Opinioni – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Fri, 27 Dec 2024 22:31:33 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.6 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg Opinioni – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Il paesaggio come elemento chiave del turismo di qualità http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/12/il-paesaggio-come-elemento-chiave-del-turismo-di-qualita/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/12/il-paesaggio-come-elemento-chiave-del-turismo-di-qualita/#comments Sun, 22 Dec 2024 22:59:28 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16930 di Frederick Bradley (guipa.it)

Dopo la pubblicazione del mio articolo Perché il “bel paesaggio” può distruggere il paesaggio, in cui si analizzano le fasi che portano alla comparsa del fenomeno dell’overtourism in territori paesaggisticamente rilevanti, la Redazione di questo blog mi ha invitato a dar seguito a quanto scritto per proporre pratiche efficaci per approcciare a un turismo di qualità, possibilmente non elitario. Questo nell’idea, del tutto condivisibile, che un tale approccio possa contribuire a ridurre gli effetti negativi che il turismo di massa ha spesso sul territorio. È evidente come la soluzione alla massificazione del turismo investa problematiche che vanno ben oltre la sola visione del paesaggio e, essendo il mio specifico interesse limitato a questo aspetto, ritengo purtroppo di non essere nella posizione di poter formulare proposte esaustive in tal senso.

Mi sento però di suggerire una riflessione sui caratteri dell’overtourism, che com’è noto rappresenta la conseguenza peggiore del turismo di massa, sui concetti base per evitarlo e su come la lettura del paesaggio possa portare a vedere/conoscere il territorio in un’ottica diversa dalla visione turistica tradizionale, arrivando così a costituirne una valida alternativa.

La Treccani definisce l’overtourism il “sovraffollamento turistico, concentrato in alcuni periodi dell’anno in città e siti famosi, che provoca o può provocare danni ai monumenti e all’ambiente, oltreché disagi per i residenti”. Dunque un’accezione che non solo sancisce il carattere del tutto negativo dell’overtourism, ma sottende anche i presupposti affinché questo fenomeno non si verifichi. In estrema sintesi, tali presupposti sono:

a) Riconoscere i danni oggettivi causati dall’overtourism. Una posizione che in realtà non è sempre così scontata. È improbabile, ad esempio, che i gestori di un qualunque esercizio commerciale (ristoratore, venditore di souvenir o di prodotti tipici, ecc.) ritengano un danno il possibile incremento degli introiti grazie a un aumento esponenziale di turisti.

b) Non considerare il mero interesse economico come la sola priorità dell’offerta turistica. È la diretta conseguenza del presupposto precedente e richiede una visione politica che potrebbe costare molto in termini di consenso.

c) Accettare il fatto ineludibile che un territorio abbia limiti fisiologici di ricezione. Ogni viaggiatore sa che nella sua valigia più di tanto non ci entra, pena la rottura delle cerniere. Per un territorio vale la stessa legge fisica, dove la rottura delle cerniere corrisponde al complesso di problemi creati dal sovraffollamento.

d) Avere la consapevolezza del valore economico dell’integrità di un territorio dal punto di vista ambientale, storico e culturale. È sotto gli occhi di tutti il fatto che con la cultura non si mangia, sostenuto una decina di anni fa da un Ministro della Repubblica, sia del tutto falso. Per estensione, ciò vale anche per ambiente e storia.

Per quanto appaiano banali per la loro palese ovvietà, questi presupposti sono spesso disattesi nella gestione dei flussi turistici di un territorio creando così le condizioni per l’insorgere del fenomeno dell’overtourism. È altrettanto palese che la forma di turismo compatibile con tali condizioni è il cosiddetto turismo mordi e fuggi, la cui finalità non è conoscere il territorio che si sta visitando ma compiacersi di esserci stato, a prescindere da come lo si sia visitato e se la visita abbia portato o meno a un arricchimento delle conoscenze personali. È una visione decisamente “turistacentrica” che trova la sua massima espressione nei selfie dove il territorio è ridotto a sfondo della propria immagine ed è utile solo a provare che l’autore dello scatto è stato effettivamente in quel luogo. Se immortalare la propria presenza in un determinato territorio è lo scopo della visita, allora quel territorio altro non è che un silente oggetto di consumo che si aggiungerà alla lista del sedicente viaggiatore. Volendo fare un parallelismo con certe abitudini alimentari mi viene da dire che in questi casi siamo di fronte a casi di junk tourism, cioè turismo spazzatura, e non intendo solo l’effettiva produzione di rifiuti da parte del turista, che comunque costituisce un problema molto serio.

Per sperare di trovare un rimedio all’overtourism e alle sue nefaste conseguenze è necessario dunque cambiare il paradigma turistico ormai tipico dell’industria del settore, in cui il turista è ridotto a consumatore e il territorio a bene di consumo. A questo proposito si potrebbe pensare un ritorno alle origini stesse del turismo con modelli che riprendano il sentire dei viaggiatori che a partire dal XVIII secolo hanno dato vita al Gran Tour. È ovvio però che se l’intento è buono, altrettanto non si può dire sulla sua applicabilità pratica: questo tipo di approccio limiterebbe la fruibilità del territorio a fasce elitarie dal punto di vista sia cultuale che economico, una condizione impensabile nel XXI secolo.

È opinione di molti commentatori che la soluzione al turismo mordi e fuggi sia il cosiddetto turismo di qualità, termine complesso che interessa i vari aspetti dell’attività turistica, (strutture ricettive, offerta turistica, gestione dei flussi turistici, ecc.) ma che sembra trovare un denominatore comune nell’adozione di criteri sostenibilità volti a salvaguardare il territorio in quanto tale (ambiente, storia e cultura) senza ridurlo a oggetto di consumo. Tra gli aspetti peculiari di questo tipo di turismo vi è, da una parte, il desiderio del turista di conoscere il territorio che sta visitando, e, dall’altra, il desiderio della comunità locale di farsi conoscere nei suoi caratteri più veri e tipici. Due condizioni tra loro complementari tese a trovare un punto di incontro nella reciproca soddisfazione di entrambi gli attori.

È qui che, a mio modo di vedere, trova senso riflettere, come suggerito in apertura di questo articolo, sul ruolo che il paesaggio può avere nel perseguire un turismo di qualità. Chi ha seguito i miei contributi al blog, sa come ritenga essenziale adottare un approccio percettivo-cognitivo al paesaggio, inteso come il prodotto delle azioni naturali e/o umane e delle loro interrelazioni, in piena corrispondenza con i dettami della Convenzione del Consiglio Europeo del Paesaggio. In quest’ottica, il turista vedrà nel paesaggio una fonte di informazioni per avvicinarsi alla conoscenza del territorio, mentre la comunità locale lo considererà un elemento essenziale da mostrare al turista desideroso di conoscere il territorio. In sostanza il paesaggio diviene uno strumento di dialogo tra il turista attento al significato dei segni del territorio (uscendo così dal ruolo passivo che ha nel turismo di massa per diventare un viaggiatore “attivo”), e il territorio stesso (comunità locale) che palesa i suoi caratteri. Il solo linguaggio per attivare questa reciproca corrispondenza è la lettura del paesaggio che porti il viaggiatore a interpretare i segni che la comunità locale ha saputo, voluto o potuto imprimere sul suo territorio. Per fare un esempio banale, un viaggiatore che visiti un territorio caratterizzato da una presenza diffusa di vigneti avrà modo di capire che la comunità locale ha probabilmente un’importante tradizione vitivinicola che vale la pena di conoscere. D’altra parte, la comunità locale attraverso il carattere dei suoi vigneti, quindi il suo paesaggio, ha modo di informare il viaggiatore che la sua attività vitivinicola è il frutto di una tradizione che vale la pena di scoprire. Ovviamente il fatto che i vigneti suggeriscano una locale tradizione vitivinicola non è certo una novità per qualunque viaggiatore, ma si provi per un attimo a estendere questa procedura interpretativa a altri segni meno scontati. Ad esempio, la presenza di un Mc Donald all’ingresso del paese circondato dai vigneti potrebbe far pensare a una contaminazione della cultura gastronomica che intacca la tipicità del luogo. Anche la presenza di capannoni industriali tra i vigneti può indurre il visitatore che abbia contezza del possibile inquinamento a nutrire dubbi sulla qualità del vino che ne deriva.

