L’agricoltura produce una notevole quantità di gas climalteranti ed è responsabile di circa un quinto di tutte le emissioni antropiche di gas serra. Rappresenta quindi uno dei settori più coinvolti dalle misure di ripristino della natura. Il nodo cruciale sarà la capacità di ogni Stato di trovare un equilibrio tra la tutela della biodiversità e le esigenze economiche
di Giuseppe Sarracino (agronomo)
Il 17 giugno 2024, l’Unione Europea ha approvato il Regolamento sul Ripristino della Natura, parte integrante del Green Deal europeo, finalizzato al ripristino degli ecosistemi degradati e al miglioramento della biodiversità, entrato in vigore il 18 agosto. Questo regolamento, vincolante per gli Stati membri, impone l’obbligo di attuarlo integralmente. Nella relazione di accompagnamento si evidenzia che “la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi proseguono a un ritmo allarmante, danneggiando le persone, l’economia e il clima”. Solo un ripristino tempestivo degli ecosistemi potrà garantire benessere, prosperità e sicurezza a lungo termine ai Paesi membri.
Questo approccio non è dettato da una visione puramente bucolica o ideologica della natura, ma riconosce l’esistenza di un nesso sempre più stretto tra la salute umana, quella degli animali e un ambiente naturale integro e resiliente. Si tratta di obiettivi ambiziosi ma indispensabili, che gli Stati membri sono chiamati a perseguire in una visione multidimensionale e integrata. Il crescente squilibrio tra spazi naturali e artificiali richiede, come previsto dal regolamento, un aumento e un recupero delle aree naturali. Questo obiettivo non è privo di difficoltà, poiché le azioni di ripristino degli ecosistemi richiedono spesso la conversione di terreni attualmente destinati a usi potenzialmente più redditizi dal punto di vista economico.
L’articolo 4 stabilisce che “Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino necessarie per riportare in buono stato le zone dei tipi di habitat”. Infatti, entro il 2030, dovranno ripristinare almeno il 30% della superficie totale di tutti i tipi di habitat non in buono stato, raggiungendo il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050, come stabilito nell’Allegato I del regolamento. A tale proposito, ogni Paese dovrà elaborare un piano nazionale di ripristino, uno strumento di pianificazione fondamentale previsto dall’articolo 14. Tale piano dovrà includere le misure necessarie per il ripristino della natura, stabilendo interventi concreti e monitorando i progressi: “Ciascuno Stato membro prepara un piano nazionale di ripristino ed effettua il monitoraggio e le ricerche preliminari per individuare le misure di ripristino necessarie per conseguire gli obiettivi di ripristino e adempiere gli obblighi di cui agli articoli da 4 a 13″.
Il Ministro dell’Ambiente ha dichiarato che “Le azioni del Piano dovranno conciliare la sostenibilità economica, ambientale e sociale degli interventi, e la definizione di appositi finanziamenti, anche di carattere europeo, sarà fondamentale per evitare l’accrescimento degli oneri per i vari settori coinvolti”. Si tratta di un impegno importante, tuttavia, non sarà sufficiente un semplice obbligo giuridico, soprattutto quando gli interventi previsti possono entrare in conflitto con attività economiche esistenti, come l‘agricoltura. Il settore primario è infatti tra i più coinvolti dalle misure di ripristino, che potrebbero influenzare le modalità di gestione, le tecniche produttive e la destinazione stessa dei terreni agricoli. Per migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli, sarà necessario adottare misure che consentano adeguati progressi, come ad esempio, il ripristino di almeno il 30% delle torbiere drenate entro il 2030, oppure rafforzerà la biodiversità negli ecosistemi agricoli.
A tale proposito, le organizzazioni agricole hanno espresso forti critiche, dichiarando: “Quella sul ripristino della natura è una legge senza logica che, tra le altre cose, diminuisce la produzione agricola” sostenendo con forza che “Con la nuova normativa verrà messo a rischio il potenziale produttivo del settore”. Queste preoccupazioni hanno allungato l’iter per l’approvazione del regolamento, tanto che è stata necessario stralciare la controversa proposta di ridurre del 10% la superficie agricola produttiva. Le preoccupazioni delle organizzazioni agricole sono comprensibili, ma la diminuzione della produttività non può essere attribuita a qualcosa che ancora deve essere attuato. Al contrario, da anni sulla agricoltura, pesano, invece, serie debolezze strutturali: il VII censimento dell’agricoltura del 2020 ha registrato una diminuzione del 30% delle aziende agricole, pari a circa 500.000, e del 2,5% della superficie agricola utilizzata rispetto al 2010. La dimensione media delle aziende è di circa 11 ettari contro una media europea di circa 60 ettari. Scarsa è la presenza di giovani imprenditori (solo il 9%, contro il 12% della media UE), troppo basso il livello di formazione (il 60% possiede solo la licenza media) inoltre il 93% delle aziende è a conduzione familiare. Anche il sostegno pubblico all’agricoltura è diminuito notevolmente, e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) non ha ancora avuto un impatto significativo.
