Se il buongiorno si vede dal mattino… Documento preliminare alla “Variante al Ptrc con specifica considerazione dei valori paesaggistici – I stralcio”
di Endri Orlandin
A vent’anni dalla pubblicazione del Documento programmatico preliminare per le consultazioni del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (Ptrc) del Veneto la Regione, con DGR n. 759 del 2 luglio 2024, ha adottato il Documento Preliminare e il Rapporto Ambientale Preliminare della “Variante al Ptrc 2020 con specifica considerazione dei valori paesaggistici – I stralcio”.
Quello che emerge dalla lettura di questo documento è che le aspettative per il destino del paesaggio veneto non sono troppo confortanti.
Una premessa cronologica alle recenti vicende pianificatorie venete
Ho definito il Ptrc, approvato dal Consiglio regionale nel giugno del 2020, un “visconte dimezzato” (si veda il mio commento del 24 luglio 2020 su http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2020/07/il-nuovo-piano-territoriale-regionale-di-coordinamento-del-veneto-ptrc-2020-un-visconte-dimezzato), in quanto privo della specifica considerazione dei valori paesaggistici ai sensi del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” DLgs n. 42 del 2004.
Nel novembre del 2022 è stato sottoscritto, da parte del Ministro della Cultura e del Presidente della Regione Veneto, un “Protocollo congiunto per l’adeguamento dell’Intesa sottoscritta nel 2009 per l’elaborazione congiunta del Piano paesaggistico regionale”, ai sensi degli artt. 135 e 143 del Codice e dell’art. 45 ter della Lr n. 11 del 2004. L’intesa prevede che il nuovo strumento paesaggistico venga approvato per stralci.
Il primo stralcio è costituito da una Variante al Ptrc limitatamente ai beni paesaggistici (il cui avvio è stato deliberato con DGR n. 745 del 22 giugno 2023).
Con DGR n. 759 del 2 luglio 2024, sono stati adottati il Documento Preliminare e il Rapporto Ambientale Preliminare della Variante al Ptrc e, parallelamente, è stata avviata la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS).
Una questione formale: siamo sicuri che una pianificazione paesaggistica per stralci funzioni?
Il ricorso allo strumento della Variante (in realtà, delle Varianti, in quanto si procederà per stralci successivi), dal punto di vista formale, costituisce implicitamente un’ammissione di debolezza da parte della Regione Veneto, in quanto la ratio metodologica e gestionale auspicherebbe, a seguito dell’approvazione del Ptrc 2020, un piano a dir poco “sbilanciato” verso politiche insediative e infrastrutturali incrementali, almeno la redazione di un piano paesaggistico regionale autonomo e forte di una propria e precisa impronta disciplinare e procedurale in grado di controbilanciare gli effetti urbanistici del piano di coordinamento territoriale.
Ma del resto, per chi conosce un po’ l’assetto organizzativo degli uffici regionali veneti, sarebbe come aspettarsi che la mano sinistra non sappia cosa fa la destra; quindi, in buona sostanza, la Direzione Pianificazione territoriale che ha redatto il Ptrc 2020 dovrebbe disconoscere, o quantomeno ribilanciare, le proprie scelte all’atto di redigere la “Variante al Ptrc con specifica considerazione dei valori paesaggistici – I stralcio”. Ci sembra assai difficile, direi quasi impossibile.
Non è stata una scelta stravagante né una recentissima innovazione tecnico-procedurale ad aver spinto alcune regioni a optare per la soluzione di redigere due distinti piani: un esempio è la Regione Piemonte, che vanta una solida tradizione pianificatoria, la quale ha approvato il Piano paesaggistico regionale nel 2017, mentre il Piano territoriale regionale (il corrispettivo del Ptrc veneto) era già stato approvato nel 2011. Ma possiamo citare anche altre regioni: la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia (che ha approvato il Piano paesaggistico regionale nel 2018), l’Emilia-Romagna, l’Abruzzo e la Calabria. Insomma, quella che possiamo definire una nutrita schiera di soggetti che non hanno avuto il timore di affidare a due diversi strumenti di pianificazione la gestione del territorio regionale (piano territoriale urbanistico e piano paesaggistico).
E pensare che, in fondo, persino il primo Ptrc (quello approvato nel 1992) venne trattato meglio (se così si può dire), in quanto si scelse, per attribuirgli la valenza paesistica (oggi diremmo “paesaggistica”), di procedere attraverso la via legislativa con l’emanazione di una legge regionale ad hoc, la n. 9 del 1986 (legge che ai tempi fece alzare il sopracciglio a più di un esperto di pianificazione per la scelta procedurale che venne compiuta dalla Regione Veneto).
E veniamo ai contenuti del “Documento preliminare alla Variante al Ptrc con specifica considerazione dei valori paesaggistici – I stralcio”.
Con il primo stralcio è previsto che si intervenga limitatamente ai beni paesaggistici, come disposto dall’art. 135, comma 1, del Codice dei Beni culturali e del paesaggio.