In realtà, l’interpretazione dei segni di un territorio può andare ben oltre il rapporto diretto causa/effetto e portare a scoprire realtà del tutto inattese di sicuro interesse per il viaggiatore che voglia conoscere il territorio che sta vistando. È quanto ho cercato di illustrare nel mio PAESAGGI DI VIAGGIO – Il mondo visto da un viaggiatore non turista, dove applico la suddetta procedura interpretativa in 36 luoghi sparsi per il mondo selezionati in base al tipo di messaggio che il viaggiatore può recepire osservandone il paesaggio.

Una visione che si ispira sì allo spirito dei grandi viaggiatori del passato ma al tempo stesso segue metodi e forme di pensiero assolutamente accessibili a chiunque abbia una minima capacità di discernimento

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http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/12/il-paesaggio-come-elemento-chiave-del-turismo-di-qualita/feed/ 3
Il DDL 1003 sottrae la maggior parte del territorio del Paese alla tutela del paesaggio http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/12/il-ddl-1003-sottrae-la-maggior-parte-del-territorio-del-paese-alla-tutela-del-paesaggio/ Fri, 13 Dec 2024 18:37:24 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16923 Il disegno di Legge n. 1003, di modifica dell’art. 142 del Codice dei Beni Culturali, prevede la cancellazione dei vincoli paesaggistici in tutti i comuni con meno di 10.000 abitanti (quelli non obbligati alla redazione dei piani pluriennali di attuazione), cioè circa l’85% dei comuni italiani. Una proposta assurda che viola l’art 9 della Costituzione

di Giovanni Losavio presidente di Italia Nostra sezione Modena

Nota sul DDL n. 1003 in modifica dell’Art. 142 del D.Lgs. 42/2004 – Cod. Beni Culturali

Il disegno di legge che sottrae alla tutela del paesaggio la maggior parte del territorio del Paese vanifica il precetto dell’articolo 9 della Costituzione. Se divenisse legge, come potrebbe passare al vaglio della stessa promulgazione?

Un perverso automatismo che non dalla irrilevanza paesaggistica, ma dal numero degli abitanti del luogo, fa discendere l’esonero dalla tutela.

La relazione che presenta il Disegno di Legge n.1003, oggi all’esame della VIII Commissione redigente del Senato (Modifica dell’art.142 del codice beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.4, in materia di vincolo paesaggistico per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti), fonda la iniziativa legislativa sulla asserita esigenza di colmare la lacuna che la giurisprudenza avrebbe segnalato nella formulazione di quell’articolo. La esenzione dalla tutela paesaggistica è prevista per le aree che, alla data del 6 settembre 1985 (all’entrata in vigore della legge Galasso che ha introdotto la tutela degli elementi essenziali di morfologia del territorio), non comprese nelle zone delimitate dagli strumenti urbanistici come A e B, fossero oggetto di piani (rectius programmi) poliennali di attuazione. I comuni con popolazione inferiore a 10.000 erano esentati (art.6 del d.l. 9/1982) dallo strumento attuativo e quel criterio non può – si dice – per essi valere. Di qui la asserita esigenza di intervenire attraverso una integrazione normativa, al che appunto intende provvedere la iniziativa legislativa, con la drastica disposizione che esonera dalla tutela paesaggistica dell’art. 142 del codice i territori dei comuni con meno di 10.000 abitanti (secondo i dati ISTAT sono 6.691, l’84,75% del totale di 7.896, coprono oltre il 60% della superficie del Paese). I riferimenti di giurisprudenza ai quali la relazione si affida sono risalenti nel tempo a prima della revisione/correzione del codice (2006 e 2008) cui si deve il testo vigente dell’art.142.

Il disegno di legge è espressione di un palese fraintendimento della ratio della esclusione normativa dalla tutela paesaggistica, fondata sul riconoscimento di consolidate e legittime situazioni di fatto che di quella tutela hanno comportato il venir meno degli stessi obiettivi presupposti. La esclusione non può quindi discendere dalla mera disciplina urbanistica della zona vigente al tempo della entrata in vigore della legge che quella tutela ha introdotto (zone A e B compiutamente edificate; zone diverse destinate a nuova edificazione limitatamente alle parti ricomprese in piani attuativi), ma alla effettiva situazione di fatto dei luoghi, nei limiti in cui le previsioni urbanistiche siano state concretamente realizzate.E dunque nei comuni esonerati dalla pianificazione esecutiva la esclusione dalla tutela paesaggistica presuppone necessariamente che le previsioni dello strumento urbanistico generale siano state in concreto attuate, con la realizzazione dei nuovi insediamenti. Il disegno di legge sorprendentemente non considera il testo del comma 2, lettera b), dell’art.142, come integrato con la revisione/correzione del 2006, che ha introdotto l’espressa condizione che le relative [dello strumento urbanistico] previsioni siano state concretamente realizzate. E dunque alla mera disciplina urbanistica di piano il disegno di legge conferisce l’efficacia di prevalere sulla tutela paesaggistica e così si espone a sicuri rilievi di incostituzionalità, per violazione del principio di priorità dei valori del paesaggio fondato sull’art. 9 Cost.”

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Anbi: cementificazione è un freno allo sviluppo del Paese, serve la legge contro il consumo di suolo http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/12/anbi-cementificazione-e-un-freno-allo-sviluppo-del-paese-serve-la-legge-contro-il-consumo-di-suolo/ Tue, 10 Dec 2024 14:00:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16916 L’Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue ANBI prende posizione in seguito alla pubblicazione della nuova edizione del Rapporto Ispra-Snpa

Attraverso i canali dell’Anbi, il 3 dicembre scorso Massimo Gargano, Direttore Generale dell’Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue, ha dichiarato:

«L’ingiustificata cementificazione e l’abbandono dei territori sono un freno allo sviluppo del paese ed un rischio per le comunità. Ribadiamo la richiesta di approvare urgentemente una legge contro l’eccessivo consumo di suolo.

Come si può parlare di obbligatorietà di polizze contro il rischio idrogeologico in un Paese, dove si continuano a consumare 20 ettari di territorio al giorno?

Il report Ispra-SNPA non solo segnala il costante e soprattutto ingiustificato consumo di suolo, ma dà un valore economico alla perdita di servizi ecosistemici: fra i 7 ed i 9 miliardi di euro all’anno. Il problema, quindi, non è solo ambientale ma, come andiamo sostenendo da tempo, un forte limite allo sviluppo di un Paese dove il territorio è il maggiore asset di attrattività.

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Massimo Gargano – ph ANBI

Se a ciò aggiungiamo oltre 1100 ettari cementificati in aree a pericolosità idraulica media, quasi 530 ettari in zone a pericolo di frane e addirittura circa 38 ettari in aree a pericolosità molto elevata, ci rendiamo conto del crescente rischio cui sono esposte porzioni di territorio di fronte all’estremizzazione degli eventi atmosferici.

Ribadiamo quindi la richiesta di urgente approvazione della legge contro l’indiscriminato consumo di suolo, ferma da anni nei meandri parlamentari. Sarebbe una prima seria risposta ad un’emergenza per il sistema Paese.»

Qui il sito dell’Anbi

Foto in alto: dal Rapporto Ispra 2024, Faenza 18-05-2023 Francesco Donati

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Trovato il nemico dell’ambiente a Gualdo Tadino, l’ALBERO! http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/12/trovato-il-nemico-dellambiente-a-gualdo-tadino-lalbero/ Sun, 08 Dec 2024 22:24:39 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16910 Il taglio generalizzato e scriteriato di alberi: ormai una consuetudine in gran parte dei Comuni italiani

Riportiamo la lettera aperta della Dott.ssa Mara Loreti, Presidente dell’Associazione Naturalistica Gualdese ANG

Via l’Albero dai viali, via l’Albero dai fiumi… via i rami dagli Alberi stessi, capitozzature a non finire!….benvenuti a Gualdo Tadino, nella magnifica Waldum Longobarda nell’Era dell’Antropocene.

