di Paolo Pileri*.
Sembra una storia che arriva da un altro Pianeta. Non sono bastate tre alluvioni e 41 morti per far capire che non bisogna aggiungere un solo metro cubo nelle aree a pericolosità idraulica ma semmai togliere, decostruire, liberare dal cemento e dall’asfalto, ridare agio ai fiumi, diminuire l’esposizione di persone e cose ai potenziali danni, aumentare la permeabilità ovunque.
E chi non l’ha capito? La Liguria o, meglio, in Liguria, una Regione massacrata dal cemento, dove già il 23,2% dell’urbanizzato è in aree a elevata pericolosità idraulica, il 29,1% in media pericolosità e il 33,1% in bassa pericolosità (Ispra, 2022). Praticamente in Liguria è dura trovare suolo già urbanizzato non minacciato da una qualche pericolosità idraulica. Con dei numeri del genere un buon padre di famiglia -per citare il Codice civile- che farebbe? Forse si inventerebbe una legge regionale per edificare nelle aree a pericolosità idraulica? No o magari lo avrebbe fatto, incautamente, prima dei fatti di Ischia, Marche e Romagna. Ma oggi, davanti a 41 morti e ancora dei dispersi, davanti a miliardi di euro di danni e migliaia di famiglia e imprese a cui è saltato tutto, non gli dovrebbe passare per la testa neppure l’ombra di una proposta di legge per urbanizzare là dove le acque, stanche della nostra stupidità cementizia, porteranno via tutto alla prossima pioggia. E invece la Liguria ci sorprende perché nel forno della Giunta regionale sta per uscire una torta al vetriolo che prevede -reggetevi forte- una serie di vari interventi di nuova edificazione e di ampliamento degli edifici esistenti proprio dentro le aree a pericolosità idraulica elevata e media.
Per smorzare le cose si sono rivolti alle pericolosità relative, delle foglie di fico urbanistico-idrauliche fatte per urbanizzare nonostante l’assurdità. Le assurdità sono previste dallo Schema di regolamento regionale recante “Disposizioni concernenti l’attuazione dei Piani di bacino distrettuali, anche stralcio, per le aree a pericolosità da alluvione fluviale e costiera in attuazione dell’articolo 91, comma 1 ter 2 della legge regionale 21 giugno 1999, n. 18” incluso nell’atto di Giunta regionale del 12 maggio 2023 (prot-2023-0383440).
Stupefacente persino nella data: a metà tra le due alluvioni romagnole (3 e 16 maggio 2023), proprio come se nulla fosse accaduto. Come se la Liguria fosse un continente a sé, dall’altra parte dell’emisfero. Dire che è un provvedimento inopportuno oltre che pericoloso è dire poco. Però lo è, inopportuno. Lo è perché ci mostra che chi governa parti di questo Paese non ha capito la portata del cambiamento climatico e che l’accumulo di malgoverno del territorio subìto negli ultimi due, tre decenni ha reso buona parte del nostro territorio estremamente fragile: è esaurito lo spazio per nuovo consumo di suolo. Fine del cemento. Che senso può mai avere, andare a costruire in Liguria proprio nelle aree pericolose? Semmai, la storia di fragilità della Liguria e le recenti nonché antiche notizie di sgretolamento degli Appennini (su cui è gran parte di quella Regione) avrebbero dovuto far precipitare quei governanti a scrivere di getto una proposta di legge all’opposto di quanto vogliono approvare nei prossimi giorni.
Quel che occorre in Liguria e non solo sono norme che prevedono la sola desigillazione di cemento e asfalto nelle aree pericolose e di fare spazio tra edifici eliminando piastre di parcheggio e aree dismesse ma impermeabili. E invece no. Propongono il contrario. Ad esempio, all’articolo 5 di quello Schema di regolamento si arriva a dire che “all’interno di ambiti di tessuto urbano consolidato in aree a minor pericolosità relativa P3_0 […], sono consentiti: a) interventi di nuova edificazione e di ampliamento degli edifici esistenti, purché non interrati e non riguardanti servizi essenziali, che prevedano le opportune misure od accorgimenti tecnico-costruttivi […] b) nuovi parcheggi a raso”.
