Veneto – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Tue, 09 Jul 2024 21:19:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.6 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg Veneto – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Il Consiglio di Stato con un’esemplare sentenza ripristina i vincoli paesaggistici su Comelico e Valle d’Ansiei http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/il-consiglio-di-stato-con-unesemplare-sentenza-ripristina-i-vincoli-paesaggistici-su-comelico-e-valle-dansiei/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/il-consiglio-di-stato-con-unesemplare-sentenza-ripristina-i-vincoli-paesaggistici-su-comelico-e-valle-dansiei/#respond Sun, 07 Jul 2024 12:58:44 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16650 Di: Giovanna Ceiner (Presidente di Italia Nostra – Sezione di Belluno)

Il Consiglio di Stato con sentenza pubblicata il 21 giugno 2024 ha accolto l’appello con il quale le associazioni ambientaliste Italia Nostra Aps, Mountain Wilderness Aps e Lipu Odv hanno impugnato la sentenza del TAR Veneto n. 1280/2022 che ha accolto i ricorsi riuniti di primo grado dei Comuni di Auronzo, di Comelico Superiore, di Santo Stefano di Cadore, della Provincia di Belluno e della Regione Veneto, volti ad ottenere l’annullamento del Decreto Ministeriale n. 1676 del 2019, n. 1676/2019 recante “Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area alpina compresa tra il Comelico e la Val d’Ansiei, Comuni di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolò di Comelico e Comelico Superiore (BL)”

La decisione del Consiglio di Stato ha ripreso la sentenza della Corte Costituzionale n. 64/2021 che indica nel paesaggio un bene unitario, primario, assoluto, che rientra nell’ unica competenza dello Stato e precede, comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio. Quindi il Consiglio di Stato ha ripristinato l’efficacia dei vincoli paesaggistici e ambientali decisi nel Decreto Ministeriale n. 1676 del 2019 ribadendone la piena legittimità.

Italia Nostra, Mountain Wilderness e LIPU, dopo essersi confrontati con gli avvocati Laura Polonioli e Andrea Reggio d’Aci, in un comunicato congiunto forniranno maggiori informazioni di dettaglio su questa sentenza destinata a fare storia nella difesa dei paesaggi naturali.

Belluno, 21 giugno 2024

La Presidente di Italia Nostra – Sezione di Belluno

Prof.ssa Giovanna Ceiner

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L’incremento del consumo di suolo in Veneto è legittimato dalla Regione e i numeri non mentono http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/06/lincremento-del-consumo-di-suolo-in-veneto-e-legittimato-dalla-regione-e-i-numeri-non-mentono/ Fri, 21 Jun 2024 09:26:31 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16617 La legge regionale n. 14/2017, emanata per azzerare il consumo di suolo in Veneto entro il 2050, in realtà ha moltiplicato di tre volte la superficie territoriale consumabile rispetto alla legge precedente

di Endri Orlandin

La questione del consumo di suolo nel nostro Paese suscita spesso più di qualche discussione in termini semantici, quantitativi, di cause ed effetti e su tanto altro ancora. In una regione come il Veneto dove ormai da diversi anni l’attività pianificatoria, sia territoriale che urbanistica, sta avendo un fortissimo impatto sul consumo di questa risorsa non rinnovabile bisogna risalire a vent’anni fa per avviare una riflessione critica rispetto ai tentativi che la Regione ha cercato di portare avanti per provare ad arginare questo fenomeno che appare oramai, nel nostro territorio, completamente fuori controllo.

E per farlo i numeri sono la chiave di lettura fondamentale per consentirci di mettere a fuoco la questione.

Come vedremo i numeri che entrano in gioco sono figli di leggi regionali che hanno cercato in poco più di un decennio (tredici anni per l’esattezza), a modo loro, di contenere (?) questo fenomeno attraverso una pianificazione del territorio che inizialmente (nel 2004) sembrava aprire a una nuova stagione di deregulation ma che, a posteriori, pur con i propri limiti, sembra una strada tutto sommato più conservativa di quanto non lo sia stata la successiva legge regionale sul consumo di suolo emanata nel 2017.

Il 2004 costituisce l’anno in cui sono cominciati, in termini legislativi (con la promulgazione della Legge regionale 23 aprile 2004 n. 11, “Norme per il governo del territorio” a cui, successivamente, è stato aggiunto il paesaggio), i tentativi che la Regione Veneto ha messo in campo per provare a porre un freno a un fenomeno che aveva preso avvio negli anni Settanta, era letteralmente esploso negli Ottanta con i processi di diffusione insediativa (la tanto decantata e studiata metropoli diffusa del nord-est), era completamente impazzito assecondando derive dispersive negli anni Novanta, ed è arrivato negli anni Duemila a riversare, sul poco territorio rimasto ancora libero, l’ultima significativa colata di cemento e asfalto finendo per saturarlo quasi completamente (i numeri che testimoniano e quantificano questo processo sono riportati nella tabella al termine del testo).

