A cura di Domenico Sanino, Presidente Pro Natura Cuneo.
A Cuneo ci sono due ospedali, uniti in un’unica azienda: l’ospedale Santa Croce, di antica origine, oggi localizzato sull’altopiano, nel centro cittadino, a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria, e l’ospedale Carle, creato nel 1935 nella frazione Confreria, al di là del fiume Stura, per curare gli ammalati di tubercolosi. Il Carle ha tutto attorno un grande parco, oggi mal tenuto, e terreni agricoli ancora coltivati. Il Carle negli ultimi anni ha ospitato alcuni reparti qui trasferiti dal Santa Croce. Quando è scoppiata la pandemia da Coronavirus è stato trasformato in ospedale Covid, proprio per la sua posizione decentrata e indipendente.
Da anni le forze politiche parlavano della opportunità di creare un ospedale unico, ma concretamente non si era mai fatto nulla. La possibilità di attingere ai finanziamenti europei del Recovery fund ha accelerato i tempi e il Consiglio comunale, a maggioranza e contro il parere della quasi totalità della popolazione, ha deciso che bisognava realizzare un ospedale unico (e non i due che la logica più elementare avrebbe indicato come ovvi) e al Carle, dove ci sono tanti terreni da cementificare!
La decisione del Consiglio comunale è maturata nonostante i pareri negativi di tecnici, addetti ai lavori, cittadini e ambientalisti che hanno proposto di realizzare il nuovo ospedale nel sito attuale, con adattamenti e trasformazioni possibili e vantaggiose, salvando il blocco delle sale operatorie costruito da pochi anni, e utilizzare il Carle per la lunga degenza, come ospedale per le pandemie, come sede del corso universitario per infermieri (che non ha una sua sede) e, perché no, per creare tutto attorno un parco, un giardino botanico con serre per piante rare. Niente da fare.
Si sono chiesti i nostri amministratori se effettivamente alla città di Cuneo servirà un ospedale “unico”? Si sono chiesti quale sarà la medicina del futuro? Certamente l’epidemia in corso insegna che concentrare tutte le attività sanitarie in un unico edificio non è positivo; ci sono patologie, come il caso del Coronavirus, che richiedono aree indipendenti, isolate, meglio se lontano dalle città. Cuneo ha già questa opportunità e ha senso mantenere entrambe le strutture proprio per queste esigenze diverse.
Il futuro della Medicina, poi, sarà la cura a domicilio, la prossimità, l’assistenza in remoto, mentre gli ospedali saranno invasi da tanta tecnologia che cambierà il loro aspetto e la loro funzione. Il futuro ci dice che dovremo muoverci di meno, soprattutto con i mezzi motorizzati.
Invece, si è deciso di abbandonare l’ospedale vicinissimo alla stazione ferroviaria per realizzarlo in un sito non servito da mezzi pubblici! Che cosa significa questo? Oltre al consumo di suolo agricolo per realizzare il nuovo edificio, occorrerà consumare altro suolo (e soldi) per creare le strade di accesso all’ospedale (è subito ritornata in auge la circonvallazione modello autostrada che distruggerà migliaia di ettari di terreno agricolo pregiatissimo).
C’è poi da tenere in considerazione anche l’aspetto paesaggistico. Al Santa Croce può essere realizzata una struttura in orizzontale che sostanzialmente non altera le altezze attuali. Invece l’impatto paesaggistico del nuovo Carle sarà devastante, visibile in lontananza con la sua mole di cemento.
Altro interrogativo: quale sarà il destino del Santa Croce? Le “suggestioni” presentate dai sostenitori del Carle sembrano di difficile realizzazione anche per i costi elevati e le scelte tutt’altro che fattibili (polo universitario, albergo per i familiari dei decenti al Carle, sede della medicina territoriale, ecc.). Quindi, altri soldi, tanti altri soldi, che non ci saranno e che determineranno l’abbandono di questa enorme area al degrado. Il vecchio Santa Croce nel cuore del centro storico è stato svuotato nel 1960 e da allora non si è trovato modo di riutilizzarlo!
La pandemia in corso ci ha messo in ginocchio, ma ben più gravi saranno, a breve, le conseguenze del cambiamento climatico che non vogliamo in nessun modo prendere in considerazione. Non possiamo più permetterci di consumare neppure un metro quadrato di suolo fertile, perché di cemento ne abbiamo già troppo, e in futuro si prevede una drastica diminuzione della popolazione per cui non sapremo che cosa farne delle tante case. Il suolo con gli alberi e la vegetazione è il principale antidoto contro l’aumento della temperatura.
Invece si continua a cementificare.