Nell’Alta Valmarecchia, in provincia di Rimini, è recentemente nato un Comitato civico spontaneo (“Per la Valmarecchia–Comitato civico spontaneo per la tutela dagli effetti degli allevamenti intensivi“) che si è posto l’obiettivo di fermare lo sviluppo di nuovi progetti di allevamento intensivo.
Nel gennaio del 2020 Fileni, un’azienda marchigiana specializzata nella produzione di carne, oltre mezzo miliardo di euro di fatturato nel 2021, ha presentato alla Regione Emilia-Romagna il progetto di un nuovo allevamento intensivo nell’area della Cavallara, acquistata in precedenza.
L’iter si è concluso nell’aprile 2022, con l’autorizzazione ad avviare i lavori dopo l’approvazione di una variante al piano regolatore del Comune di Maiolo.
Per due anni le amministrazioni locali e l’Unione dei comuni della Valmarecchia hanno seguito l’evoluzione del percorso senza informare i cittadini, che si sono resi conto dell’arrivo di Fileni solo con l’avvio dei cantieri.
Alla Cavallara, nel Comune di Maiolo ma al confine con San Leo, Novafeltria e Talamello, sorgeranno 16 nuovi capannoni, capaci di ospitare oltre 500mila polli all’anno, allevati per 81 giorni prima di essere macellati. L’attività genererà pesanti emissioni di ammoniaca e metano, in grado di pregiudicare la qualità dell’aria e di avere effetti negativi sul clima. Il tutto – secondo quanto indica Fileni – in cambio di 3 posti di lavoro.
La reazione dei cittadini e le preoccupazione per una maxi struttura a distanza ravvicinata dai centri abitati, ha incontrato l’attenzione della stampa nazionale e la trasmissione della RAI “Report“ ha messo in onda una approfondita inchiesta che ha evidenziato diverse pratiche non corrette di allevamento e abbattimento degli animali, provocando profonde reazioni.
Secondo il Comitato, l’edificazione «riporterebbe la valle indietro di cinquant’anni, con problematiche ambientali e paesaggistiche di grande impatto sul territorio (questi impianti intensivi sono considerati per legge nocivi) a cominciare dalle pesanti emissioni di ammoniaca e di metano, con effetti negativi sulla qualità dell’aria e sul riscaldamento globale, a cui si aggiungono le criticità legate agli sversamenti nel fiume e nelle falde acquifere, all’approvvigionamento idrico, alla viabilità e traffico e l’elenco potrebbe continuare». Un allevamento intensivo proprio sotto la Rocca e il borgo medievale di San Leo viene anche valutata come un grave sfregio «all’immagine dell’Alta Valmarecchia che tanti operatori turistici, agricoltori, categorie, associazioni di cittadini, enti pubblici e privati stanno costruendo, la stessa che i nostri amministratori propagandano scegliendo claim come ‘paesaggi da vivere‘ nei documenti ufficiali tra cui quelli della ‘Strategia nazionale aree interne’, quelli del ‘Piano strategico della Valmarecchia‘ nel cui ambito è stato sottoscritto il ‘Contratto di fiume‘ da tutti i sindaci della valle, da Rimini a Casteldelci».
Anche Luca Martinelli ha dedicato una puntuale inchiesta sul numero di febbraio di Altreconomia, fotografando alcuni dati peculiari dell’impattante progetto: «Al posto dei 13 capannoni a tre piani, in parte crollati con la nevicata eccezionale del gennaio e febbraio 2012, sorgeranno 16 nuovi “grattacieli orizzontali” a un piano: definizione coniata nel 1981 dal poeta e sceneggiatore Tonino Guerra, nato nella vicina Santarcangelo di Romagna e vissuto in Alta Valmarecchia, per descrivere gli allevamenti che deturpavano le colline romagnole. Le strutture saranno lunghe tra i 107 e i 122 metri, con altezza variabile tra i 4,38 e i 4,63. Secondo i dati presentati da Fileni nell’ambito della procedura di Valutazione dell’impatto ambientale (Via), in un anno ospiteranno almeno mezzo milione di polli e arriveranno a produrre annualmente circa 2.022 tonnellate di carne avicola».