La legge regionale n. 11 del 2004, con l’Atto di indirizzo Lettera C – SAU, ai sensi dell’articolo 50, definiva la metodologia per il calcolo, nel piano di assetto del territorio (il corrispettivo del piano strutturale comunale in altre leggi regionali, con validità a tempo indeterminato), del limite quantitativo massimo della zona agricola trasformabile in zone con destinazioni diverse da quella agricola definendo, con riferimento a tre contesti territoriali (pianura, collina, montagna), la media regionale del rapporto tra la superficie agricola utilizzata (SAU) e la superficie territoriale comunale (STC). La superficie trasformabile per ogni singolo comune veniva determinata in base a un calcolo che utilizzava per ognuno dei tre contesti territoriali un indice medio di trasformabilità della superficie agricola utilizzata. Ma come vedremo più avanti, al di là della spiegazione dell’algoritmo utilizzato per questo calcolo, ciò che più conta è la quantificazione finale degli ettari consumabili a livello regionale. Questo primo approccio, in termini di dimensionamento della capacità incrementale degli strumenti urbanistici, derivante dalla moltitudine di piani e varianti redatti ai sensi della Legge regionale 27 giugno 1985 n. 61 “Norme per l’assetto e l’uso del territorio” cercava di mettere un dito nella diga che aveva cominciato a sgretolarsi e aveva lasciato che un mare di cemento si riversasse sul territorio inondando tutto il Veneto (si veda al riguardo: AaVv, Dalla legge regionale n. 61 del 1985 alla nuova legge urbanistica regionale n. 11 del 2004. Elementi per una valutazione dei processi di pianificazione, Venezia, 2008).

L’eredità del ciclo di pianificazione derivante dalla Lr 61/1985 in termini di piani regolatori generali, ma ancor più di varianti generali e parziali ai Prg, programmi complessi e altri strumenti di varia pianificazione, tra il 2000 e il 2007 ha raggiunto lo straordinario numero di quasi cinquemila varianti, pari a quasi nove strumenti urbanistici all’anno per ogni comune veneto; in questi otto anni per ognuno degli allora 581 comuni è come se fossero stati realizzati mediamente 72 piani e/o varianti urbanistiche, di cui una parte figlie dell’effetto annuncio “emanazione della nuova legge urbanistica regionale” (nel periodo 2000-2004), un’altra, figlie delle continue deroghe concesse dalla legge regionale sul governo del territorio Lr 11/2004 nel suo primo periodo di applicazione tra il 2004 e il 2007 (le deroghe tuttavia sono continuate anche ben oltre il 2007).

In realtà come vedremo questo approccio era il tentativo di cercare di provare a chiudere la stalla dopo che i buoi erano scappati, e principalmente per un motivo: in diversi comuni veneti il territorio agricolo trasformabile era, di fatto, già stato trasformato, soprattutto in conseguenza dell’effetto annuncio della nuova legge urbanistica regionale (la 11 del 2004), e quindi queste realtà amministrative non avrebbero avuto alcuna possibilità di accrescere il proprio potenziale espansivo e di conseguenza non avrebbero potuto prevedere alcun incremento edificatorio. E sappiamo benissimo quanto la maggior parte dei comuni veneti fossero e siano tuttora estremamente voraci di superfici edificabili (che siano per edilizia residenziale, piuttosto che per aree industriali-artigianali, oppure commerciali, o direzionali, o altro ancora).

L’effetto che la legge regionale n. 11 del 2004 avrebbe dovuto sortire sul consumo di suolo in Veneto è presto detto ed è interamente ascrivibile alla quantità totale di SAU trasformabile a livello regionale, derivante dall’applicazione del calcolo definito dall’Atto di indirizzo (lett. C), che ammontava complessivamente a 9.053 ettari, pari allo 0,5% della superficie territoriale veneta. Dato quest’ultimo che espresso in termini percentuali potrebbe sembrare poca cosa, ma che nella realtà invece determina ulteriori consistenti quote di urbanizzazione nonostante la massiccia presenza, in diversi comuni, di significative quantità di previsioni insediative residuali mai utilizzate nel corso degli anni (eredità molto spesso del ciclo di pianificazione derivante dalla Lr 61/1985, come visto in precedenza).

La legge sul governo del territorio stabiliva (e stabilisce tuttora in quanto la legge è ancora vigente) che gli ettari trasformabili dovevano essere poco più di novemila ma, dalla verifica compiuta dalla Regione Veneto prima dell’approvazione della legge sul contenimento del consumo di suolo (nel giugno del 2017) emerse che gli ettari di suolo consumati dai comuni erano stati 12.224 (quasi tremila in più rispetto a quelli previsti dalla Lr 11/2004 e pari allo 0,7% della ST del Veneto, vale a dire il 35% in più rispetto a quanto stabiliva la legge urbanistica).

Tredici anni dopo arriviamo a una svolta la Legge regionale del 6 giugno 2017 n. 14Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 ‘Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio’” che, come ben espresso dal titolo, dovrebbe occuparsi con estrema attenzione della gestione del consumo di suolo fino al suo esaurimento entro il 2050. Questa legge, a fronte di un complesso sistema di calcolo (tra superfici residue, superfici residue ridotte del 40%, correttivi, percentuali da assegnare detratti i correttivi, etc.), quantifica in 12.793 ettari la quota massima di consumo di suolo ammessa fino all’anno 2050 in Veneto, successivamente ridimensionata a 9.575 ettari (a seguito di alcuni provvedimenti regionali e conseguenti adeguamenti comunali), con un plafond residuo di 8.530 ettari “disponibili”. La somma di questi due ultimi valori quantifica gli ettari consumabili in 18.105 che sommati ai 12.224, già consumati al momento dell’emanazione della legge regionale, portano a 30.329 ettari il totale, pari all’1,6% della superficie territoriale del Veneto. Ma volendo essere magnanimi ed effettuando il conteggio in base ai soli ettari consumabili “ridimensionati” ed escludendo quelli già consumati (12.224 ha), la percentuale di superficie territoriale regionale consumabile risulterebbe essere comunque quasi dell’1%.