Le zone Nord e Sud di Gualdo Tadino costituiscono un bacino intermontano a 400/500 metri di quota, caratterizzato da una formazione lacustre del Plio-Pleistocenico, il cosiddetto “Lacus Tadinensis”. Questa zona è ubicata a ridosso dell’Appennino e ricompresa nella Rete Natura 2000, ZSC IT5210014 M. Maggio – M. Nero. Essa si trova, quindi, proprio nel Sito Natura, nella dorsale appenninica con le sue cime, quali quelle di M. Maggio, M. Serrasanta, M. Nero e M. Penna, dove si formano le falde acquifere dalle quali fuoriescono le sorgenti, da cui a sua volta origina la Rete Idrografica gualdese, che si arricchisce anche di sorgenti preappenniniche, di valli, di falde idriche e sorgenti, presenti nelle aree alluvionali della Conca gualdese. Da quest’ultima nascono i due torrenti principali: Fosso Sciola e T. Rasina.

Tali sorgenti, con ripetute risorgive, rappresentano Biotopi di particolare interesse biologico, ecologico e paesaggistico.

Fiume Sciola – Gualdo Tadino

In questo contesto tutelato, va da sé che abbattere alberi ripariali e arbusti rappresenta solo un modo, sbrigativo e innaturale, per evitare le periodiche e necessarie manutenzioni dei fiumi che si dovrebbero fare rimuovendo le seccature di disturbo, ramaglie e rifiuti; quelle manutenzioni che, invece, non sono mai state registrate da decenni, né per quanto riguarda i torrenti né per quanto riguarda i fossi.

Per l’Amministrazione Comunale e per il responsabile settore Lavori pubblici e Ambiente, più volte interpellati, la “manutenzione ordinaria” sembra essere assimilabile al concetto di “ABBATTIMENTO DI ALBERI”. Non solo abbattimento di alberi comuni, ma anche di ALBERI PROTETTI dalla L. R. 28/2001 senza necessaria e adeguata istruttoria, senza un’adeguata relazione tecnica, come previsto da ANAC “Requisiti di professionalità del RUP per appalti e concessioni di lavori/ Linee Guida n.3”, in cui si precisa che, per appalti che richiedono necessariamente valutazioni e competenze altamente specialistiche è necessario il possesso del titolo di studio nelle materie attinenti all’oggetto dell’affidamento. Nello specifico, il RUP doveva essere in possesso della laurea in scienze naturali, in scienze e tecnologie agrarie, scienze e tecnologie forestali, oltre a competenza acquisita tramite corsi di formazione. L’ordinanza del Sindaco 143/2024 è stata predisposta sulla base dell’unica relazione del geologo Responsabile del Settore Lavori Pubblici e Ambiente, ove se ne propone l’adozione.

Senza richiamo alcuno degli aspetti paesaggistici e urbanistici, pur in presenza di aree vincolate dal PTCP della Provincia di Perugia e dal D. Lgs. 42/2004. È importante sottolineare che, in base alla Legge 7 Gennaio 1976 n. 3 e ss.mm.ii.  sulle competenze dei dottori agronomi e dei dottori forestali, non vengono riconosciute alla figura di geologo le competenze tecniche e legali di analizzare, valutare, stimare, progettare piani del verde, verde urbano, potature, piani di gestione forestale, piani dei tagli, piani aziendali, servizi ecosistemici e relativi processi economici (ciò che, invece, spesso rappresenta l’unica relazione esistente per “Esecuzione di interventi di manutenzione ordinaria su alcuni tratti di diversi corsi d’acqua”).  Un esempio fra tanti è quello dell’Abbattimento di alcuni alberi appartenenti a specie protette, che è stato fatto tramite una semplicissima relazione” del 06.11.2024, a firma del RUP dott. Geologo, responsabile dei Lavori pubblici e Ambiente del Comune di Gualdo Tadino, quindi una figura non qualificata per poter predisporre tale relazione tecnica.

Non si può utilizzare il mezzo dell’”Ordinanza sindacale contingibile e urgente” per provvedere a quella che dovrebbe essere l’ordinaria manutenzione, soprattutto in un territorio che, escludendo il caso di un “torrente tombato”, non è andato mai sulle cronache per esondazione fluviale. Ordinanza sindacale immotivata, in quanto non è presente, lungo fossi e torrenti gualdesi, alcun evento “urgente e contingibile” tale da giustificare un provvedimento amministrativo di particolare gravità e urgenza, tale da mettere a rischio l’incolumità pubblica. Istruttoria carente e inadeguata, per eludere doverosi atti autorizzativi (Agenzia Forestale Regionale dell’Umbria, V.inc.A, del Consiglio Comunale, Commissione ambiente, partecipazione con i cittadini).

L’ordinaria manutenzione di argini e sponde, per 15 km in destra idraulica e 14 km in sinistra idraulica, non è un fatto contingibile e urgente, per di più in assenza di motivazioni, di pericolo imminente (mai registrato nella storia di Gualdo Tadino) e di rischio, privo di qualsivoglia documentazione bibliografica.

In netto contrasto il mondo accademico, che ha lanciato un monito unanime: “È necessario agire rapidamente, investendo nella gestione sostenibile del territorio, con riqualificazioni ecologiche, geomorfologiche che prevengano il dissesto idrogeologico. La prevenzione delle inondazioni e la gestione efficiente delle risorse idriche riducono i costi associati ai danni ambientali e infrastrutturali, MA CIÒ NON SI OTTIENE DISBOSCANDO TRATTI DI FIUME E ALZANDO GLI ARGINI!

Gli strumenti più efficienti per ridurre il rischio di alluvioni sono quelli più naturali: Boschi e Spazi Verdi!”.

È studiato e comprovato che gli alberi aiutano a prevenire le inondazioni, assorbendo e immagazzinando acqua come spugne; essi tengono puliti i fiumi con le loro radici, vere e proprie ancore che trattengono il terreno, impedendo di raggiungere l’alveo, costituendo una barriera alle inondazioni, riducendo il deflusso superficiale e rallentando con la loro chioma il flusso dell’acqua piovana.

Ma qui, nella nostra città, avviene l’opposto contrario! Ogni anno (ed è successo anche nella ricorrenza della FESTA DEGLI ALBERI) vengono abbattuti alberi, com’è accaduto in quest’ultimo anno, quando è stata spazzata via un’Alberatura a vincolo culturale “Ope legis”, anno 2023, e sono stati abbattuti Alberi e arbusti su 14 Km + 15 Km, di corsi d’acqua. Qualcuno in Comune si è giustificato dicendo che gli alberi abbattuti sono stati concessi, a titolo non oneroso, a una Società interpellata dalla lontana Cosenza…

Insomma stiamo assistendo a una manutenzione ordinaria (in assenza di un progetto tecnico-scientifico), che ha la pretesa di voler garantire la pubblica sicurezza e, invece, si prefigura come un danno ambientale irreparabile!

Alla società che si occupa dell’abbattimento non viene riconosciuto un compenso in denaro, ma ancor peggio in NATURA! Alla stessa viene data la discrezionalità dell’intero intervento, potendo valutare in assoluta autonomia cosa e quanto tagliare, SENZA LIMITI! Ovviamente la società chiamata da Cosenza non ha impiegato granché a imparare la logica del “più si taglia e più si guadagna!” D’altronde, senza un piano che preveda il compenso in natura, la quantità di legnatico che dev’essere corrisposto, è facile cadere in questi meccanismi.

Tutto questo rappresenta un vero e proprio “Prelievo a cottimo” sul nostro demanio idrico vincolato, sul patrimonio pubblico, e non vi è controllo alcuno, nella Determinazione n. 763 dell’11.11.2024 del comune di Gualdo Tadino, sulla quantità di legnatico necessaria prevista come compenso per la società di abbattimento!

Ma gli alberi non sono e non possono assolutamente divenire una merce di scambio! Proprio perché rappresentano uno dei nostri beni più preziosi, hanno un valore inestimabile e chiaramente non si può considerare la loro cessione come un contentino per questa o quella società di turno, chiamata ad abbattere. Altro che senza titolo oneroso! Qui i lavori di abbattimento vengono fatti svendendo e dequalificando il nostro bellissimo territorio!