Complessivamente si può affermare che l’impianto, quando sarà in regime, rilascerà in atmosfera tra i 12.936 e i 14.091 chilogrammi di ammoniaca all’anno e tra i 2.816 e i 3.481 chilogrammi di metano. Numeri che dovrebbero allarmare, come spiega nell’articolo l’Agenzia europea per l’ambiente e come denuncia Greenpeace, che da quasi cinque anni porta avanti una campagna per dire stop agli allevamenti intensivi, iniziata nell’aprile del 2018 con la pubblicazione del dossier “Meno è meglio”: se vogliamo evitare gli impatti più devastanti dei cambiamenti climatici e rispettare l’Accordo di Parigi dobbiamo dimezzare produzione e consumo globale di carne e prodotti lattiero caseari entro il 2050.
Prossimamente avremo sicuramente modo di tornare a più riprese sulla questione, divenuta ormai – giustamente – un caso nazionale.
Concordo con il commento del Sig. Marcello Frigieri.
E’ chiaro che ormai le cosiddette “agende” sono un metodo di governo.
Contrastare gli allevamenti intensivi e allo stesso tempo non favorire (ma anzi di fatto ostacolare) le piccole realtà agricole e produttive lasciando senza servizi essenziali larghe aree, si traduce nella legge del più forte che dall’alto detta regole e condizioni che vanno a penalizzare proprio quello che a parole (e solo a parole) si dice di voler salvaguardare. Ormai al di là degli slogan, con le politiche dettate in ogni ambito, la direzione che vorrebbero si intraprenda è quella dell’impoverimento generale e dell’abbassamento delle condizioni di vita di oltre il 90% della popolazione. Sono le regole di chi comanda: la tua casa, la tua automobile inquinano, le loro ville e i loro jet privati no.
Dimezzare i consumi di carne e prodotti lattiero caseari? Conteso la tesi che siano i gas emessi dagli allevameni a provocare il cambiamento climatico che è reale ma è di tutt’altra origine. Gli allevamenti intensivi inquinano gravemente le acque e sono pessimi per il benessere degli animali. Benessere che è importante per la qualità delle carni destinate al consumo e per evitare crudeltà verso gli animali stessi. L’europa in compenso ci propone di consumare grilli e vermi questi sì che sono tossici e non fatevi imbacuccare con analisi chimiche farlocche. Quindi l’Unione Europea si attiverà con le consuete misure finanziarie e relative pressioni per ridurre il consumo di carni e compensare la riduzione delle proteine animali nella alimentazione umana con quelle di vermi e grilli. Grazie ma NO perchè sicuramente i signori benestanti continueranno mangiare carni di vitella e di polli biologici mentre la popolazione dovrà adattarsi ad alimentarsi di verni e grilli. Non và bene, l’Unione Europea liberista e guerrafondaia farà ciò che vuole ma prima o poi dovrà cessare questi soprusi. La strada è quella di salvaguardare le piccole aziende che ancora miracolosamente producono ( molto anche per l’autoconsumo) invertendo di 180° la “Politica Agricola Comune” PAC i cui contributi vanno largamente a finanziare le grandi aziende e la mezzanizzazione più spinta per favorire le famiglie proprietarie di grandi aziende agricole i cui terreni sono coltivati estensivamente a danno e detrimento delle piccole aziende che richiedono aiuti molto diversi in particolare richiedono strutture civili decentrate per poter vivere la realtà extracittadina senza dover rinunciare a buone scuole per i figli,ad un reddito monetario decente, a stutture sanitarie serie ( non lazzaretti) ed a tutte quelle misure che possono rendere la vita di chi lavora i campi meno onerosa e più gratificante.