I numeri parlano chiaro: la legge regionale veneta n. 14 del 2017, emanata per azzerare il consumo di suolo in Veneto entro il 2050, in realtà ha moltiplicato di tre volte la superficie territoriale consumabile determinata precedentemente dalla Lr 11/2004 (che è tutt’ora vigente) legittimando, in tal modo, il più esteso consumo di suolo sul territorio veneto, dando l’impressione di privare i comuni di un loro diritto acquisito disponendo un ridimensionamento delle previsioni urbanistiche esageratamente sovradimensionate nel corso degli anni ma in realtà concedendo loro ampi margini di incremento. E come se non bastasse le deroghe ai limiti stabiliti dalla Lr 14/2017 sono state concepite a maglie talmente larghe da concedere spazio, ad esempio, all’attività di cava, oppure agli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento, nei piani di area e nei progetti strategici regionali (vere e proprie “bombe a orologeria” pronte a riversare sul territorio nuove superfici edificabili con annesse cubature) che andranno a sfregiare ulteriormente il già deturpato paesaggio veneto.

E in questa situazione, giusto per non farci mancare nulla, brilla per la sua imbarazzante assenza il piano paesaggistico regionale, in gestazione ormai da oltre vent’anni, la cui approvazione sarà destinata a ratificare la definitiva scomparsa del paesaggio veneto.

Questo ci riporta al presupposto iniziale e cioè, parafrasando un vecchio adagio popolare, “stavamo meglio quando pensavamo di cominciare a star peggio”.

Quantificazione del consumo di suolo, reale e pianificato, in Veneto
dagli anni Ottanta al 2050

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“Derogaland veneta”: la terra delle deroghe http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/derogaland-veneta-la-terra-delle-deroghe/ Thu, 30 May 2024 10:41:36 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16602 A cura di: Dante Schiavon

E’ tempo di elezioni e tutti, proprio tutti i diversi schieramenti partitici vi diranno, a proposito del suolo, della necessità di fermarlo: ma solo a parole. Il potere politico e amministrativo di destra e di sinistra non vede il suolo: si limita a calpestarlo, in tutti i sensi. Il Veneto e la sua popolazione, per salvare la “qualità dell’ambiente” e del “paesaggio”, hanno bisogno di ricevere una “scossa culturale” che li faccia risvegliare dal “letargo politico e culturale” in cui sono precipitati. La “scossa culturale” può essere rappresentata da una raccolta di firme (ne servono 40.000) che inneschi un dibattito nella società civile veneta sulla sorte di un “bene comune” e sull’effetto ossimoro della legge regionale nr. 14 del 6 giugno 2017 dal titolo “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo” che si realizza attraverso l’uso spregiudicato del marchingegno politico-amministrativo della deroga. Le deroghe le ho riassunte in questa “guida pratica alle deroghe”, articolo per articolo. Dalla legge regionale veneta non viene considerato:

1. il consumo di suolo relativo a “procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive” e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica (articolo 12);

2. il consumo di suolo per la realizzazione di interventi frutto di accordi tra soggetti pubblici e privati per i quali sia già stata deliberata dalla giunta o dal consiglio comunale la semplice “dichiarazione di interesse pubblico” (articolo 13);

3. il consumo di suolo per la realizzazione della capacità edificatoria complessivamente assegnata dal (P.A.T.) Piano di Assetto del Territorio o dal Piano Regolatore Generale del 30% e di un ulteriore 20% se il provvedimento di quantificazione del suolo consumabile da parte della Giunta (al momento della emanazione della legge, anno 2017) non fosse stato emanato nei termini indicati dalla legge (art.13);

4. il consumo di suolo per infrastrutture e opere pubbliche o di interesse pubblico (art.12);

5. il consumo di suolo per gli interventi previsti dallo strumento urbanistico generale ricadenti negli “ambiti di urbanizzazione consolidata” (art.12);

6. il consumo di suolo per titoli edilizi in cui era stata “solamente” presentata la domanda di permesso di costruire alla data di entrata in vigore della legge (art.13);

7. il consumo di suolo in attuazione di accordi di programma per interventi di interesse regionale previsti dalla legge regionale 29 novembre 2001 nr. 35 che non sia possibile collocare negli ambiti di urbanizzazione consolidata (art.11);

8. il consumo di suolo per interventi di “riqualificazione edilizia” (Piano Casa) ed ambientale, più premi volumetrici e di superficie (e possibili crediti edilizi) (articoli 5 e 12);

9. il consumo di suolo per interventi di “riqualificazione urbana”, più premi volumetrici

e di superficie (e possibili crediti edilizi) (articoli 6 e 12);

10. il consumo di suolo derivante da Piani urbanistici attuativi anche se non ancora approvati al momento dell’entrata in vigore della legge: bastava la semplice presentazione al comune della proposta corredata degli elaborati (articolo 13);

11. il consumo di suolo legge per gli interventi programmati dai Consorzi di sviluppo di cui all’art.36 comma 5 della legge 5 ottobre 91 nr. 317 relativi ai “sistemi produttivi

locali, distretti industriali e consorzi di sviluppo industriale” (art.4);

12. il consumo di suolo per gli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) nei piani d’area e nei progetti strategici di cui alla legge regionale 23/4/2011 nr.11 ( art.12);

13. il consumo di suolo derivante dai piani di assetto del territorio (PAT) già adottati alla data di entrata in vigore della legge (art.13);

14. il consumo di suolo per interventi previsti a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale in materia di barriere architettoniche (art.12);

15. il consumo di suolo connesso all’attività di imprenditore agricolo (art.12);

16. il consumo di suolo per attività di cava (art.12).

