paesaggio è passato dalla sua valutazione cognitiva, quindi che ne percepisce il significato, a quella meramente estetica, dove viene equiparato a un panorama. È proprio in questo passaggio che si sono create le condizioni per cui il cosiddetto “bel paesaggio” ha portato paradossalmente a incidere negativamente sul territorio.
Fase 1
In origine il territorio era povero e/o sottosviluppato, spesso un ambiente rurale rimasto ai margini della crescita socio-economica degli anni ‘60-’70 del secolo scorso. Il paesaggio non suscitava interesse per l’osservatore dell’epoca, attratto più dai segni della modernità incombente che non dal retaggio di un mondo ormai appartenente al passato da cui tendeva ad allontanarsi.
Fase 2
Il territorio viene “scoperto” dal viandante colto, spesso benestante, che dà inizio alla sua colonizzazione riattando edifici dismessi o abbandonati nel sostanziale rispetto delle realtà locali. L’attrattiva principale dell’area è la bellezza del suo paesaggio rurale e/o storico in quanto privo di significative modifiche recenti, e soprattutto rispondente a canoni riconducibili, anche inconsciamente, alla nostra identità storico-culturale.
Fase 3
Il territorio conosce le prime forme di turismo culturale che seguono sostanzialmente l’approccio della prima colonizzazione, di cui condivide la visione paesaggistica. Nel paesaggio vengono identificati luoghi di alto valore simbolico, oltre che estetico, e viene scoperta la cultura enogastronomica locale e, più in generale, quella materiale legata al prodotto tipico.
Fase 4
Il territorio viene scoperto anche dal grande pubblico, spesso tramite media che lo mostrano attraverso icone rispondenti a canoni estetici di valore commerciale. Il paesaggio diviene uno strumento di marketing su base estetica. L’aumentata frequentazione turistica porta un notevole benessere economico alla popolazione locale.
Fase 5
Sulla spinta del successo economico, la popolazione locale sposa incondizionatamente l’azione di marketing delle agenzie turistiche, le cui offerte vendono il paesaggio come bene estetico. Anche i contenuti territoriali divengono oggetto di marketing. Si pongono le basi per la massificazione del turismo, favorita dalla politica locale che vi vede un’ottima opportunità di crescita del territorio. In questa fase il paesaggio perde progressivamente il legame con il territorio, come espressione della sua realtà ambientale, sociale e culturale, per divenire un elemento astratto, funzionale esclusivamente al richiamo turistico.
Fase 6
Grazie al turismo di massa e alla sua aumentata popolarità a livello internazionale, l’area è ora in grado di richiamare investimenti esterni interessati al suo valore turistico-industriale. Le icone paesaggistiche giocano un ruolo ancora più pregnante in quanto presentati a modello della “Bella Italia”, spesso con l’avvallo della certificazione UNESCO che ne sancisce l’originalità. Il paesaggio è ormai ridotto a un’icona e il territorio, svuotato di contenuti, diviene uno sfondo per selfie.
Fase 7
Il carattere industriale del turismo di massa porta al progressivo svilimento dell’identità culturale locale. Compaiono in commercio prodotti, anche gastronomici, copia di quelli tipici originali, se non addirittura legati a culture/territori diversi ma comunque riconducibili al “made in Italy”. Si sviluppa un’edilizia residenziale brutta copia dell’architettura locale. Il territorio è spesso ridotto a supporto di iniziative con finalità turistiche poco o nulla attinenti alla realtà locale. Il paesaggio perde di identità e assume il valore di cartolina. Divenuto così un panorama (o scena), non di rado il paesaggio viene usato come sfondo di istallazioni artistiche, finalizzate anche a rivitalizzarne l’interesse.
Fase 8
La popolazione locale si trova spesso impreparata a gestire i flussi turistici di massa che arrivano a incidere negativamente sul territorio. Compare il fenomeno dell’overtourism. Sorgono non luoghi commerciali più o meno mascherati da attività di localismo. Il benessere economico inizia a confliggere con un territorio ormai modellato in funzione del turismo di massa, e con la conseguente perdita dello stile e dei ritmi di vita di un tempo. Parte della popolazione locale non riconosce più il suo paesaggio originario, basato non su stereotipi estetici ma sul riconoscimento del valore identitario del territorio. Si sente l’esigenza di un cambio di paradigma dello sviluppo turistico a cui la politica locale non vuole rispondere (per interesse) e/o non è in grado di farlo (per incompetenza).