Il primo stralcio interverrà, quindi, solo ed esclusivamente sui beni ex lege n. 1497 del 1939 (ossia le bellezze individue e d’insieme) ed ex lege n. 431 del 1985 (le vaste aree di interesse ambientale); grazie anche alla disponibilità interessata del Ministero della Cultura che, così facendo, andrà a soddisfare il bisogno primario delle sue ramificazioni periferiche (le Soprintendenze) di tutelare prioritariamente, anzi esclusivamente, tali beni. Con questo obiettivo si procederà, pertanto, alla cosiddetta “vestizione” dei vincoli, cioè la schedatura con specifica disciplina d’uso degli immobili e delle aree dichiarate di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 del Codice.
Tutto il resto del territorio, in questo modo e in questo momento (o, meglio, nel momento in cui verrà approvata la prima variante), non viene pianificato. Perché occorre ricordare che per lo Stato (il MiC e le Soprintendenze) il paesaggio da tutelare ai sensi dell’art. 9 della Costituzione, e in forza del Codice dei beni culturali e del paesaggio (DLgs 42 del 2004), è solo quello dei beni vincolati ai sensi della legge 1497 del 1939 e della legge 431 del 1985 (non a caso, l’art. 135 del Codice recita: “l’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143 comma 1, lett. b, c, d …”). Quindi per l’amministrazione statale tutto il resto non conta o, nel migliore dei casi, conta poco.
Pertanto con la prima variante al Ptrc verranno salvaguardati esclusivamente i beni già sottoposti a tutela, mentre la pianificazione del “restante” paesaggio (quello che, per intenderci, comprende in primo luogo la dimensione agroproduttiva, ovvero il paesaggio agrario), viene rimandata a uno stralcio successivo. In tal modo, la componente territoriale maggiormente sottoposta alla costante pressione insediativa e infrastrutturale continuerà ancora inesorabilmente a essere erosa dal consumo di suolo, in attesa di una variante stralcio che (forse) si occupi del ricchissimo palinsesto dei paesaggi veneti.
Aspettando Godot…
Una questione sostanziale: tutela del paesaggio vs consumo di suolo, o viceversa?
La prima Variante, a partire da quanto sin qui illustrato, si concentra quindi su uno stato di fatto da tempo consolidato, che tutela esclusivamente le bellezze individue e d’insieme (beni ex lege n. 1497 del 1939) e le vaste aree di interesse ambientale (ex lege n. 431 del 1985, cd legge Galasso). Tutto il resto del paesaggio, esclusa un’ulteriore minima parte di territorio che sta all’interno dei confini dei parchi e delle riserve (nazionali o regionali) oppure è sottoposto a una blanda tutela dai piani di gestione dei siti Unesco, al momento e sine die costituisce terreno di conquista per lo sviluppo urbanistico.
Intanto, con un ritmo incalzante, l’ultima rilevazione di ISPRA indica all’11,9% la superficie regionale erosa dal consumo di suolo in Veneto (quello netto, tra il 2021 e i 2022, è stato di 739 ettari), si sta depauperando un bene prezioso come il suolo e con esso il patrimonio materiale e immateriale dei valori e dei segni che determinano il nostro paesaggio.
Per fornire un ultimo dato rispetto a cos’è successo da quando la Regione Veneto ha intrapreso la lunga strada per tentare di arrivare a dotarsi di uno strumento di pianificazione che si occupi di paesaggio (Ptrc a valenza paesaggistica, oppure Piano paesaggistico regionale, ovvero Variante paesaggistica al Ptrc, fintanto che qualcuno non si inventi una nuova e più affascinante formula) il consumo di suolo netto tra il 2006 e il 2022 nella nostra regione è stato di 13.079 ettari, pari a una media annuale di 817 ettari (che pone il Veneto in terza posizione a livello nazionale dopo Lombardia e Puglia, dato ISPRA).
Occorre ricordare, inoltre, come la presunta fame di infrastrutture, che affligge da decenni il Veneto (ma forse, più che la regione geografica, i governanti veneti) e non sembra in grado di trovare appagamento, abbia portato danni irreversibili al paesaggio. Opere come la Superstrada Pedemontana Veneta, la terza corsia dell’A4 tra Venezia-Trieste, l’alta velocità ferroviaria nelle tratte tra Brescia e Verona e tra Verona e Vicenza hanno prodotto ingenti consumi di suolo (oltre l’80% dei 739 ettari netti consumati tra il 2021 e il 2022) che, grazie ai poteri dell’articolo 12, lettera c), della Lr n. 14 del 2017 “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo …”, vengono sempre consentite in deroga ai limiti stabiliti dalla legge stessa. E adesso possiamo aggiungerci pure le opere per le olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026.
Insomma, un disastro che si continua a perpetrare nell’assoluta indifferenza di chi governa questa regione, come se non potessimo fare a meno di opere pubbliche che, un attimo dopo essere state completate, divengono obsolete.
Una questione operativo-gestionale: le vecchie abitudini non si abbandonano mai?