Tutto questo gigantesco e derogato consumo di suolo si somma al plafond di 18257 ettari di suolo agricolo e naturale liberamente consumabili dal 2017 al 2050 stabilito dalla medesima legge. La classe partitica azzererà il consumo di suolo solo quando non ci sarà più niente da cementificare e nessun interesse privato da soddisfare.  Amen.

Schiavon Dante

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Polo logistico di Campagnola: la Giunta di Lupatoto (VR) cede ai privati http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/polo-logistico-di-campagnola-la-giunta-di-lupatoto-vr-cede-ai-privati/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/polo-logistico-di-campagnola-la-giunta-di-lupatoto-vr-cede-ai-privati/#comments Wed, 15 May 2024 15:49:25 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16568 L’opposizione in coro: traditi i lupatotini e massacrata la frazione di Raldon, la mercificazione del territorio porterà ulteriore traffico e potenziali danni per la salute

Come un fulmine a ciel sereno, la Giunta comunale di San Giovanni Lupatoto (VR) ha deciso di accettare la proposta transattiva del privato che intende costruire il polo logistico di Campagnola e rinunciare così alla causa che ha visto vittorioso il Comune.

A nulla sono valsi gli appelli accorati lanciati da tutti noi, consiglieri di opposizione, durante la seduta del consiglio comunale dello scorso 15 aprile, affinché si proseguisse nella causa, né l’abbandono dell’aula al momento della discussione da parte di alcuni consiglieri di maggioranza, in particolare dei consiglieri e dell’assessore di Fratelli d’Italia (Davide Bimbato, Bianca Grigoli e Maurizio Simonato) e di una consigliera di Raldon (Annalisa Perbellini).

Nemmeno la presenza di un nutrito gruppo di cittadini, presentatisi in municipio per manifestare il loro dissenso a quest’opera scellerata, è riuscita a convincere la Giunta a non abbandonare il proprio iniziale intento di contrastare la costruzione di questo enorme polo.

Ricordiamo, infatti, che come sollevato nel ricorso presentato dal Comune di San Giovanni Lupatoto e pienamente recepito nella sentenza del TAR Veneto, questo progetto non considera le molteplici criticità sollevate da ARPAV, che non riguardano solo la viabilità comunale ma anche gli impatti dell’intervento, sotto il profilo del suolo, dell’ambiente, della salute della popolazione residente, nonché gli impatti complessivi e cumulativi dell’opera, tenendo conto dell’altro impianto logistico già in corso di realizzazione (PUA Belvedere).

Il territorio di San Giovanni Lupatoto, già fortemente vessato dal traffico e da record di indici che contribuiscono all’inquinamento dell’aria (tra cui il più alto indice di densità abitativa della provincia, senza contare i nuovi insediamenti abitativi e commerciali previsti per le aree ex Saifecs ed ex Ricamificio, sempre promossi dall’amministrazione Gastaldello), può reggere un’ulteriore fonte di traffico e inquinamento, in termini di vivibilità e salute dei cittadini?

La realtà è che nessun impianto fotovoltaico, nessuna opera “compensativa” potrà davvero risarcire i disagi e la salute dei cittadini lupatotini per le probabili conseguenze negative di questa immensa opera, voluta così fortemente da un privato e da cui ci ha messo in guardia ARPAV. A noi pare evidente che le scelte urbanistiche, che tutelano la salute pubblica dei residenti del nostro Comune, non possono essere oggetto di transazione.

Si tratta di un compromesso che macchia una storia di battaglie ambientali, portate avanti da tutte le precedenti amministrazioni del Comune di San Giovanni Lupatoto e di cui l’attuale maggioranza al governo della città si è assunta la responsabilità, a fronte del totale dissenso manifestato dalle forze di opposizione e dai cittadini.

Se la Giunta (al completo) voleva essere corretta e trasparente, doveva richiedere il parere di ARPAV sulla congruità della compensazione ambientale. Aver omesso questa verifica, da parte dell’ente regionale di tutela della salute pubblica, denota in questo caso la scarsa o totale mancanza di sensibilità in materia ambientale di tutti i membri della Giunta comunale, compreso il responsabile della salute pubblica indicato dalla legge, cioè il sindaco.

Poiché ci sembra importante informare a dovere i cittadini, invitiamo tutta la cittadinanza a partecipare all’incontro che si terrà venerdì 17 maggio 2024 alle ore 20,30 presso la ex canonica di Pozzo (Via D. Chiesa n. 1), in cui discuteremo sulla decisione presa dalla maggioranza e sulle sue conseguenze.

I Consiglieri comunali di San Giovanni Lupatoto:

Anna Falavigna, Remo Taioli, Marina Vanzetta, Marco Taietta. Simone Galeotto, Fabrizio Zerman. Il Segretario Circolo PD San Giovanni Lupatoto e Zevio, Enrico Righetto

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Il comune di Casale sul Sile blocca il maxi polo http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/il-comune-di-casale-sul-sile-blocca-il-maxi-polo/ Tue, 14 May 2024 13:34:23 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16554 “Non poteva esserci regalo migliore e più azzeccato per la Festa di Liberazione, perché la nostra comunità si libera da un progetto abnorme per l’ambiente, per il consumo di suolo, per l’impatto sul traffico e la qualità dell’aria, nonché, proprio per questi motivi, l’assoluta sproporzione che ne sarebbe derivata per le casse comunali, come ben si apprende dalla bozza di convenzione”. Così il Pd di Casale sul Sile, provincia di Treviso, commenta la scelta della giunta del sindaco Golisciani di bloccare il progetto del polo logistico previsto nell’area di 500.000 metri quadri a Casale Est.

