Approfondisci – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Sat, 06 Jul 2024 20:28:32 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.6 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg Approfondisci – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Vittorio Peretto: la liberazione estetica del giardino http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/vittorio-peretto-la-liberazione-estetica-del-giardino/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/vittorio-peretto-la-liberazione-estetica-del-giardino/#respond Tue, 02 Jul 2024 08:36:56 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16634 Di Maurizio De Caro (pubblicato su One Magazine Listone Giordano)

Vittorio Peretto, nato a Milano, in una famiglia che si tramanda dai tempi del bisnonno giardiniere in una villa neoclassica di Valdagno (Vi), delle piante di Convallaria japonica. Una sorta di testimone vegetale, erbaceo, secolare, passato di padri in figli senza interruzioni fino all’attuale quinta generazione.

In dieci pagine tracciate in punta di matita con piccoli disegni, e il tratto di scrittura sicuro e pieno di grazia, l’Autore ci consegna un minuscolo e profondo trattato sull’essenza stessa del “fare giardino, del fare paesaggio”, da Originalità-Eredità, passando per lontananza fino a comunicazione-contaminazione, un viaggio pieno di stupori, denso e circostanziato.

Da molto tempo non leggevamo con tale emozione un testo, che è al contempo viaggio di formazione e pausa di riflessione.

Peretto ci racconta in poche parole quanto sia una forma di benessere psico-fisico, avere la fortuna e la piacevolezza di guardare (e forse essere guardati) da ogni essenza naturale, vivente.

Vittorio Peretto, architetto paesaggista – ph Altitudini

Respiro silenzioso del mondo, compagne delle nostra evoluzione umana e della ricerca per il futuro, nella lentezza, premio e dono presente in ogni condizione ambientale che coinvolga gli esseri umani, tutti.

In queste poche pagine si legge la passione e l’impegno dell’autore per la creazione di luoghi migliori, dove architettura e paesaggio possano finalmente convivere in uno stato di perenne scambio antropologico, in un percorso etico significativo e irrinunciabile, fino a trovare quella libertà dove l’esperienza umana raggiunge il suo punto alto.

Devo anche riconoscere la totale assenza di retorica e di facile accettazione dei percorsi più alla moda di Peretto, una visione laterale, non manieristica, non estetizzante o facile da metabolizzare, in queste righe non a caso vergate a mano, c’è l’invito a guardarsi dentro per poi poter modificare quello che c’è fuori, intorno a noi, e in questa crasi si raggiunge la perfetta sintesi di cui la contemporaneità e l’antropocene hanno bisogno.

Ecco l’attualità di questa boccata d’aria fresca, cristallina, balsamica, ed infatti Peretto afferma senza difficoltà che in natura tutto ha una logica”, e come dargli torto, se ci invita a guardare al mondo con occhi meno velati dalla nebbia costante, che non ci fa godere delle meraviglie che abbiamo ricevuto in dono (ancora per poco), senza avere alcun merito, anzi attaccando i paesaggi solo per violentarli, distruggerli, renderli insopportabilmente artificiali.

Qui le trame ordite dall’architettura moderna e contemporanea si intravedono tutte, un processo di sostituzione tra naturalità e artificio che ha impedito ai fruitori della “città dell’adesso, istantanea”, di mantenere almeno la nostalgia del paesaggio, come se fosse una contraddizione in termini con la teorizzazione del progetto urbano attuale.

I drammi epocali del pianeta hanno cominciato a farci riflettere su alcuni argomenti che non sono mai stati attuali come negli ultimi venti o trent’anni, “il paesaggio tutto contiene e tutto trattiene scritto” afferma Martin Pollack, e queste ferite sono difficili da sanare, se non troviamo le cure adatte.

Questo breve saggio, unitamente all’opera di qualche decennio di Peretto ci indica una soluzione, ci chiede, e lo chiede agli architetti, quell’attenzione che è mancata nell’affrontare i temi urgenti, grandi e piccoli, e ci chiede ad ogni rigo del suo testo di coltivare nuove meraviglie, in un progetto di vera e beuysiana “difesa della natura”, prima che sia troppo tardi.

Queste “libere riflessioni sulla libertà del giardino”, è una lettura che toglie l’ansia e produce comunque una qualche forma di serenità, che si esplicita nelle pagine bianche che sono lasciate al lettore affinché le riempia di qualche idea, di qualche silenzio, di qualche nota, insomma la parola fine è ancora lungi dall’essere scritta ma, questo non ci impedisce, di continuare ad ascoltare il silenzio frenetico del grande giardino che ci circonda.

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Contratti di paesaggio: l’anello (mancante) di congiunzione tra Convenzione europea del paesaggio e Codice dei beni culturali e del paesaggio http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/contratti-di-paesaggio-lanello-mancante-di-congiunzione-tra-convenzione-europea-del-paesaggio-e-codice-dei-beni-culturali-e-del-paesaggio/ Fri, 31 May 2024 08:17:34 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16605 di Endri Orlandin.

L’attuale sistema di pianificazione del paesaggio italiano è frutto del tentativo di integrazione tra due approcci metodologici in apparenza affini ma in realtà assai divergenti: la Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000) e il Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto Legislativo n. 42 del 2004).

La legge nazionale, pur conformandosi nominalmente agli obblighi e ai principi di cooperazione tra gli Stati, fissati dalle convenzioni internazionali in materia di conservazione e valorizzazione del paesaggio, evidenzia alcune discordanze rispetto al compendio di norme contenuto nella Convenzione. Sono diverse le questioni sulle quali si generano incoerenze e fraintendimenti metodologico-applicativi.

La prima è sicuramente connessa alle definizioni di paesaggio e pianificazione e al ruolo attivo attribuito alle popolazioni che sono prioritariamente coinvolte nella percezione e nella costruzione della dimensione sociale del paesaggio, oltre che nella partecipazione al processo di costruzione del progetto di piano.

La Convenzione sin dalla declinazione della definizione di paesaggio attribuisce un ruolo fondamentale alle popolazioni nella sua percezione e cognizione. Ancor più impegna gli stati a riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità. Prevede altresì misure specifiche volte alla valutazione dei paesaggi tenendo conto dei valori specifici che sono loro attribuiti dalle popolazioni. Il Codice, invece, all’articolo 131, definisce piuttosto sbrigativamente il paesaggio come il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni. Si evince che alle popolazioni non viene attribuito alcun ruolo attivo nella determinazione dei valori identitari del paesaggio quale luogo della vita quotidiana, della rappresentazione dei valori etici della società e della memoria individuale e collettiva. Un atteggiamento, quello del legislatore italiano, alquanto propenso a determinare la definizione del concetto di paesaggio come un dato di fatto, un dogma, figlio di un’interpretazione “esperta” che non lascia spazio alcuno alla dimensione sociale.

Passando alla definizione di pianificazione paesaggistica il Codice afferma che il territorio deve essere adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono, mentre la Convenzione definisce la “pianificazione dei paesaggi” come il processo formale di studio, di progettazione e di costruzione mediante il quale vengono creati nuovi paesaggi per soddisfare le aspirazioni della popolazione interessata.

Un aspetto che appare determinante nell’applicazione di questo dettato è costituito dal legame imprescindibile tra paesaggio e popolazioni contenuto nella Convenzione. La costante presenza della società civile e del compito a essa assegnato nel processo di costruzione degli apparati di pianificazione costituisce una discriminante fondamentale tra modalità di approccio metodologico alla determinazione dei principi generali, delle strategie e degli orientamenti ai fini della salvaguardia, della pianificazione e della gestione del paesaggio. Inoltre se nella Convenzione la pianificazione paesaggistica determina un processo dinamico in cui vengono assecondati i cambiamenti nelle e delle popolazioni, il Codice invece è orientato alla restituzione di un’immagine statica dello stato di fatto (facendo riferimento alle bellezze individue e d’insieme e alle zone di particolare interesse ambientale, rispettivamente ai sensi delle leggi 1497 e 1089 del 1939 e della 431 del 1985).

A fronte del ruolo palesemente identitario attribuito alle popolazioni, sia nel processo di riconoscimento e interazione con il paesaggio che in quello di condivisione del progetto di piano, delineato dalla Convenzione, nel Codice tale indicazione viene mediata attraverso processi partecipativi e forme di concertazione istituzionale rivolte ai “soggetti interessati” e alle associazioni portatrici di interessi diffusi (individuate ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di ambiente e danno ambientale).

Fin da questo primo incrocio di orientamenti appare piuttosto chiaro il divario non solo semantico ma culturale tra i due testi normativi.

Tale diversità è insita anche nei comportamenti pianificatori assunti dalle Regioni che sinora hanno avviato (e in alcuni casi concluso) il processo di redazione dei nuovi strumenti di pianificazione paesaggistica che, da un lato, hanno saputo cogliere alcune delle innovazioni teorico-metodologiche introdotte dalla Convenzione, dall’altro, sono riuscite a conformare i propri piani ai dettati del Codice.

