E’ di pochi giorni fa la netta presa di posizione delle associazioni italiane aderenti alla “Coalizione Cambiamo Agricoltura” contro il disastroso accordo tra le maggiori forze politiche del Parlamento UE sulla riforma della PAC-Politica Agricola Comune (cioè l’insieme delle regole che l’Unione europea, fin dalla sua nascita, ha inteso darsi riconoscendo la centralità del comparto agricolo per uno sviluppo equo e stabile dei Paesi membri). Accordo ritenuto in palese contrasto con gli obiettivi delle Strategie europee “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030“, che appare come una resa incondizionata alle grandi lobby dell’agricoltura “avvelenata“.
Una situazione che rende di particolare attualità uno snello saggio scritto da Gaia Baracetti dal titolo chiaro e perentorio: “Perché bisogna abolire i contributi all’agricoltura“. Senza punti interrogativi e senza dubbi.
Un saggio che si apre con una provocazione che non può non farci riflettere sulla persistenza di un sistema feudale che vede ancora oggi l’impossibilità di accesso alla terra da parte di chi vorrebbe lavorarla in prima persona, mentre sostegni e contributi finiscono per favorire gli investitori puri, in realtà poco interessati alla effettiva cura dei terreni ma profondamente attratti da una proprietà poco tassata e da redditi garantiti dai contributi comunitari.
Un sistema che favorisce i ricchi e chi ha enormi proprietà, aumenta le diseguaglianze, allontana i giovani, come accade con assoluta evidenza in Gran Bretagna dove i contributi premiano in particolare gli aristrocratici (Regina compresa), nell’Est Europa dove i maggiori beneficiari risultano essere i politici stessi o le lobby a loro contigue, e in Italia ad appannaggio delle Mafie.
Baracetti si sofferma sull’identità dell’agricoltore, definendolo come colui che produce il bene più essenziale ma che, oggi, anziché essere valutato per questa peculiarità fondamentale, si trova a dover «rincorrere bandi, prestiti, sgravi, sussidi, corsi, cambiamenti repentini di regole e requisiti, funzionari, commercialisti, associazioni di categoria, politici… Perdendo il suo tempo e la sua autonomia decisionale, l’indipendenza. L’agricoltore dipendente dai contributi è umiliato perchè costretto ad ammettere di non poter vivere solo del frutto del suo lavoro e quindi si presenta alla società come colui che chiede e non come colui che offre». E il sistema non premia l’agricoltore o allevatore bravo, che lavora e produce in qualità e in maniera sostenibile, ma quello più capace di compilare carte, ricevere fondi, praticare “l’arte” del lobbying. Perchè i contributi non sono un aiuto, ma un obbligo!
Il saggio procede spedito alternando riflessioni e dati, case history e denunce che concorrono a definire i contributi comunitari come una forma di finanziamento dell’agricoltura industriale dipendente dalla chimica di sintesi, che consuma enormi quantità di combustibili fossili, di acqua e di energia e che sostituisce uomini e animali con macchinari. L’obiettivo evidente è una produzione dalle alte rese che è, però, causa di una realtà insostenibile. I contributi finanziano l’acquisto di macchine sempre più potenti e di nuova produzione, pagata tre volte dalla collettività: come contributo, come danno in termini di inquinamento, di consumo di materie prime per la sua fabbricazione e di terreni danneggiati e, infine, nel prezzo del cibo. Potremmo definirlo un circuito che converte il petrolio in cibo: occorrono circa 3 calorie di energia per produrre una caloria di cibo.
Cibo che, a ben vedere, il consumatore non ha il potere di scegliere poichè sono gli indirizzi politici ad indirizzare la produzione agricola e la scelta obbligata dei lavoratori della terra.
Il risultato di queste politiche è sotto gli occhi di tutti noi e non deve stupirci constatare come un settore primario e strategico come l’agricoltura veda in Italia impegnato appena il 2% della popolazione e meno del 4% degli occupati totali.
Spesso il consumatore ha la percezione che il cibo costi poco, ma si tratta di un’illusione: costa poco perchè lo abbiamo già pagato prima di riceverlo, attraverso le tasse che versiamo e da cui vengono raccolti i fondi per sostenere i contributi all’agricoltura.
«Non solo, abbiamo pagato anche il cibo che non volevamo (come la carne per i vegan) e gli sprechi degli altri. Chi butta via il cibo butta via anche una parte dei nostri soldi e finché ci saranno i contributi all’agricoltura non potremo fare nulla per impedirglielo» scrive Gaia Baracetti.
Quando parliamo di agricoltura dobbiamo anche avere ben chiaro che ci riferiamo ad un’attività poco redditizia e che in molti paesi europei la terra disponibile non è sufficiente neppure a sfamare i propri abitanti: occorrerebbe ricorrere alla tassazione della terra invece di incentivare chi la possiede.
Una riflessione necessaria che Baracetti declina nella parte finale del suo lavoro dando forma di proposte alle analisi composite che accompagnano le sue iniziali dissertazioni. E che trovano eco nelle recenti reazioni della “Coalizione Cambiamo Agricoltura” che ci ricordano come numerosi studi e oltre 3600 scienziati sostengano che l’agricoltura intensiva stia spingendo molte specie verso l’estinzione. Dal 1980, l’UE ha perso il 57% dei suoi uccelli degli ambienti agricoli, così come farfalle, api e altri impollinatori, anch’essi in grave declino.
Proteggere la natura significa anche proteggere tutti quegli agricoltori impegnati in una seria transizione agro-ecologica. I cittadini lo stanno chiedendo a gran voce, i politici non possono continuare ad ignorarli ascoltando solo le sirene dell’agroindustria…
Perché bisogna abolire i contributi all’agricoltura
di Gaia Baracetti
Phasar edizioni, 2020
92 pagine, 10,00 euro.