Per eludere la doverosità “dell’autorizzazione paesaggistica” e per sostenere la relazione a firma del RUP del servizio lavori pubblici e ambiente, arriva come detto l’Ordinanza sindacale del 06.11.2024, che ha la pretesa di far abbattere ALBERI di specie inserite nell’elenco delle piante protette dalla L.R. 20/2001, nonché l’ulteriore fine di eludere anche la Vinca, Valutazione di incidenza “significativa”! Tutto quanto esposto nel non rispetto delle Linee Guida Ministeriali per la Valutazione di Incidenza (VIncA), 28.11.2019, Direttiva Habitat 92/43/CEE, Art.6, paragrafi 3 e 4, recepite con Delibera di Giunta n° 360 del 21.04.2021 dalla Regione dell’Umbria, che prevedono nel rispetto del “Principio di precauzione” la “Valutazione di Incidenza significativa”, obbligatoria non solo per P/P/P/I/A, situati all’interno del sito ma anche per quelli fuori di esso senza limiti predefiniti di distanza. E, ancora, è lo stesso progetto “LIFE IMAGINE” dell’Umbria, finanziato dalla Commissione Europea, relativo all’attuazione della strategia regionale per la biodiversità e del PAF (art.8 Direttiva Habitat), a prevedere la conservazione di aree confinanti, significative ai Siti Natura, ad assicurare la coerenza tra la rete Natura 2000 e i territori confinanti. E anche ad aumentare la connettività ecologica, la resilienza delle aree di foresta, la valorizzazione delle aree rurali, il mantenimento delle zone umide, l’aumento della biodiversità, la sostenibilità, e la salvaguardia delle tecniche agricole tradizionali negli habitat seminaturali.

Gli interventi di progetto interessano un’area di elevato pregio ambientale, dove tutte le direttive sono di valorizzazione e di qualificazione, denominate “Alte colline tra Gualdo Tadino e Assisi”; Conca di Gualdo Tadino; “Basse colline a sud di Gualdo Tadino”. Le direttive di valorizzazione presenti nelle NTA del PTCP (art.34) impongono che gli interventi ammessi in tali aree non possono alterare le conformazioni strutturali di tali paesaggi. Pertanto, “sono ammissibili solo interventi che comportino un ulteriore innalzamento del livello qualitativo preesistente e incrementino le qualità formali e tipologiche, nonché i valori ambientali presenti e/o propri di tali paesaggi”.

Dott.ssa Mara Loreti

Presidente Associazione Naturalistica Gualdese ANG

Foto: Mara Loreti

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Fermare il consumo di suolo, ripristinare la natura: tutte cose giuste. Per un’altra generazione… http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/12/fermare-il-consumo-di-suolo-ripristinare-la-natura-tutte-cose-giuste-per-unaltra-generazione/ Wed, 04 Dec 2024 20:50:10 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16904 di Alessandro Mortarino.

Se qualcuno avesse avuto ancora qualche incertezza nel decifrare la vision dell’attuale maggioranza connessa alla tanto sbandierata “transizione ecologica“, le parole pronunciate dal senatore Maurizio Gasparri durante l’avvio della presentazione del nuovo Rapporto Ispra sul consumo di suolo crediamo abbiano fugato ogni possibile dubbio.

Gasparri, infatti, ha candidamente – e onestamente – affermato ciò che i suoi colleghi di maggioranza, alla guida del Paese, fino a ieri avevano appena sussurrato o fatto intuire. Con parole (abbastanza) chiare e inequivocabili: «Noi abbiamo da un lato il tema della necessità di non consumare suolo, il che vuol dire non continuare edificazioni, occupazioni di vari ambiti, perché abbiamo esigenze di spazi verdi e di varia natura. Pur avendo esigenze di abitazioni e di case, poi abbiamo patrimoni privati o spesso anche pubblici non ristrutturati, non ben gestiti e quindi da un lato c’è un esubero e dall’altro c’è una richiesta. Quindi il tema è far coincidere la domanda con l’offerta, prima ancora di edificare ulteriormente. Dopo di che abbiamo un’altra esigenza, quella della ristrutturazione, che poi è connessa anche ai temi della riduzione di CO2, quindi cappotti termici, impianti di riscaldamento, tutto ciò che può determinare minori consumi energetici, quindi minori costi, minori consumi, minori emissioni, minori inquinamenti. Talvolta questo obiettivo è indicato con tempistiche e modalità eccessive (…) e quindi la Direttiva sulla casa green, che si connette a questi temi, va rivista dalla nuova Commissione Europea per la tempistica e per gli oneri, perché se noi vogliamo perseguire degli obiettivi dobbiamo, come si è fatto per il PNRR, trovare anche dei fondi pubblici».

Gasparri non è un politico alle prime esperienze: da 32 anni siede tra gli scranni di una delle due Camere parlamentari, è stato Ministro della Repubblica e ora è anche il primo firmatario di quel disegno di legge dedicato alla Rigenerazione Urbana, di cui abbiamo già messo in rilievo le principali criticità.

E più o meno nelle stesse ore del suo intervento in sede Ispra, anche Giorgia Meloni aveva ufficializzato la posa della ennesima pietra miliare del suo mandato: «Il governo italiano lavorerà per fare in modo che la transizione ecologica torni a camminare di pari passo con la sostenibilità economica e sociale, semplicemente perché non possiamo inseguire la decarbonizzazione al prezzo della desertificazione economica. Banalmente, in un deserto non c’è niente di verde. Alcune scelte europee degli ultimi anni hanno pagato un prezzo troppo alto all’ideologia e hanno di fatto chiuso la porta alle ragioni di chi fa impresa. Dobbiamo garantire un quadro regolatorio certo, evitando però rigidità eccessive che danneggiano chi fa impresa e crea occupazione».

Come vedete, ancora una volta le emergenze ambientali vengono liquidate come un fastidio, un ostacolo al fluire sereno dell’economia e non come un precipizio incombente a pochi passi da noi. A cui dovremmo ovviamente aggiungere anche l’azione “edulcorante” che la nuova legislatura europea a guida Ursula von der Leyen pare prossima a delineare per il suo stesso Green Deal, già notevolmente fiaccato dalle retromarce sulla PAC agricola, e da sommare al silenzio quasi tombale con cui il nostro Paese sta affrontando la definizione del Piano per la Nature Restoration Law (da presentare all’UE entro luglio 2026).

Questo è (e continua ad essere) il limite della politica odierna. Giorgio Gaber, in una delle sue più note canzoni, salmodiava profeticamente «… tutte cose giuste, per un’altra generazione».

Nel nostro caso, una generazione a cui affideremo un’eredità davvero pesante, perché «il nostro paese è in fiamme», come ha sottolineato nel suo intervento a Roma il professor Paolo Pileri.

E quando l’incendio avanza, il colibrì si ostina a portare la sua goccia d’acqua, mentre il leone fugge rapido…

Foto: Senatore Maurizio Gasparri, intervento alla presentazione del Rapporto sul consumo di suolo di Snpa/Ispra a Roma del 3 dicembre 2024 – ph: Ispra

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La Commissione Episcopale in occasione della Giornata del Ringraziamento: “È tempo di fermare il consumo del suolo” http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/12/la-commissione-episcopale-in-occasione-della-giornata-del-ringraziamento-e-tempo-di-fermare-il-consumo-del-suolo/ Sun, 01 Dec 2024 17:24:30 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16890 Pubblichiamo il Messaggio che la “Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace” ha formulato per la 74ª Giornata Nazionale del Ringraziamento che si è celebrata il 10 novembre

La speranza per il domani: verso un’agricoltura più sostenibile

Nel dipinto Il Seminatore (1888), Van Gogh scambia i colori: il cielo è dorato come la messe matura e la terra che accoglie i semi ha il blu del cielo. Ogni volta che un contadino semina, il cielo viene sulla terra. E il seminatore volge le spalle al tramonto per dirigersi verso un’alba nuova. Nel disorientamento che proviamo mentre ci chiediamo dove siamo e quale direzione prendere, nella terra troviamo la speranza per il domani. Questo senso di fiducia nel futuro si amplifica, da un lato, nella gratitudine per il Creato ma, dall’altro, viene adombrato dalla preoccupazione crescente per uno sfruttamento che mette a rischio l’agricoltura e la vita delle persone.
Quando, durante l’Ultima Cena, Cristo «prese del pane e dopo aver reso grazie, lo spezzò…» (Lc 22, 19), di che cosa ringrazia? Certo, benedice la mensa e il pane che diverrà memoriale della sua Pasqua, della fraternità e della gioia del prendere cibo insieme, ma ringrazia anche di tutti i benefici della creazione: del grano e dei grappoli della vite, della fatica intelligente che li trasforma in cibo e bevanda. La creazione è il dono. Dobbiamo ringraziare per quanto abbiamo ereditato e comprendere quanto questo sia prezioso, soprattutto di fronte agli effetti drammatici della crisi ecologica. La gratitudine, infatti, deve trasformarsi in impegno, in progettualità, in azioni concrete se vogliamo evitare che i paesaggi diventino un lontano ricordo di quello che sono stati e i territori dei frammenti, residuo dello scarto e dell’abbandono.