Le istanze formulate dalla Convenzione si riflettono spesso nell’approccio metodologico alla definizione della forma e dei contenuti del piano tentando innanzitutto di superare la tradizionale azione di tutela vincolistica del paesaggio, concepita per specifiche parti di territorio o categorie di beni. La centralità assunta dalla pianificazione e la concezione estensiva e integrata di paesaggio consentono di superare la limitatezza delle disposizioni volte a tutelare sia singoli oggetti che porzioni di territorio. Sotto questo profilo tutto il territorio può considerarsi paesaggio, così come sancito dalla Convenzione.

L’integrazione nella nozione di paesaggio di nuovi postulati disciplinari costituisce inoltre un segnale di innovazione metodologica nell’approccio alla pianificazione. Alcuni dei nuovi processi di costruzione degli strumenti di piano sono stati impostati attraverso un percorso che mette in relazione tra loro: approccio cognitivo, veicolato dalla Convenzione, relativamente alla percezione identitaria dei luoghi da parte delle popolazioni (i cosiddetti sedimenti immateriali, ovvero il patrimonio genetico-testimoniale delle popolazioni che vivono, e hanno vissuto, un territorio), oltre a quello più tradizionale insito nella cultura vedutistica italiana; approccio culturale, al cui centro vengono posti prioritariamente i sedimenti materiali, corrispondenti all’insieme dei beni paesaggistici vincolati ex lege e agli ulteriori inventari di beni architettonici, storico-testimoniali, etc.; approccio ecologico, orientato alla conoscenza evolutiva dei sistemi interagenti di ecosistemi; approccio strutturale, che mette in relazione temporale insediamento antropico e ambiente e interpreta processualmente le relazioni fra “paesaggio ecologico” e “paesaggio culturale”; approccio ambientale, incentrato sulla lettura degli aspetti abiotici (appartenenti principalmente alle scienze della terra) e biotici (riferibili alle scienze biologiche).

Tutto ciò sinora ha costituito l’unica via seguita dalla pianificazione paesaggistica, senza prefigurare e/o ammettere ulteriori opzioni esperibili nell’azione di piano e di gestione del paesaggio.

Appare oramai giunto il momento di abbandonare un paradigma esclusivamente “impositivo” che, come hanno dimostrato i fatti, ha portato a scarsissimi risultati in vent’anni di applicazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio (con soli cinque piani paesaggistici regionali approvati e diversi da lungo tempo in fase di revisione) e i risultati sono sotto gli occhi di tutti sia in termini di consumo di suolo/paesaggio che di devastazione del territorio a causa di una quantomeno distratta gestione delle misure e delle azioni di prevenzione dei rischi idraulici e idrogeologici.

Il tradizionale modello operativo top-down andrebbe ripensato e ri-orientato verso strumenti e processi di pianificazione paesaggistica negoziata, strumenti pattizi, volontari e partecipativi, fortemente innovativi e aggregativi, atti a introdurre forme di gestione sostenibile per paesaggi in cui le realtà locali siano portatrici delle proprie istanze, anche attraverso percorsi proattivi e inclusivi, come ad esempio forme di amministrazione condivisa che prendano vita da alleanze tra cittadini e pubbliche amministrazioni, ponendo al centro dell’attenzione e del percorso progettuale l’attività di pianificazione connessa all’individuazione degli ambiti di paesaggio e alla definizione dei loro contenuti meta-progettuali (gli obiettivi di qualità paesaggistica).

Ormai sono molteplici e mature le esperienze che vanno nella direzione in cui il processo di pianificazione viene inteso soprattutto come pratica sociale. Queste “pratiche informali” hanno un nome e una loro, anche se pur breve, prassi empirica e sono i Contratti di paesaggio, esperienza avviata in Umbria oltre dieci anni fa con riferimento ai “territori montani di Foligno, Trevi e Sellano”, “al Trasimeno” e “ai territori dei comuni di Acquasparta, Avigliano Umbro, Montecastrilli e San Gemini”. L’Osservatorio regionale per la qualità del paesaggio umbro ha assunto tali Contratti quali strumenti di pianificazione territoriale negoziata, ascrivibili alla categoria degli strumenti decisionali inclusivi, inerenti ad azioni di tutela e valorizzazione del paesaggio, volti alla riqualificazione di aree particolarmente rilevanti o sensibili.

Tali strumenti partecipativi sono fondati su intese e accordi, con valore contrattuale, tra comunità locali e istituzioni.

I Contratti di paesaggio possono quindi coniugarsi efficacemente con gli ambiti di paesaggio che, suddividendo il territorio regionale in macroaree fino a perimetrarlo interamente, ne definiscono anche gli obiettivi di qualità paesaggistica, prestando particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. In quest’ottica la dimensione pattizia può facilmente agevolare la gestione del processo di pianificazione e progettazione paesaggistica, consentendo agli abitanti di svolgere un ruolo da protagonisti, propositivo e attivo, nella tutela e nella valorizzazione di un bene comune tanto prezioso.

L’elemento qualificante di tale approccio è costituito dal pieno coinvolgimento delle comunità locali. Gli abitanti, gli enti locali e le associazioni sono chiamati non solo a rendere conto degli impatti prodotti e dei possibili contributi delle loro azioni rispetto a un processo predefinito, ma a delineare essi stessi obiettivi, strategie e priorità per le scelte future. Così facendo la responsabilità di attenersi agli obiettivi (di qualità paesaggistica) prefissati è garantita dal fatto che tali finalità siano state definite e condivise localmente dalla collettività.

La componente attuativa, che nei Contratti si traduce generalmente nel Programma di azione, può essere garantita dalla mutuazione degli obiettivi di qualità paesaggistica, delineati per ogni ambito di paesaggio, quali linee guida per la definizione delle azioni progettuali, alle quali associare tempi di attuazione, soggetti responsabili e risorse a disposizione.

I tempi sono ormai maturi per abbandonare il tradizionale sistema top-down e intraprendere un approccio proattivo/negoziale orientato alla partecipazione e all’inclusione delle comunità nella formulazione e assunzione condivisa di visioni e decisioni con contenuti operativi (attraverso gli ambiti di paesaggio), oppure di progetti partecipati di paesaggio mediante modalità di governance collaborativa.

Gli abitanti dei nostri territori cosa devono ancora dimostrare, o che cosa gli manca, per assurgere al ruolo di protagonisti nelle scelte progettuali che andranno a incidere sul futuro dei paesaggi della loro quotidianità?

In un paese fragile e costantemente a rischio come il nostro un simile approccio dovrebbe essere preteso dalle comunità locali prima ancora che espresso dalle leggi, sia come forma di autodeterminazione comunitaria, sia come processo di legittimazione sociale nei confronti dei processi di pianificazione (che è insito nel principio di sussidiarietà).

In fin dei conti esiste nel nostro Paese una grande tradizione e varietà di dimensioni, organismi e domini amministrativi in grado di proporre geografie e compagini con un’ormai consolidata esperienza nella gestione di processi decisionali dal basso e applicabili al paesaggio, basti ricordare le unioni di comuni, le comunità montane, le aree interne, etc.

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La lettura del paesaggio http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/la-lettura-del-paesaggio/ Thu, 30 May 2024 08:57:59 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16592 Segnaliamo con piacere la recente pubblicazione di un nuovo libro di Frederick Bradley (edito da Pacini Editore) dedicato al paesaggio, di sicuro interesse per molti nostri lettori.

LA LETTURA DEL PAESAGGIO

In accordo alla Convenzione del Consiglio d’Europa sul Paesaggio. Implicazioni, applicazioni e potenzialità

Frederick Bradley

Percepire il significato degli elementi che formano il territorio e interpretarlo in base alla propria conoscenza. Questo, in estrema sintesi, vuol dire leggere il paesaggio.

Un approccio alla conoscenza del paesaggio, definito cognitivo-percettivo, che supera sia la tradizionale visione umanistica, basata sulla percezione estetica, sia l’analisi tecnico-scientifica, che esamina la realtà in quanto tale.

L’ampio riscontro che questa procedura trova nella Convenzione del Consiglio Europeo sul Paesaggio ne fa il paradigma di riferimento per la sua applicazione pratica nella pianificazione e gestione del territorio, e nel coinvolgimento della popolazione a tali attività.

Il metodo di lettura proposto è oggetto di una attenta disamina volta, da una parte, a confrontarlo con la visione, spesso controversa, del paesaggio propria della società moderna, e dall’altra a evidenziarne le potenzialità come strumento di conoscenza libero e universale.

Scarica l’indice del libro.

Per informazioni e acquisti vai sul sito di Pacini Editore.