Dopo 7 anni di discussioni, proteste dei comitati e una campagna elettorale per le comunali al vetriolo, il 24 aprile 2024 la giunta guidata dal sindaco Stefania Golisciani ha deliberato lo stop definitivo al Piano Urbanistico Attuativo (PUA), che prevedeva la realizzazione del grande polo industriale con tre grandi capannoni ed aree direzionali.

L’area su cui insisteva il PUA, attualmente non utilizzata ed occupata quasi interamente da prati erbosi, manterrà la destinazione d’uso attuale: mista industriale, direzionale e servizi. Eventuali nuove progettualità che saranno presentate in futuro dai privati dovranno rispettare la legge regionale 14 del 6 giugno 2017 ossia la legge sul contenimento del consumo del suolo, che attribuiva a Casale un suolo consumabile (allora) pari a 84.700 metri quadrati.

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Terra delle mie brame: il caso Valpolicella http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/terra-delle-mie-brame-il-caso-valpolicella/ Sat, 27 Apr 2024 17:06:43 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16506 Discorrendo con Gabriele Fedrigo

di Laura Sestini, tratto da https://www.theblackcoffee.eu/terra-delle-mie-brame-il-caso-valpolicella/

Gabriele Fedrigo è originario di Negrar di Valpolicella, in provincia di Verona, ed oltre ad aver pubblicato altri interessanti volumi sui protagonisti della filosofia, e sui quesiti umani dell’età contemporanea, da qualche anno ha intrapreso un percorso di denuncia etico-filosofica, una resistenza percettiva – come lui stesso la descrive – sullo stravolgimento del territorio della sua amata Valpolicella.

Da poco in libreria, la sua ultima pubblicazione Terra delle mie brame: il caso Valpolicella – con la prefazione di Tomaso Montanari, storico dell’arte, nonché Rettore della Università per Stranieri di Siena – descrive, attraverso un registro di scrittura e lessico elevati ma allo stesso tempo chiari e non raramente ironicamente amari e diretti, cosa si compie da decenni nell’area geografica della Valpolicella attraverso il processo di mercificazione del territorio operato da attori capitalisti neoliberisti che, con la complicità (spesso ignorante o indifferente) delle amministrazioni comunali, invadono e si appropriano di parti di storia locale, ambienti naturali, paesaggio.

Montanari, nella sua breve ma intensa prefazione scrive: “Libri così potrebbero e dovrebbero essere scritti per il Chianti o per Firenze, per Venezia o per la costa del Salento. Cosa abbiamo fatto in una o due generazioni, al giardino del mondo?” Una frase che perfettamente sintetizza le puntuali argomentazioni che Fedrigo riporta sul suo saggio, che anche contiene prove documentarie o riferimenti ad esse, fotografie, e molte note a fondo pagina a completamento dei dettagli sul discorso principale.

Il fenomeno della mercificazione dei territori, da cui neanche i Parchi naturali sono esenti, come riportano le righe di Fedrigo, é un processo legato piuttosto alle economie ed alle politiche locali, ma anche nazionali, spesso cieche (o fingendosi tali) di fronte alle loro delibere di piani di ristrutturazione urbana e territoriale. Nel caso della Valpolicella il valore economico del territorio afferisce al mercato del vino, delle colture intensive a vigna, e di tutto l’indotto ludico-turistico.

In questi giorni alla Fiera di Verona si svolge la 56° edizione di Vinitaly, il quale slogan è “World wine bussiness since 1967” a cui non c’è da aggiungere altra spiegazione o traduzione, tanto esprime da sé il vero hard core del comparto. Molti grandi produttori blandiscono retoriche di sostenibilità e rispetto dell’ambiente per attirare nuovi acquirenti, ma spesso a conti fatti, ciò non è altro che fumo negli occhi per chi non vuol vedere o sapere. I vigneti industriali non potrebbero mantenere le quantità da produrre, da smerciare all over the world, se non usassero pesticidi in abbondanza, benché a norma di legge.

Terra delle mie brame: il caso Valpolicella è senz’altro una lunga riflessione sul destino, non solo di qualche territorio italiano specifico, ma del futuro di tutti noi; un volume che non può lasciare il lettore indifferente su quanto accade ai nostri ambienti naturali, paesaggi e borghi, sempre più stretti dentro logiche di falsa apparenza estetica, di sfruttamento dei territori e di profitto economico per pochi imprenditori, a discapito dei cittadini che in quei luoghi vivono e che pochi strumenti hanno per contrastare “l’autodistruzione avvertita come benessere“- come riporta Fedrigo dalla videoricerca Apocalypse Wine.

Un libro-saggio (sia inteso come tipologia, che come attributo) che ci è parso subito valevole di lettura, che offre spunti potenziali anche per riflettere sul proprio stile di vita.

Lei ha scritto più di un volume sul territorio della Valpolicella, sulle sue trasformazioni paesaggistiche, la sottrazione dell’ambiente naturale alle persone, la cementificazione, lo sfruttamento industriale. Quando ha percepito che qualcosa non andava? C’è stato un episodio preciso che le ha dato modo di “aprire gli occhi”?