Solo salvaguardando il terreno e, insieme, le attività agricole e gli agricoltori, può essere perseguito un uso dinamico ma sostenibile che limiti il consumo e lo spreco di territorio e, allo stesso tempo, tuteli le produzioni alimentari e la biodiversità. Il rinnovamento degli stili di vita è una via possibile e percorribile per supportare le politiche ambientali e ri-orientare l’economia nel segno della sostenibilità e della giustizia. L’agricoltura deve mantenere le sue basi ecologiche, che non ha mai dimenticato, ma che rischia di smarrire se insegue il paradigma tecnocratico, che porta alla ricerca di un modello di produzione volto solo alla massimizzazione del profitto. E, di conseguenza, all’abbandono dei campi, alla dismissione di alcune coltivazioni e, in molti casi, della stessa attività agricola a cui, a causa delle difficoltà strutturali dell’agricoltura nazionale, viene preferita la rendita derivante dal consumo del suolo o dal ritorno del bosco non curato.


Nella cultura agricola, invece, la terra è sempre stata considerata preziosa, tanto che veniva utilizzata con cura, senza mai essere impoverita pregiudicandone l’uso futuro. I suoi frutti sono sempre stati destinati a tutti, favorendo la giustizia sociale, con un regime inclusivo delle pratiche agronomiche autoproduttive e forme di scambio improntate a criteri di reciprocità e solidarietà. Questo patrimonio di attenzioni e di tradizione non può essere dissipato, in quanto rappresenta uno stimolo per guardare al futuro e affrontare in modo costruttivo le sfide odierne, dando soluzione a quelle problematiche che, in varie occasioni, sono state portate alla luce da quanti sono impegnati nel mondo agricolo, che chiedono un confronto e un dialogo a più voci sul rapporto tra uso della terra, agricoltura, sostenibilità e tutela del lavoro delle nuove generazioni. Anche la progettualità sostenibile, come l’istallazione di impianti fotovoltaici, deve vigilare affinché ci sia sempre compatibilità con la produzione agricola. Sono questioni centrali per il futuro della nostra Europa.


È tempo di fermare il consumo del suolo, in particolare quello agricolo, che va destinato alla produzione di cibo. Le innovazioni, culturali e sociali, possono aiutarci a ricostruire legami con un’identità rurale che può favorire una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’ecologia integrale. Solo così sarà possibile dimorare sulla terra, trovando l’equilibrio tra uomo e natura e rilanciando la centralità dell’essere custodi del Creato e dei fratelli.

È tempo di coinvolgere le nuove generazioni nella cura della terra indirizzando a un diverso modello economico, riducendo sprechi e consumi, riscoprendo le potenzialità delle comunità locali e salvaguardando le conoscenze tradizionali, riconoscendo il giusto compenso ai produttori e raddrizzando le distorsioni dei sussidi.

Il nostro Paese è un laboratorio ideale, per diversità di ambienti e condizioni socioeconomiche, per sperimentare vie nuove nelle tante forme di agricoltura. Vanno sostenuti i molti giovani – anche immigrati – che hanno deciso di intraprendere questa strada tornando alla terra, pure nelle situazioni più difficili della collina interna e della montagna. Facciamo appello ai giovani agricoltori e ai centri di formazione che li preparano a un lavoro qualificato, perché si sentano protagonisti con la loro attività, di questo momento cruciale della storia, nel quale il loro contributo è fondamentale. Troppo spesso gli imprenditori agricoli non sono stati percepiti come una risorsa indispensabile per la produzione di cibo sano, disponibile per tutti e di qualità.

Mentre non possiamo non riconoscere gli elementi di verità esistenti nelle denunce di insostenibilità ambientale e sociale di tanta agricoltura industriale (non per nulla definita agrobusiness), auspichiamo che si promuovano politiche nazionali ed europee che ripropongano corrette riforme agrarie, adeguato riconoscimento economico del lavoro agricolo e del valore dei prodotti agricoli, riduzione degli sprechi dal campo alla tavola, valorizzazione dell’agricoltura familiare. La polarizzazione tra agricoltura convenzionale e biologica o altro non serve: occorre fare rete e integrare, per combattere la dispersione delle comunità, soprattutto di quelle interne del nostro Paese, e dell’ambiente da cui proviene sostentamento e salute per tutti.

Roma, 2 giugno 2024

Solennità del SS. Corpo e Sangue del Signore

La Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace

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Il vero primato di Milano è quello di negare la realtà http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/11/il-vero-primato-di-milano-e-quello-di-negare-la-realta/ Wed, 27 Nov 2024 22:17:17 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16879 Milano è davvero la città più vivibile d’Italia? A leggere le classifiche sì, a guardare con attenzione i dati forse no. Merito delle narrazioni entusiastiche e compiacenti sulla città, capaci di alterare i fatti e negare i problemi. Una risposta di Lucia Tozzi al pezzo di Gianluca Nativo

di Lucia Tozzi

Articolo originale su Lucy sulla Cultura

Niente è più reazionario che ridurre le questioni politiche a “scontro di narrazioni”, come se il piano materiale non esistesse. Purtroppo questa idea, oggi parecchio dominante, è alimentata da politici di destra e sinistra, dalle migliaia di scuole di scrittura creativa, dai manuali di neuromarketing, dai dipartimenti di psicologia comportamentale, dagli influencer, dagli operatori sociali e, orribilmente, dai giornali, soprattutto nelle pagine culturali ed economiche. Per risolvere i problemi basta “cambiare la narrazione” e quelli, puff, spariscono. Milano è in crisi? Basta risollevare il morale delle truppe, trovare la metafora giusta come nel film aspirazionale su Mandela presidente che sconfigge l’apartheid ancora forte in Sudafrica facendo giocare i neri a rugby, lo sport dei bianchi. O trovare l’eroe, come il cecchino portentoso che col suo esempio cambia le sorti della battaglia di Stalingrado e del mondo – un film più spiritoso, ma pur sempre patetico. 

La giunta milanese ha trovato una sorprendente classifica, che a dispetto dell’aria velenosa, delle proteste che si moltiplicano, delle inchieste giudiziarie sugli abusi, le conferisce il titolo di città con la migliore qualità della vita. Ora, le classifiche sulla qualità della vita sono, per loro stessa natura, assurde: quantificare la qualità è la più arbitraria e scivolosa delle operazioni, a partire dalla scelta dei parametri e dei metodi per misurarli, che non metterebbero d’accordo neanche tre persone intorno a un tavolo, figurarsi gli abitanti di una città. Questa lo è in modo particolare, perché guardando i suoi posizionamenti suddivisi per sottocategorie si evince chiaramente che Milano si piazza all’ultimo posto per superamento di PM 2,5-10, va malissimo ovviamente per l’aumento dei prezzi al metro quadro, è in posizione media o medio bassa per natalità, sicurezza, sicurezza sul lavoro, e medio alta (ma non prima) solo per posti letto in ospedale in rapporto alla popolazione – superata da Catanzaro –, occupazione e titoli di studio. Dati, questi ultimi, che oltretutto sono viziati all’origine, dal calcolare come parimenti occupati un professore universitario a vita e un precario che racimola duecento euro al mese, e rilevando la percentuale di laureati solo nella fascia 25-39, cioè in quel ceto di abitanti che in gran parte è stata “attratta”, o “strappata” da altre città per cercare lavoro. 

Qualunque sia l’alchimia che ha potuto fare di questi dati mediocri numeri da primato, il quadro pur edulcorato che ne risulta è quello di una città “ultima spiaggia”, dove si è costretti a venire o passare per trovare un lavoro purchessia, ma in cui è difficile e anche poco desiderabile stabilirsi

Utilizzare questa triste e aleatoria classifica per sostenere, come hanno fatto tanti giornali e media, cheil vento è cambiato, che possiamo lasciarci alle spalle la moda di parlare male di Milano come se si trattasse di liberarsi della nefasta ossessione per il ceruleo della stagione passata, è espressione della miseria ideologica in cui siamo immersi. 