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Per una agricoltura e una Europa capace di futuro http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/per-una-agricoltura-e-una-europa-capace-di-futuro/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/per-una-agricoltura-e-una-europa-capace-di-futuro/#comments Fri, 24 May 2024 16:44:50 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16590 L’Ecoistituto della valle del Ticino ha incontrato gli agricoltori del territorio. In un quaderno monografico analisi e riflessioni, per superare le pericolose semplificazioni che hanno caratterizzato il dibattito seguito alle recenti proteste e ribadire la necessità di favorire l’ampliamento dell’agricoltura contadina virtuosa a scapito di quella estrattiva dell’agro-industria

di Oreste Magni (Ecoistituto della Valle del Ticino)

Mercoledì 6 marzo, un folto gruppo di agricoltori si è incontrato alla Cascina Caremma di Besate (Mi). Negli stessi giorni i governanti in Italia e in Europa stavano promettendo di cancellare la diminuzione dei pesticidi, la parziale messa a riposo di porzioni di terreni agricoli, l’incentivazione della rotazione delle coltivazioni, arrivando, alcuni di loro, a definire come “estremistiche ed ideologiche” queste ed altre scelte di puro buon senso che loro stessi avevano votato.

I dietrofront contraddittori dei governanti, servono a questi nostri agricoltori? Sono loro stessi a dirci di no, quelle scelte vanno invece incontro all’agro-industria e ai colossi mondiali che hanno quasi il monopolio planetario nel commercio di sementi e pesticidi e che decidono i prezzi dei prodotti agricoli. Monsanto, Bayer, Cargill, che con i loro rivenditori continueranno a vendere come prima, mentre i loro azionisti vedranno i loro guadagni assicurati.

Non è questo che chiede l’agricoltura che ha cura del territorio, e chi nel mondo scientifico si sta occupando del problema. Quelle concessioni all’agro-industria non servono né a loro né a noi cittadini, né all’economia, né al pianeta.

Nella loro lettera (vedi a pag. 6 del n 6 dei Qauderni per pensare, a cura di Ecoistituto della Valle del Ticino, supplemento a La città possibile) Gabriele, Dario, Renata, Niccolò e gli altri produttori fanno notare che gli agricoltori non sono tutti uguali. Purtroppo, fino ad oggi la politica agricola della UE ha premiato soprattutto l’agricoltura industriale, che tende a produrre enormi quantità a prezzi bassi, impoverendo sempre più gli ecosistemi e i piccoli agricoltori.

Andando in questa direzione ci perderemo tutti: la nostra salute, quella dei terreni, dei fiumi e dei mari, delle falde acquifere e dell’aria che respiriamo. Il Servizio Sanitario Nazionale, l’INPS, l’INAIL continueranno a spendere un sacco di soldi (nostri) per curare le malattie provocate dall’inquinamento, da una nutrizione troppo povera e cibi di dubbia qualità e provenienza.

Un serio dibattito sulle reali cause del disagio degli agricoltori, non va quindi indirizzato contro la protezione dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climaticiLa riflessione va incentrata su un sistema alimentare ingiusto, espressione degli interessi delle grandi corporazioni agroindustriali (chimiche, meccaniche, sementiere, della trasformazione alimentare), che penalizza chi produce e chi consuma.

Questo quaderno, nell’interrogarsi insieme a questi agricoltori, su cosa possiamo fare, vuole essere una piccola ma convinta voce diversa, che vada al di là alle narrazioni interessate delle lobby e dei monopoli agroindustriali.

Le registrazioni video dell’incontro del 6 marzo, le potete trovare sul nostro canale youtube digitando www.ecoistitutoticino.org alla voce media.

Oreste Magni

Ecoistituto della valle del Ticino OdV

info@ecoistitutoticino.org

Scarica qui il numero di aprile 2024 dei Quaderni per pensare, a cura di Ecoistituto della Valle del Ticino, supplemento a La città possibile

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http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/per-una-agricoltura-e-una-europa-capace-di-futuro/feed/ 1
Mezzo secolo dopo: “Roma moderna” ci parla ancora del nostro futuro http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/03/mezzo-secolo-dopo-roma-moderna-ci-parla-ancora-del-nostro-futuro/ Tue, 12 Mar 2024 19:05:35 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16418 Segnaliamo l’iniziativa di presentazione della nuova edizione ampliata del saggio “ROMA MODERNA” di Italo Insolera, che si svolgerà il 26 marzo, alle ore 17.30, presso l’associazione culturale Enrico Berlinguer, Viale Opita Oppio 24.

Comunicato di: Paolo Berdini per Roma La Città Pubblica e Anpi Cinecittà Quadraro

A marzo 2024 esce la nuova edizione dello storico insuperato saggio di Italo Insolera su Roma, curata dal collega, amico e collaboratore Paolo Berdini: ne discutiamo con lui insieme a studiosi, cittadini, associazioni, in collaborazione con l’Associazione Enrico Berlinguer, la Sezione ANPI Nido di Vespe Quadraro, il Comitato per il Pratone di Torre Spaccata; partecipa Fabio Sebastiani che cura la diretta radio web su Radio Mir.

“Molte cose succedono in cinquant’anni, scrive Italo Insolera in apertura della premessa per l’edizione di Roma moderna del 2011, l’ultima con lui ancora in vita. Succede che le città mutano il proprio volto. Succede che il clima culturale che alimenta i progetti urbani muti radicalmente.

La prima edizione del volume era uscita nel 1962. Tre anni prima era stato pubblicato un numero monografico della rivista dell’Istituto nazionale di urbanistica dedicato a Roma. Vi scrissero i migliori urbanisti e architetti italiani.

Leonardo Benevolo e Ludovico Quaroni. Mario Coppa e Michele Valori. Insolera aveva compiuto trenta anni, era il più giovane del gruppo ma svolge la parte del protagonista. (…)

Urbanistica era la rivista ufficiale dell’Inu. Ne era presidente Adriano Olivetti, morirà nel 1960. Insolera già collaborava con l’altro fondamentale periodico del pensiero olivettiano: Comunità. Nella “Città dell’uomo” Olivetti scriveva “il piano è un atto di civiltà, un atto di amore verso un paesaggio e un atto d’amore verso un gruppo di uomini”. Negli anni cinquanta, dunque, la cultura si cimenta nel tentativo di dare un volto umano, la comunità, ad una città capitale cresciuta troppo in fretta e male.

Uno dei successi più straordinari scaturito da quel contesto culturale prende forma nel 1981, (…) quando avvenne la prima chiusura domenicale di via dei Fori Imperiali. “Prima i monumenti delle automobili” si disse.

Protagonisti di quello storico risultato furono Antonio Cederna, Adriano La Regina, Italo Insolera e i due sindaci che avevano creduto alla proposta: Giulio Carlo Argan e Luigi Petroselli. La prima chiusura simbolica sembrava delineare un futuro in cui tutto sembrava possibile.

Di sogni altrettanto nobili era del resto pieno il paese. Nel 1978 venne approvata la legge Basaglia che chiudeva secoli di cultura della segregazione della malattia mentale. Nello stesso anno è istituito il servizio sanitario nazionale. Negli anni ’70 viene profondamente innovato il sistema scolastico dell’obbligo. Nel campo dell’urbanistica, alla fondamentale legge sugli standard urbanistici, e cioè il riconoscimento del diritto di ciascun cittadino ad avere verde e servizi pubblici, si accompagnarono in quegli anni le più importanti leggi di riforma.

Negli anni ’80 matura la svolta culturale che tuttora viviamo. Il sistema del welfare urbano inizia ad essere eroso, mentre le leggi di riforma urbanistica vengono sistematicamente smantellate. I piani urbanistici che tanto avevano interessato le migliori intelligenze di cui parlavamo, oggi non esistono più. Una serie di leggi derogatorie consentono infatti di intervenire nelle città a prescindere dalle regole degli strumenti urbanistici. Le città sono governate dalla convenienza economica dei protagonisti in campo, e cioè dalla proprietà fondiaria e dai fondi di investimento internazionali. Diritti collettivi, vivibilità e bellezza divengono lontane chimere. (…)

(…) In poco più di venti anni, a partire dal 2000 l’economia dominante ha diffuso nella campagna romana oltre 50 grandi strutture commerciali che oltre a contribuire alla frammentazione urbana, hanno anche causato la rarefazione del tessuto commerciale delle periferie, specie di quelle più lontane. La convenienza economica ha trasformato nel profondo la città senza che alcuna regola urbanistica potesse porvi argine.

Sempre a partire dal 2000, il fenomeno del turismo di massa ha cambiato profondamente la città storica. Dopo la parentesi Covid, a Roma giungono più di 50 milioni di presenze turistiche all’anno. 150 mila persone ogni giorno che snaturano il centro ridotto ormai ad una fila ininterrotta di locali per la somministrazione di cibo. La sera e la notte, molti quartieri sono preda di ogni tipo di degrado. Il centro storico è diventato un luna park. (…)

(…) Il ragionamento sulla cesura che si è prodotta nella cultura urbana liberale era già presente nell’edizione 2011. Appena chiusa la stesura di quella edizione era stato Insolera a sollecitare di approfondire le radici dei mutamenti culturali intervenuti. Disse che dovevamo iniziare dal pensiero e le idee per Roma capitale di Quintino Sella. Non ne ebbe il tempo. Quel percorso appena avviato è parte integrante di questa nuova edizione di Roma moderna. (…)

(…) Un ringraziamento va infine alle persone e ai gruppi che da tante zone di Roma mi hanno coinvolto nei loro sogni per una città migliore e nelle vertenze contro la famelica speculazioni. Mi hanno permesso di comprendere che l’immagine della Roma luccicante e patinata che ci viene proposta dal mercato turistico internazionale nasconde il vuoto drammatico di prospettive che vivono le periferie abbandonate a sé stesse. Roma moderna deve ancora diventare capitale.”.