Al contrario, il regolamento, attraverso il risanamento degli ecosistemi, mira a garantire alimenti e sicurezza alimentare, acqua pulita, pozzi di assorbimento del carbonio e protezione dalle catastrofi naturali provocate dai cambiamenti climatici. L’art. 11, “Ripristino degli ecosistemi agricoli”, prevede che “Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino necessarie per rafforzare la biodiversità degli ecosistemi agricoli, in aggiunta alle zone soggette a misure di ripristino a norma dell’articolo 4, paragrafi 1, 4 e 7, tenendo conto dei cambiamenti climatici, delle esigenze sociali ed economiche delle zone rurali e della necessità di garantire la produzione agricola sostenibile nell’Unione”.
L’agricoltura è un fattore strategico per la riuscita del Green Deal, in quanto produce una notevole quantità di gas climalteranti ed è responsabile di circa un quinto (21%) di tutte le emissioni antropiche di gas serra. Inoltre, è l’attività economica che più di ogni altra, attraverso le sue pratiche agronomiche, trasforma e modella la natura e le sue risorse. Tuttavia, il nodo cruciale sarà la capacità di ogni Stato di trovare un equilibrio tra la tutela della biodiversità e le esigenze economiche. Questo aspetto politico e sociale è di grande rilevanza, e la sfida sarà quella di creare una sinergia tra sviluppo economico e protezione ambientale, piuttosto che generare conflitti.
L’urgenza di questa mediazione è evidente, soprattutto di fronte alle continue inondazioni, sempre più frequenti e intense a causa della crisi climatica, che stanno danneggiando non solo il territorio italiano ma anche quello di tutti gli Stati membri. Nell’Unione Europea, nel 2021 e nel 2022 si è registrata un’accelerazione delle perdite economiche dovute a eventi estremi; secondo il rapporto dell’ex presidente finlandese, nel 2021 i danni hanno sfiorato i 60 miliardi di euro, e circa 52 miliardi l’anno successivo. “Il Green Deal non è un atto di generosità morale, ma è il tentativo europeo di salvaguardare il proprio futuro.”
SULL’ AGRICOLTURA
custode degli ecosistemi naturali, baluardo contro gli arrembanti predatori della speculazione energetica e la finzione di un ennesimo esiziale alibi per consumare ulteriore suolo e trasformare l’Italia in un’immensa, indistinta e squallida periferia industriale a rischio e indifesa contro le catastrofi naturali.*
Nella nuova normativa europea sul ripristino della natura ( *Nature Restoration Law),* la difesa degli ecosistemi, della biodiversità e del suolo rappresenta una condizione imprescindibile per *contrastare il cambiamento climatico*
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Dopo *70 anni di selvaggia speculazione edilizia,* incontrollata urbanizzazione e crescente diminuzione della SAU, superficie agricola utilizzabile, con *perdita completa dell’autosufficienza* per quasi ogni materia prima alimentare ( meno del 64% per grano tenero per pane e pasticceria, -44% duro per la pasta,- 53% mais,-73% soia e poi legumi, olio, frutta secca, ecc.…fonte ISMEA e CREA), e’ semplicemente *irresponsabile consumare ulteriore suolo,* tombando migliaia di ettari, tra l’altro quelli migliori e carenti, i *più fertili, pianeggianti e ben esposti* , con un osceno tappeto per km di *lugubri paramenti funebri fotovoltaici a terra* (che tutti sanno potrebbero tranquillamente trovare posto su tetti o aree industriali già consumate ( _fonte ISPRA),_ seppur con minor lucro privato dell’arrembante speculazione energetica). Già migliaia di ettari agricoli, soprattutto a grano, pianeggianti del *Sud più bello (Sicilia, Puglia, Lucania, Molise)* sono stati impunemente massacrati, con “allegro” cambio di destinazione d’uso, e ora tocca alle località più iconiche del Centro, in particolare della Tuscia, “rea” di aver preservato vaste aree agronaturalisticamente integre e quindi particolarmente appetitose alla speculazione energetica: a Tuscania, Tarquinia e, soprattutto, Vulci-Montalto di Castro ormai si *coltiva quasi più silicio che grano* e centinaia di progetti predatori incombono su quelle *zone patrimonio dell’umanità.*
L’indiscriminato assalto alla terra non ha trovato fino ad oggi un valido contrasto istituzionale visto anche il progressivo e doloso *annacquamento delle norme di tutela ambientale* degli ultimi anni e contemporaneamente per il crescere del fenomeno di ” *agri-bashing* “, ovvero la sistematica *denigrazione dell’agricoltura* accusata da una popolazione che ha ormai dimenticato il faticoso lavoro dei nonni, di avere effetti nocivi sulla salute, sull’ambiente e sul benessere degli animali. Tutti luoghi comuni ossessivamente ripetuti con slogan orecchiabili da pessimo marketing mediatico, seppur facilmente smontabili con fatti e dati scientifici che però nessuno ha voglia e capacità di studiare: basti pensare che l’agricoltura, unico settore di importanza socio-economica, in virtù della fotosintesi delle colture erbacee ed arboree, *assorbe enormi quantitativi di CO2 (ben 54 gigatonnellate l’anno)* e che da decenni è invece costantemente relegata al ruolo di grande inquinatore per le 10 gigatonnellate che annualmente emette, come ogni buon talchsciò si lustra di sentenziare.