Dati ben più cogenti di quelli raccolti da queste agenzie di comunicazione testimoniano che questa è la capitale italiana della disuguaglianza crescente, della concentrazione della ricchezza, della facilitazione degli interessi immobiliari e finanziari, della privatizzazione e distruzione dei servizi pubblici. Ricerche universitarie, report immobiliari, studi indipendenti, inchieste giornalistiche, picchetti antisfratto, denunce dei comitati, tende degli studenti e le recenti inchieste giudiziarie dimostrano in modo difficilmente contestabile che Milano è un luogo che costruisce lusso e privilegio sottraendo risorse e beni comuni alle fasce meno agiate. Dirada il trasporto pubblico capillare nelle periferie per servire il centro, chiude piscine pubbliche a basso costo trasformandole in spa private, trasferisce il patrimonio librario delle grandi biblioteche a fondazioni, cede aree verdi a fondi immobiliari che le distruggono tagliandogli pure oneri e costi, lascia degradare le case popolari per poi venderle o sostituirle con case per ricchi. Questi sono fatti, non narrazioni. Sono forme di ingiustizia misurabili e misurate, ormai presenti in migliaia di ridondanti documentazioni. 

La narrazione è invece quella patina infida che occulta questi fatti, quella che altera i dati, quella che al limite, quando l’evidenza non si può più negare, naturalizza questi problemi come esternalità negative del successo, e/o come problemi comuni a tutte le città del mondo: “Signora mia, di che si lamenta, sapesse quanto costa una stanza a New York o a Parigi”. E che, per legittimare le ragioni della rendita e della valorizzazione, interpella direttamente gli abitanti più affluenti, citando le loro manifestazioni di benessere come una prova schiacciante contro chi protesta. 

Come è successo nel caso di Cascina Merlata: un servizio tv ha descritto il quartiere come un progetto mirato alla pura massimizzazione della rendita a dispetto della socialità degli abitanti, suscitando la reazione sdegnata di un gruppo di condomini, offesi per il danno di immagine (o forse preoccupati per l’eventuale danno che la cattiva immagine avrebbe comportato per il proprio investimento). L’episodio è stato brandito come una clava contro la critica urbana: sono tutte astrazioni ideologiche, gli abitanti sono felici. Nessuno si è posto la domanda: “Si, ma QUALI abitanti”? A Cascina Merlata, quelli degli appartamenti di lusso – mentre quelli delle case meno care languono ai piani bassi, all’ombra degli altri palazzi, stretti tra i cancelli e i muri opprimenti, terrorizzati alla sola idea di prendere parola. 

Probabilmente è per questo che Milano resta un modello così caro al fronte del liberalismo progressista: non perché resiste a qualsiasi narrazione – decisamente no – ma perché ha messo in piedi un apparato comunicativo che si ostina, con una pervicacia maggiore di quanto si potesse immaginare, a non arrendersi a nessuna emersione del reale e del politico. Milano è il baluardo nazionale della negazione della realtà: se ci sono le buche per strada non è a causa della scelta politica di risparmiare sulla manutenzione, è per il climate change. Se nessuno riesce a pagare l’affitto con lo stipendio, è colpa delle regole antiquate che non permettono di attuare le gabbie salariali. Se le case popolari non vengono assegnate, la responsabilità è del governo ladro. Se gli attivisti senza sosta cercano di ostacolare la densificazione e il consumo di suolo, è perché sono dei conservatori luddisti. Se decine di inchieste giudiziarie rivelano che a Milano si costruiscono grattacieli senza seguire le regole urbanistiche in uso nel resto d’Italia, risparmiando sulle tasse a scapito delle casse pubbliche e dei servizi ai cittadini, Milano pretende una legge che stravolga le regole urbanistiche di tutta Italia, pur di dimostrare di avere ragione e continuare ad autodistruggersi. 

Forse invece di concentrarci sui negazionisti climatici fan degli idrocarburi faremmo meglio a concentrarci sui danni prodotti dei negazionisti alla milanese. Il meteorite più grosso sta cadendo da quella parte.  

Lucia Tozzi è studiosa di politiche urbane e giornalista freelance. Il suo ultimo libro è L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane (Cronopio 2023)

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Valpolicella paesaggisticamente alla deriva: nuovi capannoni industriali a San Pietro in Cariano http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/11/valpolicella-paesaggisticamente-alla-deriva-nuovi-capannoni-industriali-a-san-pietro-in-cariano/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/11/valpolicella-paesaggisticamente-alla-deriva-nuovi-capannoni-industriali-a-san-pietro-in-cariano/#comments Tue, 19 Nov 2024 11:12:55 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16871 Prosegue la cementificazione delle terre dell’Amarone, già deformate dalla speculazione edilizia e dalla monocoltura della vite

Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata da Gabriele Fedrigo, scrittore e abitante della Valpolicella, al Sindaco di San Pietro in Cariano (Verona), relativa alla costruzione di nuovi edifici industriali al posto delll’ex acciaieria Lonardi, già demolita, per la nuova sede della Isap Packaging, produttrice di prodotti di plastica monouso. L’insediamento coprirà una superficie grande come dieci campi da calcio, con nuova impermeabilizzazione di suolo, incremento del debito ecologico e danno al paesaggio.

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Negrar di Valpolicella, 10 novembre 2024

Al Sindaco del Comune di San Pietro in Cariano Dott. Gerardo Zantedeschi

Ai Consiglieri del Consiglio Comunale di San Pietro in Cariano

All’Ufficio Tecnico edilizia privata del Comune di San Pietro in Cariano Dott. Andrea Marzuoli

Al Soprintendente di Verona Dott. Andrea Rosignoli

Isap Packaging Parona (Vr)

p.c. alle associazioni in indirizzo

alla cittadinanza della Valpolicella

agli organi di stampa

Oggetto: Lettera sul futuro dell’area ex Lonardi – San Pietro in Cariano (Verona)

Signor Sindaco,

è da tempo che le volevo scrivere, precisamente da quando ho saputo della demolizione di un muro storico nella frazione di Castelrotto; un muro storico reo di essere stato costruito in un borgo medievale prima che i SUV potessero girare per strada. Se lo ricorda quel bellissimo muro? Ora al suo posto ce n’è uno che sembra uscito da un computer tanto sa di finto. Un capitolo tristissimo per la storia di quella frazione e per tutta quella Valpolicella che non smette di amare «disperatamente i segni del passato in quanto bellezza» (P.P. Pasolini).

Poiché sono fedele a quanto mi insegna la saggezza degli uomini: Mors certa, hora incerta, non vorrei finire improvvisamente sotto terra senza prima averle espresso tutta la mia contrarietà alla pratica edilizia n. 16580 rilasciata dall’Ufficio Tecnico del suo Comune alla Ditta Immobiliare Cameri Srl (gruppo Cordifin). La conosce quella pratica edilizia, vero? Sì, quella che vedrà la nascita di uno dei capannoni più impattanti della Valpolicella sull’area ex Lonardi. Un nuovo scempio, come se non ce ne fossero già abbastanza in una Valpolicella paesaggisticamente alla deriva in cui i segni nefasti dell’ingordigia di profitto del capitale agrario e industriale si riversano non solo sulla sua storia, cancellandola, ma anche su chi la abita. Un capannone a ridosso delle colline di Castelrotto; un capannone industriale da delirio edilizio viste le dimensioni. Un capannone grande come dieci campi da calcio, per un colossale trasloco dell’Isap Packaging di Parona. Un capannone che sorgerà prospiciente il poggio dove c’è Villa Fumanelli. E che vuole che sia? lei mi dirà. E la vista sulle colline? E l’impatto ambientale? Ma dico, e la Soprintendenza? Se c’è, dov’è? La Soprintendenza dovrebbe essere al corrente del vincolo paesaggistico della Valpolicella. La responsabilità della Soprintendenza in questo ennesimo gioco al massacro del paesaggio non può essere sottaciuta. Come si è pronunciata la Soprintendenza sull’impatto paesaggistico di questo nuovo mostro, dopo quelli che la Valpolicella ha dovuto ingoiare in questi ultimi anni?