(Paolo Berdini, Premessa alla nuova edizione ampliata, marzo 2024)

L’evento del 26 marzo potrà essere seguito anche in diretta streaming su questa pagina.

Per info: mariomusumeci53@libero.it / 3490974286

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Trattori in giro per l’Europa…contro l’Europa? http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/02/trattori-in-giro-per-leuropa-contro-leuropa/ Fri, 16 Feb 2024 13:16:54 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16370 di Renata Lovati.

In questi giorni stiamo assistendo ad imponenti manifestazioni di agricoltori di tutta Europa, spesso spontanee e non facenti riferimento ad organizzazioni professionali e sindacali rappresentative, che portano all’attenzione della opinione pubblica e delle Istituzioni un profondo disagio della categoria.

Disagio legato in primis al profondo divario che c’è tra la quantità di lavoro e di passione presente nel ciclo produttivo agricolo e il reddito che ne deriva che, spesso, è pura sussistenza.

In moltissimi casi e in modo diffuso in tutta Europa queste manifestazioni hanno individuato la Politica Agricola Europea e, in particolare, la sua recente evoluzione greening, come la responsabile di questa dicotomia. E’ stato facile, per l’avanzante populismo e nazionalismo europeo con alcune tragiche presenze di estrema destra come in Germania, cavalcare queste proteste in funzione anti europea in vista delle prossime elezioni, nella speranza di un tornaconto elettorale.

Gli agricoltori firmatari di questa lettera credono che le ragioni del disagio siano molto più complesse e che sia necessario uno sforzo analitico importante per far che si che queste proteste creino il presupposto per affrontare il problema in modo serio e non in funzione del beneficio elettorale di qualche forza politica lasciando ai tantissimi partecipanti alle manifestazioni soltanto l’amaro in bocca.

LE DUE AGRICOLTURE

Fin dagli anni sessanta si è andata delineando una tendenza, ormai diventata strutturale, di una netta separazione tra una agricoltura delle grandi superfici, dei grandi numeri economici, della capacità di investimento e di accesso al credito, legata a commodities come cereali, carne, latte … ma anche frutta e orticoltura, che per semplicità chiameremo Agroindustria e, dall’altra parte, una agricoltura familiare molto legata al territorio, spesso marginale, di collina e di montagna ma non solo, con volumi produttivi spesso insufficienti a garantire investimenti, ma con un beneficio sociale immenso derivante dal presidio di un territorio spesso non agevole ma prezioso. Questa, sempre per semplicità, la chiameremo agricoltura contadina.

Le politiche agricole, nel corso degli utlimi 50 anni, hanno tendenzialmente trattato queste due agricolture nello stesso modo con il risultato di renderne sempre più forte il divario.

Dai dati ISTAT dell’ultimo censimento, si evince che le aziende familiari di piccole dimensioni si sono dimezzate, mentre le altre si sono rafforzate, non nel numero, ma nelle dimensioni, diventando sempre più grandi, più efficienti, con grandi capacità di avanzamento tecnologico e di incidenza sui mercati.

Una parziale risposta delle piccole aziende alla crisi è stata l’introduzione delle cosiddette “attività connesse”: quali la trasformazione e vendita diretta dei prodotti, l’agriturismo, l’ospitalità, le attività didattiche e sociali ecc, che hanno dato respiro a quelle aziende che, per vari motivi, si sono trovate nella condizione di utilizzare questa opzione creando non solo reddito ma anche occupazione.

Il rapporto diretto con i cittadini ha creato possibilità di scambi culturali e progetti condivisi.

LA POLITICA COMUNITARIA

Fino a pochissimo tempo fa e cioè prima della proposta del nuovo regolamento comunitario, la politica comunitaria, attraverso l’applicazione del sistema dei contributi, non ha quasi per nulla tenuto conto delle differenze tra le due agricolture: tanta più superficie avevi, tanto più contributo prendevi (primo pilastro) indipendentemente dalla tipologia della produzione, dal valore ambientale di questa, dal beneficio sociale in termini di occupazione ecc, riservando la parte di aiuto o all’investimento strutturale o al beneficio ambientale (es. biologico) una quota minoritaria del suo bilancio (secondo pilastro).

Questo bilancio, che in termini relativi assorbiva ben il 50% di tutte le risorse comunitarie e oggi si attesta sul 25%, in termini assoluti è rimasto invariato intorno ai 55 miliardi di euro l’anno (provenienti dalle tasse dei 400 milioni di cittadini).

Con la nuova programmazione, la UE ha cercato di invertire la tendenza consolidata diminuendo progressivamente i contributi a superficie (primo pilastro) e creando sistemi di integrazione al reddito vincolati ad alcuni obiettivi di carattere generale e legati ad bisogni di protezione ambientale, di benessere animale e di salute del cibo e dei consumatori.

LA QUESTIONE AMBIENTALE

Mentre il settore agricolo in questi anni si dibatteva da un lato nella ricerca di sempre maggiore produttività ed efficienza (agroindustria per semplificare) e dall’altro nella diversificazione e nella territorialità (agricoltura contadina sempre per semplificare), nella società europea prendeva sempre più rilievo e consapevolezza la questione ambientale.

Aree vaste con problemi di inquinamento delle acque superficiali e profonde, gravi carenze idriche, diminuzione della fertilità dei suoli, con alcuni casi di “desertificazione”, immissioni di CO2 e ammoniaca nell’atmosfera, presenza di metalli pesanti ecc. con conseguenze importanti sulla salute dei cittadini.

Una parte di queste problematiche ricade sulla responsabilità del settore agricolo, soprattutto in aree di grande concentrazione produttiva in corrispondenza di elevate concentrazioni antropiche (es. pianura padana, nord della Germania, Olanda e Danimarca, significative aree in Spagna e Francia ecc) per cui la UE, sotto la spinta dell’opinione pubblica e delle necessità epidemiologico-sanitarie, ha legato le sovvenzioni ai settori produttivi sia agricoli che industriali, a comportamenti ambientalmente sostenibili e ormai indilazionabili anche in funzione dei cambiamenti climatici.

Per il settore agricolo questo si è concretizzato in alcuni nuovi obblighi se si vuole continuare ad aver accesso ai contributi (rotazione obbligatoria delle colture, inerbimento invernale, diminuzione dell’apporto chimico di sintesi) e in alcuni obiettivi facoltativi coperti da risorse specifiche (agricoltura biologica, benessere animale, protezione delle api ecc). A nostro giudizio condizioni che, se correttamente sostenute e applicate, non vanno a deprimere i redditi (che sono depressi per altri fattori), ma addirittura li possono sostenere.

QUALI POLITICHE

A nostro giudizio sarebbe grave se la UE abbandonasse, sotto la spinta della protesta e rispondendo pavida a spinte populiste, la visione di una agricoltura agroecologica che fa la sua parte nella difesa dell’ambiente e contribuisce alla lotta ai cambiamenti climatici riducendo in modo progressivo la propria impronta ecologica.

Questo può avvenire se si tiene ben presente quanto esposto precedentemente: l’agricoltura “agroindustriale” ha bisogno di forte sostegno nella riduzione dell’impatto chimico, nell’adeguamento tecnologico al fine di ridurre le emissioni, nella diminuzione delle concentrazioni eccessive di animali da reddito in certe aree sensibili, nell’avere protezioni assicurative contro le calamità ecc; l’agricoltura “contadina” di piccole dimensioni, familiare, di aree interne, quella che si rivolge a mercati locali e che produce beni originali e fortemente legati alla territorialità e offre servizi ai cittadini, ha tutt’altri bisogni: semplificazione burocratica, servizi sanitari e sociali di prossimità, sostegno alle condizioni impervie (montagna), sostegno alle produzioni di nicchia, sostegno alla diffusione e implementazione di tecniche agro-ecologiche, servizi gratuiti di assistenza tecnica e soprattutto un sostegno al reddito che ne riconosca il valore sociale, ambientale ed ecosistemico. Senza di ciò questa agricoltura sparirà in un breve lasso di tempo.

Ci vogliono quindi due politiche differenziate, ma integrate.

Una riduzione della tassazione indifferenziata può diventare un ulteriore fattore positivo per grandi aziende che già fanno reddito, ed essere al contempo insufficiente per aziende che non superano la sussistenza.