Gabriele Fedrigo: – Con Terra delle mie brame: il caso Valpolicella (2024) sono al mio terzo lavoro su quanto è accaduto e sta tutt’ora accadendo in Valpolicella. Scrivere sul territorio in cui si è nati non è mai semplice, almeno non lo è per me. E non lo è appunto perché in quel territorio ci siamo nati. Nel bene e nel male, che lo voglia o no, da esso mi sono fatto nutrire e plasmare, non solo materialmente, ma anche culturalmente e spiritualmente. E se lo spirito è infetto dall’ideologia corrente, se i valori che esso propina sono malati (di una malattia che qui conoscono tutti e che in pochi riescono a riconoscere come tale), allora più che piangermi addosso per sentirmi parte di questo tutto malato che mi circonda, ho preferito cercare un modo per non morire anzitempo di questo morbo. La mia terapia è stata ed è la scritturaScrivere per dare testimonianza, per rompere la cortina di silenzio che circonda la sempre lodata operosità veneta, che qui, in Valpolicella, si è ingoiata e si sta ingoiando il paesaggio e i cervelli di quella gente incapace di uscire dall’ossessione del lavoro, del profitto, della produttività. Un territorio veicola sempre e in continuazione i valori che lo hanno fatto essere quello che esso è. Noi siamo imbevuti di quei valori. Mettere in discussione questi valori, giudicarli, disfarsene, non è una questione di giorni, ma di anni. E non sempre ci si riesce. Eppure sono proprio questi valori, materialmente veicolati dal territorio, che condizionano il nostro agire, il nostro stesso sentire, il nostro pensare. Quando ho “aperto gli occhi”?… Le voglio raccontare questo: i miei genitori erano contadini. Lo erano tutti in Valpolicella prima che arrivasse l’industria. Ma quando sono venuto al mondo, nel 1967, il loro esser contadini era già entrato profondamente in crisi per via dell’imporsi di valori legati al rampantismo del turbo capitalismo italiano in salsa veneta che anche qui in Valpolicella stava facendo piazza pulita del mondo valoriale contadino, e con quel mondo il territorio che ne era l’incarnazione. L’imperativo categorico era (ed è) il tristissimo far schèi, in barba a tutto e a tutti. Far schèi a tutti i costi! Anche a costo della propria salute fisica e mentale; anche a costo di arrivare allo scasso ambientale e paesaggistico e al baratro umano di un vivere insieme retto da meri scambi basati sul calcolo d’interesse in cui è piombato il Veneto dei capannoni, dell’agro-industria, dei PFAS, delle pedemontane, delle grandi navi in Laguna, di una pista da bob inutile per le prossime Olimpiadi probabilmente senza neve, che non sia quella sparata dai cannoni… Di questo Veneto del far schèi lo scrittore Vitaliano Trevisan è stato il più implacabile demistificatore. Non la prenda come una provocazione, per capire a cosa siamo arrivati dalle mie parti, Trevisan lo si dovrebbe far leggere a scuola come si fa con Dante e Manzoni. Allora per tornare al mio ricordo, quando frequentavo le scuole del mio paese (Negrar) e mi si chiedeva la professione dei miei genitori, mi vergognavo di dire che mio padre era contadino e mia madre casalinga. Da dove veniva quella vergogna? Da qualche parte sarà pur venuta… Eppure era quella vergogna di appartenenza al mondo contadino che proiettava in me il proprio film. E di questo film intitolato Far Schèi faceva parte anche la mia vergogna… Nessuno avvertiva nella propria testa l’incessante funzionamento dell’imperativo del far schèi tanto era assordante… Ha presente il film Matrix di Wachowksi? C’è una scena in cui Morpheus dice a Neo: E’ tutta la tua vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra nel mondo. Non sai bene di che si tratta, ma l’avverti, è un chiodo fisso nel cervello, da diventarci matto. Quando uno è in Matrix non sa neppure di esserci dentro… Far schèi in Valpolicella e in Veneto, questo Veneto alla deriva di se stesso e della sua storia, è il film che va per la maggiore nella testa della gente, anche in quella che dice di no, quella che pensa di essere fuori dal giro. Far affari… non importa di che cosa… Altro che rispetto per ambiente, paesaggio, bellezza. Basta guardarsi intorno per rendersene conto. Da ragazzino non avevo ancora la forza di capire la mia vergogna. La vivevo come l’aria che respiravo. Nel frattempo però vedevo sparire sotto una coltre di cemento i campi del paese (Negrar); vedevo l’assalto alle colline, un assalto violento e ingordo da parte di un’edilizia scriteriata; vedevo spuntare i capannoni industriali dove c’erano campi; vedevo nascere i nuovissimi campi di vigne su colline stravolte dalle ruspe… Questo vedere non mi lasciava inerte. Mi lavorava dentro. Mi faceva male. Dalla mia parte sentivo però di avere due fortissimi alleati: amore e sete di e per la bellezza. E’ stato questo amore che mi ha aperto gli occhi e che ancora oggi mi spinge a scrivere e a denunciare quanto di più mortifero per la salute e per la bellezza produce sul territorio e sul paesaggio l’attuale economia del vino, del cemento, del marmo, ecc… Perché, come per la malattia del far schèi, che qui però scambiano per salute, allo stesso modo, non riesco a vedere in ciò che si costruisce altro che distruzione, naturalmente a norma di legge. L’alleato più forte di questa distruzione si chiama appunto legge. In Terra delle mie brame mi ostino a vedere scasso dove altri vedono il contrario. Nel mio lavoro cito una frase che riassume benissimo quanto detto finora: “l’autodistruzione avvertita come benessere”. La battuta è tratta da Apocalypse Wine, un’importantissima video ricerca di denuncia realizzata nel 2022 dagli studenti dell’Istituto superiore Luciano Dal Cero di San Bonifacio (Verona), guidati dal professor Simone Gianesini, sul massacro dei boschi dovuto all’attività vitivinicola nella Valle d’Alpone. Lo ha visto?


Casa Prunea (Comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella), di proprietà privata ora in stato di grave abbandono
Foto: Archivio G. F. (tutti i diritti riservati)

Può spiegare cosa accade esattamente in Valpolicella, esteticamente e naturalisticamente?