Invece l’attività agricola è la *prima custode dell’agro-ecosistema e produttore di beni e/o benefici diversi dal cibo* , se questo tante volte risultasse di scarsa importanza “culturale”, essendo di facile, banale reperibilità nel frigorifero o nello straboccante supermercato sotto casa.
Oltre a un *immenso stoccaggio della CO2* con l’attività fotosintetica delle colture, e ovviamente, al cibo che fino a prova contraria tiene più in vita dell’energia, l’attività agricola fornisce *gratuitamente e silenziosamente preziosi, indispensabili e insostituibili servizi ecosistemici che* altrimenti sarebbero costosissimi alle comunita’, agli Stati.
I servizi ecosistemici sono *funzioni o processi ecologici vitali,* come la produzione di ossigeno atmosferico, il ciclo o il filtraggio dell’acqua dolce, la sintesi di carboidrati da parte delle piante o il mantenimento di condizioni climatiche stabili, che costituiscono il *capitale naturale* . Lo stesso capitale naturale su cui si basa l’attività agricola e che essa stessa può aiutare a ripristinare ed aumentare. Il contributo dell’agricoltura nel garantire la fornitura di servizi ecosistemici da parte dell’agroecosistema è richiamato anche nell’ambito _dell’obiettivo 2.4 dei Sustainable Development Goals (SDG) (nota 9) delle Nazioni Unite._
I *servizi ecosistemici* non producono effetti immediati e di grande impatto, ma operano con i ritmi dei processi naturali e, per questo, risultano *spesso invisibil* i. Risulta molto più difficile formare una consapevolezza intorno all’invisibile o al difficilmente quantificabile, e si preferisce sorvolare nel consueto talchsciò marchettaro denigratorio.
Il suolo NON CONSUMATO fornisce all’uomo i servizi ecosistemici necessari al proprio sostentamento ( _Kumar et al., 2012):_
– *sequestro di ingenti quantità di carbonio;*
– riserva, filtraggio e trasformazione delle *sostanze nutritive e delle acque* meteoriche o irrigue;
– ritenzione e rilascio di *nutrienti* nei terreni;
– supporto alla vita, riserva di *biodiversità* , habitat delle specie vegetali e animali, tra cui l’uomo, partendo dalla valorizzazione degli elementi minerali, bio-chimici e fisici legati al *ciclo della fertilità;*
– *produzione di biomassa, materie prime naturali* per le attività umane e, ovviamente, di cibo variato e vocato nei vari ambienti per il benessere e la longevità di miliardi di persone;
– regolazione dei *cicli idrologico e bio-geochimico,* e con la relativa capacità *depurativa* ;
– mantenimento *dell’equilibrio idrogeologico* .
– *regimazione e controllo sistematico delle acque superficiali* , attraverso anche le ben studiate *sistemazioni idraulico-agrarie* dei pendii volte a ridurre le perdite di suolo causate *dall’erosione e attenuare la velocità cinetica dell’acqua nel ruscellamento* superficiale che può generare disastrose alluvioni nei centri abitati. Un terreno impermeabilizzato anche solo per il 50% ha un tasso di *deflusso cinque volte superiore* rispetto ad un terreno naturale ( _Zullo et al., 2022_ ). Un suolo agricolo perfettamente funzionante può immagazzinare fino a 3750 tonnellate di acqua per ettaro ( _Commissione europea 2012_ ). Le modifiche apportate al suolo naturale ( _con cemento, asfalto o silicio NdR)_ riducono notevolmente la *capacità di infiltrazione totale* della superficie di un bacino avendo inevitabili effetti negativi sulla ricarica degli acquiferi proporzionalmente al grado di impermeabilizzazione ( _Zullo et al., 2022)._ E solo dopo la saturazione comincia un iniziale lento deflusso che invece è *immediato e catastrofico sulle troppe e crescenti superfici artificiali impermeabilizzate.*
– e _at last but not least_ *valori culturali* , in quanto archivio storico-archeologico, *patrimonio e quinta maestosa del paesaggio* naturale e dei beni artistici e architettonici che portiamo nel cuore della nostra identità.
Un aspetto *profondamente etico* , non superficialmente estetico come minimizzano e sbertucciano _pro lucro suo_ i neo-predatori della speculazione energetica e i loro avventati garruli sostenitori che Negano l’Ambiente.
Necessità fa virtù. L’uomo deve restituire alla Natura la capacità di rigenerarsi e di assorbire senza traumi gli eventi atmosferici.