L’Europa da sessant’anni, attraverso i denari impiegati nella Politica Agricola, ha contribuito ad una crescita complessiva del settore, ad una sua valorizzazione professionale, alla difesa degli spazi non edificati con il semplice permanere degli agricoltori sul territorio.

Oggi questo tipo di politica non risponde piò ai bisogni del settore e può contribuire ad acuire le differenze tra le agricolture: contributi indifferenziati premiamo solo le grandi aziende e marginalizzano le piccole. Ad esempio dare lo stesso premio capo/vacca sull’ecoschema 1 ad una azienda di mille vacche e ad una di cinquanta, magari in zona svantaggiata, non ha senso.

Per affrontare con serietà queste problematiche ci vorrebbe una classe dirigente non legata a facili slogan e a interessi di brevissima portata e spesso in funzione di labili vantaggi elettorali.

Anche le Organizzazioni Professionali agricole hanno la responsabilità di non accodarsi a questi facili slogan, ma di guidare un profondo processo di ridefinizione del ruolo dell’ agricoltura nella attuale fase economica, sociale e soprattutto ambientale.

Non è, a nostro giudizio, negando e ricusando una politica per altro moderatamente greening che si risolvono queste contraddizioni. Anzi il rischio è di dare un contentino alla protesta senza aggredire la sostanza dei problemi.

Dario Olivero, Renata Lovati – Cascina Isola Maria, Bio Albairate

Gabriele Corti – Cascina Caremma Bio Besate

Alberto Massa Saluzzo – Presidente Distretto Dinamo

Fabio Di Stefano – Il Frutteto Botanico Bio Albairate

Raffaele De Cechi – Cascina Lema Bio Robecco sul Naviglio

Alberto Bosoni – S.S. Agricola del Parco Bio Abbiategrasso

Giovanni Molina – Agronomo Vigevano

Tommaso Gaifami – Agronomo Milano

Niccolò Reverdini – Cascina Forestina Bio Cisliano

Massimo e Camilla Crugnola – Orti bio Broggini Varese

Coop.Sociale Cascina Contina Rosate

Rosa Zeli – Az.Agr .Corte Lidia Bio Viadana

Patrizio Monticelli – Presidente Desr Parco Agr.Sud Milano Milano

Peppe Galuffo – Cascina Poscallone Bio Abbiategrasso

Stefano Salteri – Cascina delle mele Bio Vittuone

Marco Cuneo – Cascina Gambarina Bio Abbiategrasso

Maurizio Gritta in rappresentanza CDA Coop agricola.Iris Bio

Gas ExAlge Milano

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L’invenzione di Milano: Lucia Tozzi svela il ruolo del “marketing urbano” http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/06/linvenzione-di-milano-lucia-tozzi-svela-il-ruolo-del-marketing-urbano/ Fri, 30 Jun 2023 06:05:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16002 Il libro di Lucia Tozzi svela il ruolo del marketing urbano e della cattura del dissenso nella creazione di una città diseguale e privatizzata

di Maria Cariota.

Da molti anni le politiche urbanistiche a Milano sono finalizzate a soddisfare gli interessi di gruppi industriali, della finanza e immobiliaristi. Nel Piano di Governo del Territorio e attraverso un uso sconfinato della perequazione e degli strumenti di urbanistica contrattata, il Comune ha assunto un ruolo di facilitatore dei processi di trasformazione proposti dai privati, attratti dalla possibilità di realizzare rendite elevatissime, anche per gli oneri di urbanizzazione spesso irrisori.

Il nuovo libro di Lucia Tozzi, “L’invenzione di Milano”, pubblicato per Cronopio nel marzo di quest’anno, racconta la “rigenerazione urbana” che ha stravolto interi quartieri di questa città, disegnata in funzione della massima valorizzazione degli immobili. Mentre sono ridotti i fondi per garantire i servizi pubblici, la manutenzione di strade, case popolari, parchi. Nelle zone ricche piscine, palestre, mercati, ambulatori, biblioteche e uffici pubblici vengono alienati, trasformandosi in uffici di lusso e centri commerciali; le zone meno ricche sono accerchiate e tendono a diventare nel tempo anche esse meno ospitali ai meno abbienti. Il ciclo è sempre lo stesso, la manutenzione della struttura pubblica viene deliberatamente lesinata, il “degrado” avanza, la chiusura incombe, spunta un privato pronto ad investire nella riqualificazione, che ne farà uno spazio di lusso non per la gente comune. Negli ultimi quarant’anni gli alloggi popolari sono stati dimezzati, l’ente gestore Aler continua ad alienare case, lasciando 17.500 famiglie senza risposta.

Esaurita la possibilità di ricostruire un tessuto produttivo, è soprattutto con l’Expo2015 che Milano ha valuto assumere l’immagine di una metropoli splendente e attrattiva, cercando di estrarre dall’evento un brand per competere con le altre grandi città. Seguendo il modello di New York e Londra, s’intende valorizzare ogni metro quadro, gentrificare tutto (centro e periferia) e mira ad una “rigenerazione” continua degli abitanti, attirando non solo turisti ma anche expat (turisti lenti) e city users o short term citizens: nomadi agiati che sono soprattutto consumatori di città e richiamano investimenti; non possedendo memoria della città non tentano di conservarla, non mirando a restarci sempre sono meno interessati alle conseguenze delle azioni politiche. Essi man mano prendono il posto dei nativi, che, se appartenenti a fasce più deboli, sono di fatto espulsi per gli affitti elevatissimi.

Chi governa la città è impegnato in una campagna di marketing senza precedenti

Lucia Tozzi cerca di disvelare le retoriche e il linguaggio usati per produrre il consenso e di studiare le ideologie forgiate dal capitale. L’amministrazione milanese ha costruito attentamente uno storytelling fondato sull’assioma per cui la collaborazione tra pubblico e privato sia necessaria, in una logica win win: gli investimenti del privato che costruisce la città del lusso consentono di avere verde urbano e spazi sistemati, oltre che, secondo loro, di portare bellezza, ricchezza e lavoro per tutti.

In una città escludente, classista, con servizi e beni privatizzati, lavoro precario, aria pessima, consumo di suolo tra i più elevati in Italia, chi la governa è impegnata in una campagna di marketing senza precedenti, finalizzata a diffondere una percezione positiva sulla qualità della vita e lontana dalla realtà. Un ipertrofico sfoggio di vitalità e di ottimismo forzato in cui le contraddizioni svaniscono. L’ “invenzione di Milano” appunto. Il marketing e la comunicazione hanno fagocitato l’agire politico, assumendo una posizione di egemonia, potente strumento per delegittimare la mediazione della critica e dell’articolazione discorsiva attraverso la semplificazione, lo svuotamento di significato, il ricorso all’emozionalità, riuscendo ad evadere qualsiasi possibilità di verifica su ciò che si asserisce. Chi osa esprimere critiche è definito retrogrado e accusato di frenare la competitività, si screditano così in partenza le sue istanze. Le porzioni di verde (di solito su soletta e di difficile fruizione) inserite nei progetti di trasformazione, ogni nuovo gruppetto di alberelli piantati di ForestaMi, le piste ciclabili disseminate qua e là, i minuscoli interventi di urbanistica tattica (area pedonali) sono oggetto di eccessiva enfasi mediatica, inaugurati in pompa magna, simulando uno sviluppo partecipato e attento alle comunità, per bilanciare la violenza delle grandi operazioni.

Anche la cultura e l’associazionismo diventano funzionali alla definizione dell’immagine di metropoli attrattiva

L’autrice si sofferma molto anche sul ruolo primario della cultura in questo processo e sulla terzosettorializzazione del sociale. La cultura a Milano è diventata una degli strumenti della valorizzazione immobiliare: dalle prime conversioni in spazi espositivi di aree dismesse di Pirelli e Prada, la cultura diventa un booster efficiente per il valore delle aree; inoltre il legame tra le trasformazioni e soggetti culturali (ad esempio Expo e teatro La Scala) crea un soft power con forte capacità di persuasione.

Allo stesso tempo le organizzazioni che raccolgono le proteste degli abitanti, che prodigano energie e servizi sul territorio sono state ingabbiate in un sistema di bandi, stimolato dalla finanza a impatto sociale o da fondi europei, che forniscono piccole entrate e un po’ di riconoscimento ad associazioni e attivisti; progetti calati dall’alto e non, come viene raccontato, mediati da una progettualità dal basso. Spesso un regime di privatizzazione di servizi e spazi allocati a privati e terzo settore, ma spacciati per tutela del bene comune. Il sistema dei bandi, ad alto tasso di burocratizzazione, sottrae energie e tempo al lavoro di ricerca e sul campo, frammenta la continuità del lavoro subordinandolo alla durata dei progetti, lo condiziona ideologicamente e avalla un generale definanziamento del welfare pubblico; oltre a neutralizzare la carica politica dei movimenti sociali. Una vera e propria cattura delle forze che potrebbero produrre attrito nel sistema e lotta alle diseguaglianze, forze usate anzi per “rivitalizzare” a livello molecolare quartieri, strade e piazze, in modo funzionale alle grandi trasformazioni.

