Pubblico o privato? Stato o mercato? Profit o Non profit? Siamo veramente costretti a scegliere tra l’appetito insaziabile dell’idrovora privata e l’inefficienza di un’idrovora pubblica indebitata e incapace di rinnovarsi?
Sono queste domande che ispirano un saggio di Johnny Dotti e Andrea Rapaccini, edito da Vita e Pensiero, che tenta di suggerire alternative possibili basate su una nuova visione dei Beni Comuni, attraverso un lucido percorso che ha il pregio di rinunciare a semplificazioni dogmatiche per proporsi come materia di riflessione aperta a tutti e non solo agli “addetti ai lavori”.
La “terza via” dei Beni Comuni è un tema che affrontiamo da anni e che negli ultimi mesi ha visto riaprirsi un dibattito ampio dopo la campagna della Proposta di legge di Iniziativa Popolare basata sulla riproposizione del datato documento della Commissione Rodotà e sulla presentazione – alla Camera e al Senato – del DdL “Modifiche al codice civile in materia di beni comuni e di disciplina del diritto di proprietà“. Anche il nostro Forum nazionale Salviamo il Paesaggio ne ha trattato all’interno della Proposta di legge (attualmente in discussione al Senato) per l’arresto del consumo di suolo e il riuso dei suoli urbanizzati, proponendo una nuova e più corretta applicazione dell’articolo 42 della Costituzione in merito alla funzione sociale dei beni inutilizzati.
Dotti e Rapaccini aggiungono, quindi, una serie di ulteriori suggestioni per dare spazio al “terzo pilastro” dell’economia civile per alleggerire l’invadenza dello Stato, non per privatizzare ma per socializzare e rigenerare. Compito non facile, che deve essere frutto di attenta valutazione collettiva e che gli Autori chiedono di ipotizzare cercando di «non avere paura della paura».
Per riuscirci, occorre ritrovare l’idea «dell’uomo come persona, non come individuo. La persona è un nodo unico di relazioni. L’individuo è l’astrazione di questo nodo: non ha alcuna esistenza senza le relazioni che lo costituiscono». Le relazioni hanno dato impulso a molti esempi di principi generativi, capaci di disegnare un nuovo paradigma e un possibile cambiamento delle “regole del gioco”, ad esempio cooperative sociali, patti di collaborazione, cooperative di comunità, società benefit, sharing economy, economia circolare, fondazioni bancarie e di comunità, imprese sociali, gruppi di acquisto condiviso. A cui si affiancano l’economia sociale, l’economia civile, le forme di partecipazione democratica, di autorganizzazione, di aggregazione della domanda. Tutte forme, oggi, di “nicchia” ma già ben presenti nel suggerire un loro ampio sviluppo.
Ma quando parliamo del dualismo tra pubblico e privato, in realtà ci occupiamo del sistema di gestione di un bene in grado di generare, insieme, valore sociale ed economico. Gli Autori individuano tre soggetti intermedi tra l’impresa privata tradizionale e l’attore pubblico: le imprese “multi-stakeholder” (a fini di lucro ma con un chiaro proposito sociale, come le imprese benefit che non limitano la remunerazione del capitale ma lo collegano a specifici obiettivi di impatto sociale), il Business sociale (cioè imprese, come ad esempio le cooperative sociali, che non fanno ricorso a contributi pubblici, beneficenza privata o volontariato operando con modelli innovativi su segmenti di mercato tipicamente meno profittevoli quali l’assistenza famigliare ai non autosufficienti), l’economia civile (cioè l’associazione di un numero significativo di cittadini di una comunità per la gestione di un bene comune di loro interesse in forma mutualistica o in partecipazione popolare).
Simbolo assoluto dei Beni Comuni è, per gli Autori, l’acqua, definita un «capitale naturale» e oggi governata dal pubblico privo, però, delle risorse finanziarie necessarie per procedere agli essenziali investimenti di protezione e valorizzazione. Come ovviare? La loro risposta è semplice: affidandosi agli investitori privati, ma con una logica di ritorno più a lungo periodo e non speculativa, da business sociale. Un’impresa “low profit“, in equilibrio tra profit e non profit, che coniughi le esigenze di socialità e la generazione di profitti controllati nel tempo.
Una visione che farà certamente discutere e che ci induce a rileggere attentamente quella Proposta di legge d’Iniziativa Popolare sottoscritta da oltre 400mila cittadini italiani nel 2007 e ancora oggi in discussione alla Camera: quel testo normativo suggerisce una risposta – rigorosamente pubblica – che a mio parere offre risposte più convincenti delle tesi di Dotti e Rapaccini.
Bene comune è anche il vasto patrimonio culturale e paesaggistico del nostro paese, “petrolio” puro che lo Stato non riesce a gestire e di cui viene suggerita una cura alternativa sullo stile delle collaborazioni tra pubblico e privato introdotte dal FAI e ispirate dal National Trust inglese.
Così come le infrastrutture strategiche – strade e autostrade, fibra ottica, istruzione, welfare, servizi di interesse generale – che necessitano di capitali e di investitori (privati) pazienti.
Il futuro dei Beni Comuni, in attesa che vengano definiti dal rango costituzionale, può dunque già oggi vedere azioni virtuose. Ma spetta alla pubblica amministrazione, ribadiscono Dotti e Rapaccini, declinare nei modi e nei tempi giusti il cambio di passo, attraverso quattro parole chiave:
Integrare: passare dalla politica alla policy, coinvolgendo tutti i portatori di interesse del territorio (rappresentanze formali ma anche organismi di cittadinanza di base) nelle scelte strategiche;
Orientare: diffondere un criterio di valutazione delle scelte che non sia improntato esclusivamente al criterio economico ma ai “valori” ambientali, culturali e sociali;
Ingaggiare: motivare e formare i suoi manager e dirigenti nella valorizzazione dei beni comuni come leva di sviluppo condiviso e partecipato;
Scegliere: il vero compito della politica. Che deve tornare ad avere il compito di superare il ruolo esclusivo di azionista per assumere quello di “investitore dell’interesse collettivo”.
In definitiva, il saggio pone domande epocali e suggerisce risposte lasciando ampio spazio per le riflessioni individuali (e collettive) e la ricerca di strade alternative.
Noi aggiungeremmo ancora una domanda: se oggi “il pubblico non funziona“, prima di ipotizzare il salvifico intervento di forme variegate di “privato” non dovremmo forse impegnarci a “farlo funzionare“?
Integrare, orientare, ingaggiare, scegliere. Appunto…
Recensione di Alessandro Mortarino.
L’Italia di tutti. Per una nuova politica dei beni comuni
di Johnny Dotti, Andrea Rapaccini
Vita e Pensiero, 2019
Pagine 160
Euro 14,00