L’impostazione dell’assetto gestionale del futuro sistema di pianificazione del paesaggio veneto lascia facilmente presagire come la Regione avrà un ruolo assolutamente centralizzatore e verticistico nella definizione dei futuri assetti paesaggistici. Non a caso, il secondo stralcio di piano (quello che dovrebbe costituire la seconda variante al Ptrc 2020), previsto dal Protocollo congiunto tra Regione Veneto e Ministero della Cultura, verterà su 14 specifici Piani Paesaggistici Regionali d’Ambito (PPRA) che verranno redatti ai sensi dell’articolo 45 ter della Lr n. 11 del 2004. Assecondando tale logica risulta comunque alquanto oscuro comprendere se dovremo aspettarci 14 stralci (uno per ognuno dei Piani paesaggistici regionali d’ambito) oppure se la Variante-secondo stralcio conterrà il mosaico di tutti i 14 Piani d’ambito.
Così facendo, la Regione riprenda una vecchia tradizione pianificatoria, quella dei Piani d’area, già presenti nel primo Ptrc (quello approvato nel 1992), che nell’ipotesi originaria dovevano progressivamente andare in maniera armonica e interdipendente a pianificare paesaggisticamente e per aree contigue l’intero territorio regionale, secondo quattro livelli di priorità (i piani d’area contestuali al Ptrc; i PdA di secondo e terzo intervento; gli ambiti unitari di pianificazione di quarto livello, cioè i sistemi lineari: aste fluviali, strade di valore storico e percorsi archeologici, fasce di interconnessione dei sistemi storico-ambientali).
Nelle modalità di attuazione e applicazione, tuttavia, questi strumenti hanno completamente disatteso gli obiettivi e il disegno strategico-gestionale originale. I dodici Piani d’Area regionali approvati costituiscono un’esperienza pianificatoria, che si è svolta in un arco temporale di quasi un ventennio portando alla redazione di strumenti completamente autonomi e indipendenti, che hanno interessato territori assolutamente eterogenei, vuoi in termini di morfologie paesaggistiche, di funzioni presenti e di superfici territoriali (esempi ne sono: il PdA Delta del Po, PdA Auronzo Misurina, PdA Quadrante Europa, PdA Fontane Bianche) e hanno prodotto scarsi effetti in termini di tutela del territorio (fatta eccezione solo per alcuni di essi, vedi il PdA della Laguna e dell’Area Veneziana).
Questo approccio alla pianificazione territoriale, benché la Regione Veneto lo abbia sempre promosso come un atto di grande apertura e disponibilità alla collaborazione e condivisione delle scelte di piano con le comunità locali (la “costruzione sociale del piano”), nella realtà dei fatti è sempre stato un atteggiamento esclusivamente di facciata in quanto la regia di questi processi pianificatori è sempre stata saldamente nelle mani degli uffici regionali, che non hanno mai avuto la benché minima idea di spartirla con chicchessia. Alle comunità veniva lasciato il ruolo di semplici spettatori di un processo di progettazione che veniva svolto altrove, con obiettivi precisi e scarsamente condivisi.
Lo schema di approccio operativo rimane quindi inchiodato a un modello top-down, dove la Regione è l’attore unico dell’azione pianificatoria che si confronta a valle delle sue decisioni con gli interlocutori locali, che potranno dire la loro solo nell’unico momento formale in cui diverranno parte attiva nel processo di formazione del piano, quando cioè verrà permesso loro di intervenire attraverso la presentazione di eventuali osservazioni allo strumento adottato (poco prima della sua approvazione).
Con una filosofia di pianificazione prevalentemente verticistica, frutto delle indicazioni definite giuste dalle comunità di esperti, in cui i principi regolativi sono per lo più di natura top-down, le scelte non possono che essere di tipo gerarchico-impositivo (istituzioni e decisori versus comunità locali). In questa dimensione procedurale, il coinvolgimento nella formazione del piano vede come prioritaria la cooptazione dei saperi esperti e solo marginalmente dei saperi diffusi (quelli propri delle comunità); il modello di visioning, quando è presente, è per lo più “retrospettivo”, basato cioè su sistemi di obiettivi piuttosto che sulla proiezione verso uno scenario futuro. Una condizione nella quale le comunità locali vengono costantemente tenute al margine (se non al di fuori) delle decisioni, come se il loro contributo alla formazione del piano fosse inutile o non ritenuto conforme alle scelte del decisore.
Eppure la Convenzione europea del paesaggio mette al centro dei processi decisionali le comunità locali e il ruolo che devono svolgere nell’attività di definizione e identificazione dei paesaggi e successivamente nella loro pianificazione e gestione.
Credo che ormai i tempi siano maturi per coinvolgere realmente le comunità locali nei processi di pianificazione paesaggistica che le interessano direttamente e l’occasione della ripresa del processo di attribuzione della valenza paesaggistica al Ptrc 2020 dovrebbe essere il momento più opportuno, altrimenti sarà l’ennesima occasione perduta dalla Regione Veneto.
Certo le premesse non sono le migliori, ma staremo a vedere…