E così dopo la lavorazione dell’acciaio della Lonardi ora arriva in Valpolicella la plastica dell’Isap. Ci mancava solo questa! Sì, plastica, naturalmente una produzione sostenibile, attenta all’ambiente, ecc. Ma si può sapere di quale sostenibilità? La storia della sostenibilità chi la beve più? Come se la produzione di bioplastica fosse a zero emissioni e non comportasse allo stato attuale alcun costo ambientale, come invece riportato, fra gli altri, dall’inchiesta giornalistica di Aryn Baker del Time del 28 novembre 2023, The dirty secret of alternative plastic.

La produzione di una tonnellata di cemento causa l’emissione di una tonnellata di CO2. Il debito ecologico della demolizione e della costruzione della nuova Isap a quanto ammonta? Lo possiamo sapere? Signor Sindaco, lei lo sa? E la nuova impermeabilizzazione del suolo, le dice proprio niente in epoca di riscaldamento globale e di alluvioni? E che dire della futura dismissione dell’Isap che, se non sbaglio, è a Parona dal 1963? Su quell’area non sono forse puntati già da anni gli occhi per un’altra mega operazione di speculazione edilizia nel martoriato Parco dell’Adige, come già avvenuto con la lottizzazione della gated community denominata VerdeAdige? Ma quali saranno mai gli attori di questa futura mega-lottizzazione nel Parco dell’Adige?

Fa specie che la cittadinanza della Valpolicella venga a sapere dai giornali e da facebook il destino dell’area ex Lonardi fagocitata da un progetto di tali dimensioni e di tale impatto paesaggistico e ambientale. La cittadinanza non ha avuto alcuna voce in capitolo in questa vicenda. O mi sbaglio? Le chiedo allora: perché non ha convocato un’assemblea aperta a tutti i cittadini in cui informare quanto si stava approvando? Possibile che la cittadinanza venga sempre a sapere di ciò che avviene sul territorio quando i giochi sono già chiusi? Nel prossimo Consiglio Comunale del 13 novembre 2024 si ratificherà di fatto quel che è già stato deciso altrove. Possiamo sapere dov’è questo altrove? Possiamo conoscere l’iter che ha portato a tale scelta paesaggisticamente scellerata?

Quando ho visto i lavori di demolizione dei capannoni dell’ex Lonardi, non volevo credere ai miei occhi. Sì, mi sono ben fatto la domanda: e ora, tutte quelle macerie di rifiuto speciale dove andranno a finire? Lei lo sa? Possiamo conoscere la discarica in cui verrà smaltito questo enorme ammasso di macerie? Eppure le confesso che vedere l’orizzonte libero dai capannoni mi ha galvanizzato come non mi era mai successo prima, quanto meno qui in Valpolicella, dove vivo la mia alienazione e quella di chi mi circonda.

Pensavo che con questa demolizione di capannoni fatiscenti dell’ex Lonardi il Comune di San Pietro in Cariano avesse voluto svoltare definitivamente pagina e mostrare a tutti che anche qui in Valpolicella è ora di dire basta a decenni di sfruttamento e di maltrattamento di Madre Terra. Un sindaco e un’amministrazione finalmente all’altezza dell’emergenza climatica e ambientale che stiamo tutti vivendo e subendo a causa di una conduzione economica rapace, onnivora e distruttiva. Un sindaco e un’amministrazione che dicono un solenne NO! a chi vuole ancora cementificare e a chi pensa alla terra come mero strumento di profitto. Un sindaco e un’amministrazione che finalmente decidono di impiantare migliaia di alberi all’ex Lonardi forse per saldare un po’ i conti con l’ambiente. Che illuso! Ma quali alberi? Cemento, cemento, e ancora cemento… per un’attività produttiva retta da mere logiche di profitto e di crescita. Quella stessa crescita che sta portando la nostra specie all’autodistruzione…

Possiamo sapere che ne viene alla cittadinanza della Valpolicella da questo ennesimo scempio, che non sia la solita solfa di chi benedice l’attività produttiva del privato che porta lavoro? E a vantaggio di chi porterebbe lavoro? Forse a vantaggio dell’operaio che aliena la sua vita in fabbrica?

Non pensa che sia la comunità a dover decidere il proprio destino e il destino del proprio territorio?

In attesa di riscontro.

Le scrivo da cittadino della Valpolicella e da cittadino del mondo. Le scrivo da amante della bellezza.

Gabriele Fedrigo

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Ripristino della Natura e Agricoltura http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/11/ripristino-della-natura-e-agricoltura/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/11/ripristino-della-natura-e-agricoltura/#comments Mon, 11 Nov 2024 22:47:34 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16855 L’agricoltura produce una notevole quantità di gas climalteranti ed è responsabile di circa un quinto di tutte le emissioni antropiche di gas serra. Rappresenta quindi uno dei settori più coinvolti dalle misure di ripristino della natura. Il nodo cruciale sarà la capacità di ogni Stato di trovare un equilibrio tra la tutela della biodiversità e le esigenze economiche

di Giuseppe Sarracino (agronomo)

Il 17 giugno 2024, l’Unione Europea ha approvato il Regolamento sul Ripristino della Natura, parte integrante del Green Deal europeo, finalizzato al ripristino degli ecosistemi degradati e al miglioramento della biodiversità, entrato in vigore il 18 agosto. Questo regolamento, vincolante per gli Stati membri, impone l’obbligo di attuarlo integralmente. Nella relazione di accompagnamento si evidenzia che “la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi proseguono a un ritmo allarmante, danneggiando le persone, l’economia e il clima”. Solo un ripristino tempestivo degli ecosistemi potrà garantire benessere, prosperità e sicurezza a lungo termine ai Paesi membri.

Questo approccio non è dettato da una visione puramente bucolica o ideologica della natura, ma riconosce l’esistenza di un nesso sempre più stretto tra la salute umana, quella degli animali e un ambiente naturale integro e resiliente. Si tratta di obiettivi ambiziosi ma indispensabili, che gli Stati membri sono chiamati a perseguire in una visione multidimensionale e integrata. Il crescente squilibrio tra spazi naturali e artificiali richiede, come previsto dal regolamento, un aumento e un recupero delle aree naturali. Questo obiettivo non è privo di difficoltà, poiché le azioni di ripristino degli ecosistemi richiedono spesso la conversione di terreni attualmente destinati a usi potenzialmente più redditizi dal punto di vista economico.

L’articolo 4 stabilisce che Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino necessarie per riportare in buono stato le zone dei tipi di habitat”. Infatti, entro il 2030, dovranno ripristinare almeno il 30% della superficie totale di tutti i tipi di habitat non in buono stato, raggiungendo il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050, come stabilito nell’Allegato I del regolamento. A tale proposito, ogni Paese dovrà elaborare un piano nazionale di ripristino, uno strumento di pianificazione fondamentale previsto dall’articolo 14. Tale piano dovrà includere le misure necessarie per il ripristino della natura, stabilendo interventi concreti e monitorando i progressi: “Ciascuno Stato membro prepara un piano nazionale di ripristino ed effettua il monitoraggio e le ricerche preliminari per individuare le misure di ripristino necessarie per conseguire gli obiettivi di ripristino e adempiere gli obblighi di cui agli articoli da 4 a 13″.

Il Ministro dell’Ambiente ha dichiarato che “Le azioni del Piano dovranno conciliare la sostenibilità economica, ambientale e sociale degli interventi, e la definizione di appositi finanziamenti, anche di carattere europeo, sarà fondamentale per evitare l’accrescimento degli oneri per i vari settori coinvolti”. Si tratta di un impegno importante, tuttavia, non sarà sufficiente un semplice obbligo giuridico, soprattutto quando gli interventi previsti possono entrare in conflitto con attività economiche esistenti, come l‘agricoltura. Il settore primario è infatti tra i più coinvolti dalle misure di ripristino, che potrebbero influenzare le modalità di gestione, le tecniche produttive e la destinazione stessa dei terreni agricoli. Per migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli, sarà necessario adottare misure che consentano adeguati progressi, come ad esempio, il ripristino di almeno il 30% delle torbiere drenate entro il 2030, oppure rafforzerà la biodiversità negli ecosistemi agricoli.