G.F.:- In Terra delle mie brame ho cercato di analizzare lo stato in cui versa il paesaggio della Valpolicella focalizzando l’attenzione non sono solo sui danni provocati dal virus edilizio della negrarizzazione, ma sui danni sempre più gravi dovuti alla brama delle aziende vitivinicole, soprattutto le più potenti, che hanno stravolto con impattanti vigneti industriali il paesaggio rurale della Valpolicella. Tanto che i lembi di campi che si sottraggono a questa logica produttivistica ormai non si trovano quasi più. Brama che si è e si sta attualmente incarnando nella costruzione di alieni e alienanti fabbricati del vino, spacciati per cantine, che per dimensioni e per qualità dei progetti non hanno nulla da spartire con la storia della Valpolicella. La scintilla che ha acceso la mia scrittura è stata infatti la costruzione del nuovo impattante fabbricato del vino del gruppo vitivinicolo Masi Spa nel Comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella, battezzato dalla committenza Monteleone21. Questo ennesimo fabbricato, ma altri ne verranno, è la punta dell’iceberg di un modo di considerare il territorio della Valpolicella come mero supporto a una attività economica, qual è appunto quella del vino, basata fondamentalmente sul petrolio e sulla chimica (dai fitosanitari ai nitrati di azoto…), alla faccia di chi si vanta di essere sostenibile. Ma di quale sostenibilità stiamo parlando? E così man mano che la speculazione edilizia intaccava violentemente la trama storico-estetica della Valpolicella, di pari passo avanzava un’aggressiva industria del vino. Industria che, per come la vedo io, ha fatto morire la cultura contadina a tutto vantaggio di un modo di considerare la terra come mero strumento di massimizzazione del proprio profitto e di guadagno anziché come bene comune da rispettare, conservare e da destinare al futuro. E così, per non darla vinta alle forze che si sono incarnate nel territorio e che lo stanno conducendo verso il nulla, appoggiando la mia argomentazione sulle spalle del filosofo francese Michel Foucault, ho deciso di esplorare una possibilità di contro-canto e di contro-condotta: la resistenza percettiva. Che è tanto esercizio con cui dis-imparare a vedere ciò che vediamo come un va-da-sé che le cose stiano proprio così come sono, quanto atto di impegno civile perché questo modello di conduzione strumentale e tecnologica della terra trovi un ostacolo alla propria continuazione. Ciò che ho cercato di esplorare è la possibilità di percorrere una via altra, che faccia del nostro stesso corpo un corpo di resistenza agli scempi paesaggistici causati dalla speculazione edilizia, dall’industria del vino e dallo story-telling del marketing, che fa del vino un dio, dei produttori i suoi nuovi sacerdoti e dei fabbricati del vino le nuove chiese. La mia resistenza percettiva è soprattutto resistenza a ciò che noi stessi siamo diventati, cioè al nostro essere strumento di consumo per il profitto altrui e di autoalienazione di noi stessi…

Il caso Valpolicella si ripresenta similmente in altri luoghi d’Italia: tutti quelli dove si può mercificare il territorio?

G.F.: – La mercificazione del territorio è lo specchio della mercificazione della nostra esistenza. C’è qualcuno che se ne possa chiamare fuori? Ci sono forse territori in Italia che si siano salvati? Pensiamo, per fare l’esempio più eclatante, a quanto è avvenuto e sta avvenendo in Val D’Orcia e la sua trasformazione in villaggio turistico, così come denunciato nel giugno del 2023 da Alessandro Calvi. Il ristoro sorto in prossimità della cappellina di Vitaleta che cosa ci dice? Nel mio lavoro sostengo che il paesaggio che giudichiamo a sua volta ci giudica. E giudica proprio ciò che esso manifesta e mostra di noi: atomizzazione, parcellizzazione e zonizzazione di una esistenza succube di un sistema che considera la stessa esistenza merce di scambio: lavoro alienato in cambio di consumo, non importa di che cosa, anche di paesaggio. Non si tratta di un gioco di proiezione che parte da me, esce da me e si cristallizza in ciò che è fuori di me. Ma è ciò che è fuori di me, per come esso è, per come lo abbiamo miseramente ridotto, per le ferite che esso porta, che parla di me/di noi. Neppure i Parchi Nazionali si sottraggono a questo processo. E non per le ferite che essi portano materialmente (benché ce ne siano), ma per le ferite che essi sono chiamati a curare, cioè per il desiderio di fuga da contesti urbani e ibridi (come quello in cui si è ridotta la Valpolicella) che essi sono chiamati a soddisfare. Insomma, tanto più ci sentiamo fuori posto nel paesaggio in cui non ci riconosciamo più, quanto più forte è il desiderio di fuga da quello stesso posto anche se una fuga del tutto immaginaria. Un desiderio che però muore nelle camere della nevrosi se non si trasforma in presa di coscienza di voler rompere le catene che ci costringono a sentirci fuori posto, in perenne fuga da noi stessi, in perenne ricerca di un posto dove sentirsi in armonia con tutto ciò che ci circonda, uomini inclusi. Imparare a resistere percettivamente è appunto un rimettersi in cammino per fare di tutto ciò che il paesaggio rimanda di negativo in termine di attentato alla sua bellezza, un campo di esercizio dove forgiare uno sguardo altro: uno sguardo dissidente, che non fa più sconti al percepire gregario in cui siamo piombati, che non si concilia con ciò che lo circonda, uno sguardo da dis-adattati