Il meccanismo di propaganda sfugge alla percezione dei cittadini

D’altra parte i media, in cerca di sponsor e protezioni hanno allentato spontaneamente i principi deontologici, prestandosi alla grande propaganda dell’amministrazione. Propaganda che è riuscita a fare interiorizzare ai cittadini i valori che li rendono complici e subalterni, che è condivisa da una buona parte della classe media più agiata e che spesso ha convinto anche collettivi di artisti, lavoratori culturali, writers, centri sociali, che sono diventati indirettamente agenti della gentrificazione.

Milano modello da riprodurre?

La consapevolezza che il sistema di Milano incarna questa comunicazione ideologica a scala urbana, che ha sostituito quasi per intero l’intreccio dei sistemi politici, economici, sociali e culturali preesistenti, producendo una città diseguale, dovrebbe auspicalbilmente contribuire a demolire l’idea stessa che esista un “modello” da riprodurre altrove.

L’invenzione di milano. Culto della comunicazione e politiche urbane. Cronopio Ed., 2023, LUCIA TOZZI.

Lucia Tozzi è giornalista ed esperta di politiche urbane.

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Socotra. O di come nasce un libro su un’area geografica ricca di biodiversità. http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/05/socotra-o-di-come-nasce-un-libro-su-unarea-geografica-ricca-di-biodiversita/ Thu, 11 May 2023 14:21:31 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15939 di Fabio Balocco.

Quando si dice il caso. Anni fa, se non ricordo male era il 2016, ero ospite a casa dell’amico Massimo Livadiotti, nel cuore di Roma, quando, parlando del più e del meno, lui mi chiese: “ma tu che ami tanto la natura, sei mai stato a Socotra?” No, a Socotra non ero mai stato, ma, di più, non sapevo neppure cosa fosse.

Ovviamente la curiosità mi spinse a cercarla sul mappamondo: ed eccola apparire, piccolina, in pieno Oceano Indiano, vicino alla Somalia, ma Wikipedia annunciava che in realtà era “di proprietà dello Yemen”. E di raggiungerla non se ne parlava: c’era in corso la guerra tra Yemen e Arabia Saudita. Sempre tramite Massimo, conobbi Marco, suo fratello, che giusto a causa della guerra da Sana’a, capitale yemenita, era stato costretto a fuggire. Lo stesso Marco fu promotore di un evento di più giorni dedicato a Socotra all’Orto Botanico di Palermo (“Socotra in Sicilia”), a settembre del 2019, evento dove andai e dove altresì maturò l’idea di scrivere un libro su questa isola tanto importante dal punto di vista naturalistico quanto sconosciuta ai più.

Dune di Noged © per gentile concessione di Fabio Balocco

Possibile che come me tantissimi altri nulla sapessero di questo luogo con la più alta biodiversità al mondo dopo le Galapagos e che nulla di divulgativo fosse stato scritto su di essa? Fu relativamente facile trovare dei compagni di avventura, che almeno loro a Socotra ci fossero stati. Tutti convinti della bontà di scrivere il libro senza preoccuparsi di trovare un editore. “I libri si scrivono perché ci si crede, poi si cercano gli editori”. Il team così prese forma: oltre a me e a Marco, Pietro Lo Cascio, naturalista di Lipari e Elena Dacome, antropologa. Ai quali si aggiunse Robert Cowie, professore presso l’università di Honolulu, uno dei massimi esperti al mondo di estinzione di massa.

Villaggio di Qalansiya © per gentile concessione di Fabio Balocco

Perché se è vero che Socotra è ricca di biodiversità, è altrettanto vero che essa si sta rarefacendo, a causa delle conseguenze della guerra, del peso antropico, del cambiamento climatico. Non pensavamo all’editore, ma ci dicevamo che non sarebbe stato un problema trovarlo, vista l’importanza naturalistica di quella terra lontana, e visto che oggi si fa un gran parlare del verde in tutte le salse. E invece ci sbagliavamo di grosso, perché gli editori o non ci rispondevano, oppure avrebbero pubblicato se la nostra opera fosse stata una sorta di Lonely Planet. Ci convincemmo che un saggio su di una certa area geografica o era una guida turistica o non trovava sponde. Eravamo quasi sul punto di cedere le armi, quando, miracolo, una piccola, ma a questo punto la definirei anche “coraggiosa”, casa editrice di Roma, la Bordeaux Edizioni, accettò di pubblicare. Ecco dunque che il libro esce, seppure con una preoccupazione da parte nostra e dell’editore: non è che quest’opera faciliti l’afflusso di turisti nell’isola? L’ideale sarebbe leggere il libro, ammirare le foto, e starsene a casa a sognare che esiste ancora un paradiso relativamente intatto. Del resto, lo stesso editore ha pubblicato il “Manuale dell’antiturismo”. E allora non ci resta che sperare!

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Rimettere l’IMU sulla prima casa? Riflessioni per un dibattito http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/03/rimettere-limu-sulla-prima-casa-riflessioni-per-un-dibattito/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/03/rimettere-limu-sulla-prima-casa-riflessioni-per-un-dibattito/#comments Sun, 26 Mar 2023 08:33:59 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15884 Gaia Baracetti, autrice di “Perché bisogna abolire i contributi all’agricoltura“, ci trasmette queste sue riflessioni su un tema che connette il rapporto tra l’IMU e la prima casa. Un contributo volutamente “provocatorio” che pubblichiamo ritenendolo utile per una discussione opportuna.

Nessun politico ne avrebbe il coraggio, in Italia oggi. Eppure sarebbe una misura di equità, lungimiranza e tutela dell’ambiente di cui beneficerebbe l’intera collettività. Per molti motivi.
Innanzitutto, quando si parla di introdurre una tassa, non necessariamente si parla di aumentare il livello di tassazione totale, anzi: sarebbe meglio che così non fosse. Mettere l’IMU sulla prima casa significherebbe accumulare risorse che poi non sarebbe più necessario reperire altrove – per esempio dalla tassazione sul lavoro, o dalle innumerevoli marche da bollo o ticket che sono la forma più regressiva di tassazione…

Non è nemmeno necessario che i più poveri paghino: niente impedisce, come si fa per il reddito e com’era prima, di stabilire una soglia sotto la quale si è esenti. Questo dovrebbe però valere solo per case molto piccole: il problema principale, infatti, è lo spazio che le nostre case occupano. In Italia di spazio ce n’è poco, pochissimo (abbiamo una densità di popolazione più alta di quella della Cina), e lo sprechiamo in modo assurdo – ad esempio permettendo a chiunque di costruire case enormi ovunque, con giardini da signore rinascimentale, con tutto il corollario di strade, luci, tubature, parcheggi, mezzi pubblici e raccolta rifiuti che devono per forza seguire l’espansione infinita della città. Prima, almeno, si pagavano in parte questi servizi con la tassa sulla casa – ma da quando non c’è più, un individuo o una famiglia si gode la sua casona senza spese, mentre tutti gli altri – compresi quelli costretti in piccoli appartamenti in zone trafficate – pagano tanto quanto lui per garantirgli tutte le comodità e servizi.

Le tasse, come principio generale, non dovrebbero servire soltanto per raccogliere soldi ma anche per incoraggiare comportamenti considerati virtuosi e scoraggiare comportamenti che danneggiano la collettività. Anche per questo è sbagliato tassare così pesantemente il lavoro – che è un contributo del singolo alla società – e poco o nulla la rendita e la proprietà, che dà benefici al singolo che ne gode a spese di tutti gli altri che ne sono esclusi.
L’IMU, quindi, dovrebbe essere innanzitutto un modo per compensare la collettività dei costi che la nostra proprietà impone. In primis perché lo spazio che chiamiamo nostro non può più appartenere a nessun altro, né singolo, né comunità, né – ce ne dimentichiamo sempre! – natura selvatica. Lo spazio della nostra casa diventa lo spazio negato al vicino, al povero, alla piazza e al capriolo. Pagarci una tassa sopra è un modo per risarcire gli altri di questa perdita irreversibile, e ci disincentiva dall’arraffare più spazio possibile perché tanto è gratis; nonché, come si è detto sopra, serve per contribuire ai servizi di cui usufruiamo, e più grande è la casa, più se ne rendono necessari per ogni persona.
Inoltre, le tasse secondo la nostra costituzione dovrebbero essere progressive; aver eliminato quasi del tutto una tassa sulla proprietà viene meno a questo principio fondamentale, trattando allo stesso modo chi ha la villa e chi sta in un monolocale.