Le aree P3_0 sono aree ad alta pericolosità idraulica dove l’acqua rimane un po’ più bassa e scorre meno rapida delle aree P3, ma pur sempre si tratta di alta pericolosità; stanno dicendo che ci potranno stare nuove abitazioni, con dentro persone che dovranno subire una potenziale esposizione a quella pericolosità. Se gli andrà bene si salveranno ma potrebbe anche non andargli bene. E comunque non saranno evitati danni alle cose, e comunque la collettività si addosserà il costo della protezione civile e degli interventi di salvataggio e delle ricostruzioni.
Ma abbiamo proprio bisogno di questo? Sempre all’articolo 5 si dice ancora che “Nel caso di interventi di demolizione con ricostruzione senza ampliamento di edifici/manufatti esistenti deve essere assicurata la riduzione della vulnerabilità…”. Ecco vorrei spiegare a chi legge che la vulnerabilità è qualcosa che ha a che fare con le caratteristiche intrinseche della struttura edilizia e non con le persone danneggiabili. Stando a quel che si capisce dalla proposta, il legislatore sta dicendo di continuare a costruire ma con l’avvertenza di fare edifici più robusti o stagni ai piani bassi (ad esempio). Siccome il rischio idraulico è dato dal prodotto tra vulnerabilità, pericolosità ed esposizione, sicuramente se si migliora la vulnerabilità, il rischio si abbasserà. Peccato però che una buona legge dovrebbe abbassare il rischio riducendo o eliminando del tutto l’esposizione di persone e cose piuttosto che la vulnerabilità (sulla pericolosità non si può agire perché è la probabilità che piova o esondi il torrente). Capite che la sostituzione degli addendi non è proprio indifferente al risultato? Se riduco l’esposizione salvo vite e riduco i costi pubblici. Se riduco la vulnerabilità, non è detto che salvi vite né che riduca i costi pubblici legati alla protezione civile.
E allora, mi chiedo: che senso ha? Nessuno, se non quello di garantire al mondo del cemento di poter fare i propri affari liberamente e perfino nelle aree più pericolose. Ovviamente le gravità previste aumentano nelle aree a minor pericolosità idraulica relativa (le P2_0) dove sono consentiti gli “interventi di nuova edificazione e di ampliamento degli edifici esistenti, purché prevedano le opportune misure od accorgimenti tecnico-costruttivi […], e risultino assunte le misure di protezione civile” (art. 6). Di nuovo una proposta improponibile. Stanno suggerendo di fare case allagabili se si accerta che la protezione civile (spesata dal pubblico) è in grado di intervenire per tempo. Addirittura, nelle aree P2 relative si possono realizzare cantine e depositi interrati che sappiamo si riempiono d’acqua subito e la gente muore come topi.
Certo, il legislatore dice che non è ammessa la permanenza di persone, ma è solo una formula per cavarsi fuori dalle responsabilità perché sappiamo tutti che poi le persone là sotto ci vanno e ci restano o ci possono capitare ed essere travolte dall’onda. Queste cose hanno senso? Con quale coraggio vengono proposte cose del genere? E per di più con 41 morti alle spalle e miliardi di danni generatisi in poco meno di 10 mesi tra Ischia e Romagna?
Qualcuno fermi queste proposte. Lo faccia lei, presidente Mattarella: non credo abbia voglia di farsi un giro in elicottero tra qualche anno per contare nuove vittime e piangere un’Italia che si sgretola di più sotto l’insipienza politica e affaristica oltre che sotto i colpi del cambiamento climatico. Non ci dica che i danni che vedrà erano imprevedibili, perché le stiamo dicendo ora che non solo lo sono, ma stanno disegnando le condizioni di legge perché avvengano di sicuro. Progetti di legge del genere sono irricevibili e ci confermano l’impreparazione della classe politica alla questione ecologico-climatica. Una classe politica così non può e non deve governare nessun territorio, perché non è sostenibile in nulla. E poi, chi andrà a dire agli acquirenti che quelle case sono state costruite in aree inondabili e loro le stanno comprando a migliaia di euro al metro quadrato? Saranno gli assessori regionali ad avvisarli a uno a uno? Perché sulla legge non c’è scritto nulla al riguardo. Fermate quella proposta prima che apra la strada a proposte simili in altre parti d’Italia, facendo sprofondare sempre più nella insostenibilità al cubo.
* Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. L’articolo originale è apparso su www.altreconomia.it