Ovviamente lo schema di sviluppo turistico di territori paesaggisticamente rilevanti qui riportato ha un carattere generale, e non mancano eccezioni a più di una delle fasi descritte. Tuttavia, esso ben rappresenta quanto avvenuto in realtà importanti tanto da far comprendere come nelle politiche di valorizzazione territoriali sia necessario guardare al paesaggio per i suoi contenuti essenziali, aprendo così a un turismo di qualità, che non come sterile immagine ad uso e consumo smodato del territorio che raffigura.
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Frederick Bradley (1956) Naturalista e geologo, per quarant’anni ha applicato lo studio del paesaggio alla sua attività professionale. Nel 2004 ha creato il marchio GUIPA, acronimo di Guide al Paesaggio, con cui realizza saggi e pubblicazioni di divulgazione scientifica e turismo culturale che portano a conoscere il territorio attraverso la lettura olistica del paesaggio. Nel 2020 ha creato il sito web Occhio al Paesaggio con l’obiettivo di rendere la lettura e l’interpretazione del paesaggio, come definito dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sul Paesaggio, pratiche accessibili al non specialista con lo scopo di porre le basi per un nuovo approccio culturale alla conoscenza del territorio. Ha tenuto seminari sulla lettura del paesaggio nelle Università di Firenze, Genova e Bologna. Dal 2022 ha avviato una collaborazione fissa nell’ambito del Laboratorio di progettazione e pianificazione paesaggistica nel corso di laurea magistrale in Architettura del Paesaggio nella scuola di Architettura dell’Università di Firenze. È autore di oltre una trentina tra saggi, manuali tecnici e guide paesaggistiche. Le sue pubblicazioni più significative in ambito paesaggistico sono Il Senso del Paesaggio. Sulla pratica ancestrale dell’osservazione del paesaggio (2010), in cui propone una teoria sull’interpretazione del paesaggio, e Paesaggio o Panorama? Dialogo sulla necessità di una visione condivisa del territorio (2011), un saggio divulgativo dedicato al problema della perdita della cultura del paesaggio. Tiene periodicamente corsi di lettura del paesaggio destinati a coloro che si interessano a titolo professionale, e non, alla comprensione, valorizzazione, salvaguardia e pianificazione del paesaggio e del territorio. Ha recentemente pubblicato La lettura del paesaggio, Pacini Editore, 2024.
Bell’articolo e molto condivisibili i commenti
Quello che l’eccesso di turismo aggressivo e godereccio ha provocato è non solo lo svuotamento del significato di paesaggi scolpiti dal tempo e dalla cultura, ma anche la fine del viaggio come scoperta e vagabondaggio, senza il bisogno impellente di prenotazioni e di programmazione rigida ex ante. È la morte del viaggio che si è decretata. Tant’è che recentemente ho scoperto prenotando un volo presso un’agenzia prima indipendente che ora quest’ultima è un “travel store”, un supermarket che vende viaggi. Per non menzionare l’abominio delle crociere.
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Grazie della disamina –
E’ possibile articolare un po’ di più il passaggio
“Ovviamente lo schema di sviluppo turistico di territori paesaggisticamente rilevanti qui riportato ha un carattere generale, e non mancano eccezioni a più di una delle fasi descritte. Tuttavia, esso ben rappresenta quanto avvenuto in realtà importanti tanto da far comprendere come nelle politiche di valorizzazione territoriali sia necessario guardare al paesaggio per i suoi contenuti essenziali, aprendo così a un turismo di qualità, che non come sterile immagine ad uso e consumo smodato del territorio che raffigura.”
Quali esempi o quali suggerimenti si possono condividere?
Grazie
Purtroppo il processo di “decadimento” del Paesaggio, qui ben descritto nelle sue varie fasi, caratterizza una molteplicità di territori che hanno subito una progressiva, a volte anche rapida, trasformazione da “luoghi reali e genuini” a “luoghi realistici e artefatti”, costruiti – a volte anche con capacità, gusto e sapienza – per attrarre un turismo dell’estetica e della finzione, come si fa per un set cinematografico.
L’inevitabile perdita di identità “verace” in tutti i suoi aspetti, magari anche un po’ “ruspanti”, ha inevitabilmente sacrificato la bellezza della genuinità sull’altare dell’attrattività scenografica richiesta dai nuovi modelli del marketing turistico di massa.
L’overtourism è l’ultimo portato di un processo che sta snaturando, a volte per sempre, la bellezza insita e unica di tanti nostri “Paesaggi”, la cui originaria ricchezza nascosta è andata perduta.