Non solo.
L’espansione urbana antiestetica e disordinata a cui ci siamo ormai abituati è in realtà un fenomeno estremamente recente. Le città storiche sono tutte costruite allo stesso modo ovunque nel mondo, seguendo la stessa logica: le case sono strette, spesso a più piani, attaccate il più possibile e vicine ai servizi essenziali. Questo perché l’umanità ha sempre saputo che lo spazio è prezioso. Che vicini si vive meglio. E che spostarsi consuma energie. Quando ero in visita a Bruxelles, un’amica mi ha spiegato che le case sono così strette perché quando furono costruite si pagava la tassa sul suolo occupato, e quindi ognuno cercava di minimizzare la propria impronta. In montagna ho sentito storie simili: lo spazio era talmente scarso e prezioso che nessuno avrebbe sprecato il proprio orto costruendoci sopra un villone su un piano. Una IMU per tutti gli immobili dovrebbe avere una funzione simile: scoraggiare lo sperpero di spazio. Vuoi allargarti? Paghi. Fai un uso razionale dello spazio? Risparmi.

Non dovrebbe sfuggire il fatto che sono queste città storiche, dense ma non prive di verde, varie ma armoniche, che andiamo a visitare per vedere qualcosa di bello. Nessuno fa il turista nelle periferie di villette e capannoni, nessuno va a vedere i casermoni popolari, le monofamiliari con parcheggio, le case-cubo dei tempi del boom. Tutti le vogliono avere – forse per sentirsi come re con mille metri quadri di regno – ma nessuno le apprezza. Avete mai visto un turista che si fermi a fotografare una via asfaltata fiancheggiata da case stile dopoguerra?
Tutte queste nuove tipologie abitative spreca-spazio non solo sono brutte, non solo sottraggono spazio alla collettività: sono tra le principali responsabili del traffico che soffoca le nostre città e, al tempo stesso, sua conseguenza. In un tempo senza automobili, costruire città a bassissima densità abitativa sarebbe stata una follia: per comprare il pane o andare al lavoro ognuno avrebbe dovuto camminare ore ogni giorno. L’automobile ha reso possibile vivere lontano da tutto, ma paradossalmente lo ha reso anche desiderabile: per sfuggire al traffico si va a vivere fuori città, e poi quel traffico si contribuisce a crearlo quando si è costretti a tornarci per fare qualunque cosa che non sia mangiare a casa propria o dormire.

Tutto è cambiato con l’auto, ma non in meglio. Il singolo proprietario di villone con giardino magari è contento, se la benzina e il tempo perso nel traffico non gli sembrano un problema. Ma la città risente dell’inquinamento che le masse di pendolari producono, e tutto l’ambiente soffre: per permettere la costruzione di case così enormi con spazi così grandi intorno, sempre più lontane dal centro, si sono costruite strade asfaltate, che necessitano di manutenzione e impermeabilizzano il suolo; si è portata l’acqua e l’elettricità – e più tubi corrono a portare l’acqua, e più lontano vanno, più aumentano le possibilità di perdite, mentre l’inquinamento luminoso causato dall’estendersi delle luci pubbliche e private che seguono le case ha privato tutti della bellezza di un cielo stellato. Nessuno vuole vivere in buie periferie, e quindi la vecchia campagna misteriosa di un tempo oggi è illuminata come il parcheggio di un centro commerciale. Ancora: i camion dei rifiuti devono fare sempre più strada, aumentando il costo ambientale pro capite della raccolta differenziata, gli autobus hanno bisogno di nuove fermate, e così via.
E tutte queste cose le paghiamo tutti indipendentemente da dove abitiamo; paghiamo per gli spreconi anche se siamo virtuosi. Certo, la TARI viene calcolata anche in base all’estensione della casa, ma quello che manca sono le pertinenze e il giardino. È questo il problema. Il motivo principale per cui bisognerebbe rimettere l’IMU sulla prima casa è di creare l’occasione per ridisegnare questa tassa perché soppesi il grande lusso dello spazio e includa anche i giardini – in alcuni casi davvero enormi, ma, anche quando sono piccoli, capaci tutti assieme di mangiarsi il poco che resta di boschi e campagne.
Non è solo una questione di bellezza. La terra ci serve – per mangiare.

Chiunque abbia provato ad avviare un’attività agricola senza averla ereditata si sarà accorto che in molte zone è praticamente impossibile ormai. I terreni costano e sono troppo frammentati, le strutture mancano e le norme impediscono di costruirle vicino alle case, e le case sono dappertutto, tutto è recintato, bloccato, ci sono conflitti ovunque… Questo è in gran parte una conseguenza dell’espansione della città dentro la campagna: strade, case e parcheggi si sono mangiati quelli che una volta erano fertili campi e bellissimi prati stabili. L’estensione della periferia ha creato necessità di supermercati e centri commerciali dotati di immensi parcheggi perché tutti si muovono in macchina, mentre cittadini facoltosi hanno comprato case con stalle e fienili e li hanno trasformati in gigantesche depandance per le loro ville: le mucche accudite dalle famiglie di un tempo sono state sfrattate assieme a tutto ciò che era autenticamente contadino e sono finite ammassate in enormi capannoni. Lo stile “rustico” è sbocciato a spese della vita rustica, quella vera. E, come beffa finale, spesso i cittadini che hanno voluto la casa in mezzo al verde poi pretendono che quel verde sia ordinato e senza vita: si lamentano se canta il gallo, se si sente puzza di stalla, se passano le pecore, se l’erba osa crescere appena appena la falciano senza pietà… E siccome continuiamo a mangiare uova e formaggi, e da qualche parte bisogna pur produrli, questo ha significato la concentrazione dell’allevamento nelle poche zone in cui è ancora possibile, magari con gli animali chiusi in grigi hangar dove non danno fastidio, anziché in piccole stalle vicino alle case o all’aperto nei prati, come dovrebbero stare.
Per chi vorrebbe tornare all’agricoltura tradizionale, su piccola scala, tutto questo è un incubo. Con le migliori intenzioni del mondo di produrre cibo in maniera sostenibile, di tenere gli animali in piccoli numeri, seguiti come si deve, permettendo loro una vita naturale, si fa tanta, troppa fatica a trovare uno spazio adeguato, ci si scontra con norme assurde, vicini vendicativi, e per quanto lontano si vada a cercare un po’ di spazio ci si ritrova sempre circondati da enormi giardini inutilizzati – per bellezza, per avere spazio vuoto attorno, per far correre il cane ogni tanto, per prendere il sole o fare griglie, per tenere un triste asinello solitario… per gli animali utili, quelli che producono cibo per tutti, non è rimasto più spazio; un campo da coltivare costa un occhio della testa, perché ne restano così pochi ormai… e quindi gli italiani importano cibo prodotto distruggendo foreste altrui.
Non è un caso che molti dei neo-rurali, dei nuovi contadini, dei giovani che “tornano alla terra”, sono gli stessi che hanno ripreso a disboscare la montagna: in pianura non c’è più posto!

Chi non ha provato la rabbia di vedere i più benestanti tra i propri concittadini potersi permettere immense recintate estensioni di nulla, mentre chi non è già ricco non trova lo spazio sufficiente per un orto commerciale o un pollaio come si deve, non può capire il senso di ingiustizia che si prova per questo mondo capovolto trattato come fosse normale.
Non è solo questione di cittadini: anche i contadini, non pagando l’IMU sui terreni agricoli né, come tutti, sui giardini, una volta ereditata o comprata una tenuta possono sprecarne gran parte senza conseguenze economiche.
E non è nemmeno finita qui. Chiunque abbia passato un po’ di tempo in vivai o consorzi agricoli avrà presente la scena: un cliente o una giovane coppia che si appoggiano al bancone e sciorinano una lista di pesticidi ed erbicidi che gli servono per il “giardino” – perché tutti vogliono il prato inglese, costi quel che costi, e le piante di proprio gradimento anche se vengono regolarmente attaccate da insetti che ci sentiamo in perfetto diritto di sterminare. Tra irrigazione (con acqua potabile!), pesticidi, erbicidi, e consumo di carburanti per lo sfalcio, i giardini privati sono uno dei peggiori buchi neri ecologici dei paesi occidentali moderni.

La terra è fonte di ricchezza. Non per niente esiste una teoria economica, che alcuni stanno riscoprendo, che si chiama georgismo e propone di tassare soltanto o principalmente la terra e le risorse naturali, perché è da essere che viene tutto ciò che abbiamo, e chi ne ha diritto d’uso deve qualcosa a tutti gli altri.
Nel nostro paese è difficile acquisire terra e proprietà, ma facile tenersele – dovrebbe essere il contrario. Le tasse sull’eredità sono basse, e così anche quelle sulla proprietà, mentre avere accesso al credito è difficile e costoso e quindi una parte significativa di ogni investimento va alle banche, non a spese produttive.
Un paese organizzato in questo modo non è equo: è fossilizzato e iniquo. Una tassa sulla proprietà risolverebbe in parte tutti i problemi finora elencati. Chi non riesce a permettersi questa tassa si prenderà un’abitazione o un terreno più piccolo, oppure – e questo sarebbe uno degli obiettivi – inizierà a fare un orto o allevare qualche animale utile nella propria tenuta, così da recuperare i costi, oppure ad affittare a chi non trova casa o terra un po’ della propria. E per non penalizzare i più poveri si potrebbe stabilire una soglia in metri quadri sotto alla quale non si esige nessuna tassa, e addirittura redistribuire parte degli introiti a chi non ha nulla e paga un affitto.