A tale proposito, le organizzazioni agricole hanno espresso forti critiche, dichiarando: “Quella sul ripristino della natura è una legge senza logica che, tra le altre cose, diminuisce la produzione agricola” sostenendo con forza che “Con la nuova normativa verrà messo a rischio il potenziale produttivo del settore”. Queste preoccupazioni hanno allungato l’iter per l’approvazione del regolamento, tanto che è stata necessario stralciare la controversa proposta di ridurre del 10% la superficie agricola produttiva. Le preoccupazioni delle organizzazioni agricole sono comprensibili, ma la diminuzione della produttività non può essere attribuita a qualcosa che ancora deve essere attuato. Al contrario, da anni sulla agricoltura, pesano, invece, serie debolezze strutturali: il VII censimento dell’agricoltura del 2020 ha registrato una diminuzione del 30% delle aziende agricole, pari a circa 500.000, e del 2,5% della superficie agricola utilizzata rispetto al 2010. La dimensione media delle aziende è di circa 11 ettari contro una media europea di circa 60 ettari. Scarsa è la presenza di giovani imprenditori (solo il 9%, contro il 12% della media UE), troppo basso il livello di formazione (il 60% possiede solo la licenza media) inoltre il 93% delle aziende è a conduzione familiare. Anche il sostegno pubblico all’agricoltura è diminuito notevolmente, e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) non ha ancora avuto un impatto significativo.

Al contrario, il regolamento, attraverso il risanamento degli ecosistemi, mira a garantire alimenti e sicurezza alimentare, acqua pulita, pozzi di assorbimento del carbonio e protezione dalle catastrofi naturali provocate dai cambiamenti climatici. L’art. 11, “Ripristino degli ecosistemi agricoli”, prevede che “Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino necessarie per rafforzare la biodiversità degli ecosistemi agricoli, in aggiunta alle zone soggette a misure di ripristino a norma dell’articolo 4, paragrafi 1, 4 e 7, tenendo conto dei cambiamenti climatici, delle esigenze sociali ed economiche delle zone rurali e della necessità di garantire la produzione agricola sostenibile nell’Unione”.

L’agricoltura è un fattore strategico per la riuscita del Green Deal, in quanto produce una notevole quantità di gas climalteranti ed è responsabile di circa un quinto (21%) di tutte le emissioni antropiche di gas serra. Inoltre, è l’attività economica che più di ogni altra, attraverso le sue pratiche agronomiche, trasforma e modella la natura e le sue risorse. Tuttavia, il nodo cruciale sarà la capacità di ogni Stato di trovare un equilibrio tra la tutela della biodiversità e le esigenze economiche. Questo aspetto politico e sociale è di grande rilevanza, e la sfida sarà quella di creare una sinergia tra sviluppo economico e protezione ambientale, piuttosto che generare conflitti.

L’urgenza di questa mediazione è evidente, soprattutto di fronte alle continue inondazioni, sempre più frequenti e intense a causa della crisi climatica, che stanno danneggiando non solo il territorio italiano ma anche quello di tutti gli Stati membri. Nell’Unione Europea, nel 2021 e nel 2022 si è registrata un’accelerazione delle perdite economiche dovute a eventi estremi; secondo il rapporto dell’ex presidente finlandese, nel 2021 i danni hanno sfiorato i 60 miliardi di euro, e circa 52 miliardi l’anno successivo. “Il Green Deal non è un atto di generosità morale, ma è il tentativo europeo di salvaguardare il proprio futuro.”

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Continuano le alluvioni ma i ministri accusano chi difende l’ambiente: il mondo alla rovescia http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/10/continuano-le-alluvioni-ma-i-ministri-accusano-chi-difende-lambiente-il-mondo-alla-rovescia/ Tue, 29 Oct 2024 22:28:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16841 Di Fabio BaloccoBlog Fatto Quotidiano 29.10.2024

In questo governo di scappati di casa in cui ognuno fa a gara a chi fa o la dice più grossa… un posto se lo è ritagliato anche il ministro (scusate se scrivo minuscolo, ma non nutro grande stima dei ministri in generale) della Protezione Civile, Nello Musumeci, che, intervistato a Rai News 24, commentando le ormai abituali alluvioni che flagellano buona parte del paese, ha letteralmente affermato: “Un po’ di responsabilità è anche di un certo ambientalismo integralista che ha dettato con la propria presenza una legislazione e una normativa assai vincolistica. L’Ispra, ad esempio, che è un istituto di grande scienza e cultura, sembra essere nelle mani di qualche ambientalista particolarmente fazioso, di quelli che non consentono di intervenire per togliere un albero o di consolidare gli argini perché c’è un tipo particolare di uccello che deve nidificare. Questo è un ambientalismo ideologizzato”.

Non è la prima volta che un ministro attacca chi difende la natura. Nel 2018, quando era ministro dell’Interno, Matteo Salvini nel primo governo Conte (quello in cui iniziò la rapida discesa agli inferi dei grillini) coniò il termine di “ambientalismo da salotto” per coloro che, a detta sua, pontificavano sulla tutela della natura, senza avere un’idea chiara degli interventi a suo dire necessari per evitare i disastri.

Sostanzialmente stesso concetto fu espresso nel 2021 da quel ministro della Transizione Ecologica benedetto da Beppe Grillo (!) nel governo Draghi (ennesima caduta dei grillini), Roberto Cingolani, il quale parlò di ambientalisti radical chic, oltranzisti e ideologici “ambientalisti radical chic peggiori della catastrofe climatica”. Ed arriviamo al 2023 quando il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin fa il pappagallo parlando degli ambientalisti “quelli da salotto, che vivono al ventesimo piano di un grattacielo.”

Lasciamo perdere solo per pietà il commento sugli ambientalisti che sarebbero benestanti e staccati dalla realtà (del resto vivono nei grattacieli…), e veniamo all’affermazione di Musumeci, che non si limita a prendersela con i salottieri, ma addirittura attacca l’Ispra, che è un organismo istituito nel 2008 alle dipendenze del Ministero dell’Ambiente e che cura, tra le altre cose, anche un rapporto annuale sul consumo di suolo in Italia.

Evidentemente, dato che l’affermazione di Musumeci è stata pronunciata in occasione dell’ennesimo disastro che ha colpito l’Emilia Romagna, è proprio questo che dà fastidio, il fatto che l’istituto denunci annualmente che il consumo di suolo non si arresta, e che una parte non irrilevante di quel consumo origini proprio dalla transizione ecologica (leggasi “parchi” fotovoltaici a terra). Lo capiscono anche i bambini che le affermazioni, nel tempo, di Salvini, Cingolani, Pichetto Fratin, Musumeci rispecchiano il motto cinese “Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Anche se viene da pensare che i vari ministri non siano in realtà così sciocchi, ma siano in perfetta malafede.

Partiamo dal presupposto che gli ambientalisti non hanno mai governato, né governa l’Ispra, che è mero organismo di consulenza. Quindi, se disastri ci sono è perché ha deciso la politica che ci fossero, promuovendo la stessa politica da decenni: grandi opere, lottizzazioni, hub per la logistica, e, in generale asfaltatura e cementificazione del territorio: quella che si chiama impermeabilizzazione del suolo. Paolo Pileri, nel suo recente saggio Dalla parte del suolo. L’ecosistema invisibile, parla di un futuribile reato di “procurata fragilità del territorio”, reato non da poco se si considerano i quarantuno morti causati dalle alluvioni nei tempi recenti (sempre Paolo Pileri).

Ma, dal punto di vista giuridico, la ipotetica responsabilità penale soprattutto dei vari ministri va al di là della colpa, per configurarsi come dolo eventuale, posto che lo strumento per evitare gli attuali e futuri disastri ci sarebbe: è la proposta di legge del 2018 per arrestare il consumo di suolo presentata dall’onorevole Paola Nugnes e ripresa nell’attuale legislatura dall’onorevole Stefania Ascari. Del resto, una volta tanto è l’Europa che ce lo chiede, visto che entro il 2050 si dovrebbe raggiungere l’obiettivo di zero consumo di suolo.

Forse il ministro Musumeci non lo sa della pdl, non ha aperto il cassetto, visto che ha affermato nella stessa intervista di cui sopra che “serve una legge per limitare il consumo di suolo”. Quindi da una parte dice che manca una legge, e dall’altra se la prende con l’Ispra che denuncia proprio quello, che, a causa della mancanza di un freno, in Italia si consuma il suolo alla velocità di due metri quadrati al secondo. In psichiatria, questo si chiama atteggiamento schizofrenico.

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