Se qualcuno possiede edifici o terreni che non può mantenere e non riesce a vendere neanche a un prezzo più basso, si potrebbe istituire un sistema per cui questi vengono acquisiti dagli enti pubblici e trasformati in aree protette, orti comunitari o alloggi sociali. Ricominceremmo a stare assieme, anziché ognuno rinchiuso nel proprio giardino.
Ci sarebbero benefici ulteriori. Tassando la proprietà immobiliare l’evasione diventerebbe quasi impossibile, a differenza del lavoro che può non essere dichiarato o dei capitali che possono essere spostati. E la truffa per cui alcuni prendono residenze fittizie in seconde case per non pagare l’IMU potrebbe finire se si tassassero anche le prime case. Si potrebbe usare un IMU comprensivo della prima casa anche per ridurre i costi dell’imposta di registro: possedere una casa dovrebbe avere un costo, ma non acquistarla o cambiarla. Come si legge in questo articolo di Franco Osculati sul tema, “un’operazione di questo tipo potrebbe essere intesa come un’iniziativa a favore dei giovani, che più dei genitori o dei nonni sono interessati a vendere e comprare case” (si potrebbe aprire qui tutto un discorso sulle parcelle dei notai…).

Non sarebbe un sistema perfetto: finché esistono diseguaglianze di reddito e di rendita estreme come quelle odierne, chi guadagna molto più degli altri non avrà problemi a pagare le tasse per la propria casa di lusso e il proprio enorme giardino. Un motivo in più per intervenire anche sulle diseguaglianze – ma questo è un argomento per un’altra volta.

(Immagine di Paolo Baldi).

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Pale eoliche nel Montefeltro, a rischio il paesaggio della Gioconda http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/02/pale-eoliche-nel-montefeltro-a-rischio-il-paesaggio-della-gioconda/ Thu, 02 Feb 2023 17:31:37 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15797 A cura di Italia Nostra.

Sette pale eoliche alte 180 metri, questo è Badia del Vento, un ecomostro che, se autorizzato, deturperà l’Alta Valmarecchia e l’area dello storico Montefeltro che ospita scorci riconosciuti tra i più suggestivi dell’Appennino, quali i Balconi di Piero della Francesca e le morbide colline del paesaggio della Gioconda.

Qualora il progetto venisse approvato dalla Regione Toscana, l’impianto eolico vedrebbe l’installazione di sette turbine alte 180 metri, con rotori di diametro pari a 136 metri inseriti su mozzo alto 112 metri che, una volta posizionate, supererebbero ampiamente i 1200 metri slm nonostante le disposizioni previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che tutelano le zone appenniniche localizzate sopra questa quota.

Presso la Regione Toscana è stata presentata istanza di autorizzazione per l’edificazione di un impianto eolico industriale di grande taglia nel comune di Badia Tedalda (Arezzo) al confine con la Regione Emilia Romagna lungo il crinale che da Poggio Val d’Abeto si dirama sul Monte Loggio verso il sottostante Monte Faggiola. La documentazione riguardante il progetto è consultabile al seguente indirizzo: https://www.regione.toscana.it/-/paur-provvedimento-autorizzatorio-unico-regionale

La vistosa alterazione del paesaggio, data dall’innalzamento delle turbine, sarebbe nettamente percepibile in Romagna nei comuni di Casteldelci (compreso il centro storico e l’antico borgo di Gattara), Pennabilli e Sant’Agata Feltria in provincia di Rimini, nonché nel comune di Verghereto in provincia di Forlì Cesena e a Badia Tedalda (principalmente nella frazione di Rofelle), in provincia di Arezzo.

Turbine eoliche alte 180 m (come un grattacielo di 60 piani) e con rotori di diametro pari a 136 m (la stessa altezza della cupola di San Pietro), andrebbero ad impattare negativamente sul territorio, danneggiandone gli aspetti naturalistici e paesaggistici, limitando fortemente ogni prospettiva di sviluppo e valorizzazione territoriale (quali il turismo escursionistico e storico-culturale di cui si è registrato un forte aumento negli ultimi anni) con una netta svalutazione di tutto il patrimonio che ricade nel campo visivo di questi macchinari. Tale aspetto è ancora più evidente se si considera che l’impianto non rispetta i 7 Km di distanza, di numerosi beni architettonici e nuclei storici tutelati, previsti dal D.Lgs. 50/2022 così come non tiene conto della vicinanza a siti di importanza comunitaria e aree naturali protette. Chiese, edifici religiosi, torri, castelli e altre architetture storiche ubicate nei comuni di Casteldelci, Pennabilli, Verghereto, Badia Tedalda, Sestino, sarebbero gravemente sfregiate dall’innalzamento di queste turbine, così come sarebbero sfregiate aree naturali protette quali la Riserva Naturale dell’Alpe della Luna, il Monte Fumaiolo, la ripa della Moia, i fiumi Marecchia e Senatello, il borgo di Petrella Guidi, il Monte Carpegna, il Torrente Messa, il Poggio Miratoio, il Parco e la riserva naturale del Sasso Simone e Simoncello.

Si tratta di una installazione estremamente impattante anche per altri aspetti, basti pensare all’inquinamento acustico, ai pericoli per la avifauna locale e ai danni al territorio, con l’abbattimento non compensabile di alberi e di specie arboree, causati dai mezzi di trasporto eccezionali per raggiungere i crinali nonché dall’innalzamento delle gigantesche torri e dal montaggio delle pale. In aggiunta, devono essere considerate le opere per la realizzazione delle fondazioni delle torri, per lo sbancamento del terreno e delle formazioni rocciose con allargamento delle strade e dei sentieri presenti, per le installazioni delle piazzole, per l’interramento dei cavidotti in un territorio notoriamente fragile e a rischio idrogeologico.

Agli impianti di produzione delle energie rinnovabili dovrebbero essere destinate superfici idonee secondo un piano regolatore nazionale, utilizzando zone dismesse e da riqualificare oppure superfici già edificate per installazioni di fotovoltaico compatibili con il territorio e non dovrebbero essere prese d’assalto aree incontaminate e di alto valore paesaggistico ed ecologico, quali i crinali appenninici ricchi di storia, bellezza e biodiversità. Se, come previsto dalla Convenzione Europea del Paesaggio e dalla Costituzione italiana, il paesaggio e i beni culturali sono patrimonio comune, allora questo patrimonio deve essere tutelato e non può essere devastato da opere così invasive che, sotto la falsa bandiera della transizione ecologica, ci portano dritto alla devastazione di una delle ricchezze più importanti del nostro Paese compromettendo in modo irreparabile lo sviluppo del turismo.

Si confida sul fatto che la Regione Toscana, chiamata ad esprimersi sull’emissione del provvedimento autorizzativo, tenga in debita considerazione gli impatti estremamente negativi sul Paesaggio e sul turismo anche dell’Alta Valmarecchia e della zona di Verghereto e che non esistono logiche di confine per la tutela dei territori e dei loro patrimoni.

Antonella Caroli, Presidente nazionale Italia Nostra
Massimo Bottini, Italia Nostra Valmarecchia

La provocazione grafica di Italia Nostra, ovvero l’accostamento del capolavoro Leonardesco allo sfondo paesaggistico “moderno” pullulante di pale eoliche, ha destato molte reazioni e certamente può essere considerato come un riuscito strumento per allargare un dibattito che, purtroppo, però pare essersi gravemente assestato su posizioni di difficile mediazione.
Tanto che il presidente di Legambiente Toscana (anche responsabile nazionale del Paesaggio della stessa associazione) ha così commentato: «La polemica su Leonardo è fuori dal tempo. Come se non fossimo nella più grave crisi climatica ed energetica della storia umana. Questa sensazione, per la verità fastidiosa, torna ogni qual volta ascoltiamo argomentazioni benaltriste. Occorre ben altro: risparmiare, efficientare, ricorrere all’idroelettrico, magari persino al nucleare. Tutto, tranne le rinnovabili. Quando invece la comunità scientifica e la tecnica ci indicano proprio nelle rinnovabili e nel loro modello distribuito la via maestra per affrontare la crisi nel modo più efficace, sicuro e pulito. Gridare allo scempio del paesaggio della Gioconda ci pare, a dir poco, temerario. Non solo e non tanto perché recenti studi hanno collocato quello sfondo nella campagna piacentina e non in Valmarecchia, quanto soprattutto perché scomodano in modo improprio il genio di Leonardo; ossia: la quintessenza dell’intelligenza umana messa al servizio del progresso. La bellezza che scaturisce dalle opere leonardiane non è infatti mai fine a se stessa, ma è sempre connessa a una volontà integerrima di migliorare la condizione della nostra specie».

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