Mercificazione del territorio significa anche “venderlo” al turismo mordi e fuggi. Ha mai riflettuto sul fregio de I Borghi più belli d’Italia? Se è vero che da un lato il turismo può migliorare l’economia di un piccolo Comune (in verità solo di chi ha attività commerciali, salvo tassa di soggiorno), altrettanto è reale che la vita dei residenti del borgo, per alcuni mesi all’anno e talvolta l’anno intero, viene stravolta nei suoi abituali ritmi, nei rumori diurni e notturni, nelle attività pratiche quotidiane, banalmente stare più a lungo in fila al panificio

La costruzione di Monteleone21 (Comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella) – Foto: Archivio G.F. (tutti i diritti riservati)

G.F.: – Lo sa che anche qui in Valpolicella c’è uno dei Borghi più belli d’Italia? E’ San Giorgio di Valpolicella. E’ nella lista dei ‘salvati’ (la chiamo così) dal 2016. Si trova nel Comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella. Lo stesso Comune dove è in costruzione Monteleone21 della Masi Spa….E vuole saperne un’altra? Nell’ultimo Consiglio Comunale del 29 marzo 2024 l’amministrazione uscente di Roberto Albino Zorzi (centro-destra in carica dal 2019) ha adottato un P.A.T. (Piano di Assetto del Territorio) che prevede, fra gli altri, un ulteriore consumo di suolo per 120.000 metri quadrati (ma non è detto che, a partita chiusa, non siano molti di più, come sa l’urbanistica è l’urbanistica…) e, a dimostrazione dell’amore di questa amministrazione per l’ambiente, una nuova pista ciclabile nella bellissima oasi di protezione faunistica di Ponton, lungo la riva dell’Adige. Vede a che cosa può servire l’etichetta “I Borghi più belli d’Italia”? L’amministrazione Zorzi vanta di avere in casa uno dei borghi più belli d’Italia. Ma nella realtà delle cose, a P.A.T. adottato, il borgo lungi dall’essere la carta d’identità di una politica locale del territorio volta a una reale tutela del suolo, del territorio, del paesaggio, da cui il borgo nasce storicamente e da cui è nutrito, ma diventa la bella foglia di fico da far mangiare a turisti (e non solo) che di quel contesto in cui il borgo è radicato forse nemmeno sanno l’esistenza, abituati come sono a una percezione che ha perso la capacità di relazionare il particolare al tutto e all’orizzonte… Con “I Borghi più belli d’Italia” funziona come per le belle etichette incollate sulle bottiglie di vino… Che cosa nascondono quelle etichette? Eppure sono così belle a vedersi… Ma che valore ha quella bellezza confezionata se dietro a essa si celano sbancamenti collinari, vigneti industriali, fitosanitari e via di questo passo? Siamo sicuri che l’etichetta “I Borghi più belli d’Italia” non faccia subire alla bellezza di cui i borghi si fanno messaggeri una distorsione semantica tanto da renderla una finzione e una menzogna a cielo aperto? Sì, perché se andiamo a indagare ciò che quella bellezza nasconde e produce come effetti collaterali o di come essa può essere strumentalizzata e sfruttata, scopriamo che essa non può essere altro che ipocrita. E così mi mette tristezza leggere lo storytelling riportato nel sito internet dell’Associazione “I Borghi più belli d’Italia”. Come triste è essere arrivati al punto di dover redigere una “Carta di Qualità” per far sì che un borgo possa essere ammesso alla lista dei ‘salvati’. Ma mi chiedo, serve un DOCG anche per il nostro patrimonio di arte, di storia, di cultura? Ed è ancora più triste farmi prendere dal bavero della retorica dell’eccellenza, della lentezza, di un tempo fuori dal tempo, dell’avvicendarsi delle stagioni, della genuinità e amenità varie, propinata dal sito dell’Associazione. Così come non sopporto farmi passare da turista che sono mio malgrado come un “azionista della Bellezza”. Ma stiamo scherzando? Come se i borghi più belli d’Italia fossero titoli da quotare in borsa o fossero per davvero delle oasi paradisiache esenti dalla profonda alienazione in cui continuamente viviamo. Un’alienazione che per chi ha la fortuna/sfortuna di abitare in uno di questi borghi più belli d’Italia non fa che esacerbare, messo/a/* com’è nella condizione di dover sopportare un turismo di massa sempre più volgare e onnivoro… Mi permetta di chiudere tornando al caso di San Giorgio di Valpolicella. Ci torno per amore di verità di una bellezza altra, non di quella frutto di aggressioni al territorio. Prima che il nostro borgo fosse iscritto alla lista dei ‘salvati’, la precedente amministrazione retta da Nereo Destri, di cui Roberto Albino Zorzi era assessore all’urbanistica, fece pavimentare la piazza di San Giorgio. E quella bella pavimentazione chi la pagò mai? Una società immobiliare! Siamo in Veneto o no? Nulla di illegale, ci mancherebbe! E un P.I.R.U.E.A. (Programma Integrato di Riqualificazione Urbanistica, Edilizia e Ambientale) è sempre un P.I.R.U.E.A… E fu così che un campo di vigne passò a area edificabile… Ora quel campo non esiste più. La variante, naturalmente, mica poteva essere gratuita! Ci ha pensato la pavimentazione a regolare tutto. E i turisti? Loro che ne sanno di varianti, di P.I.R.U.E.A. e di cementificazione del campo? Passeggiano sulla piazza ignari di tutto, godono della sua bellezza, bevono lo storytelling immersivo di trovarsi in uno dei borghi più belli d’Italia… C’è un bel libro che le consiglio per capire dove siamo arrivati con questa storia dei borghi più belli d’Italia. E’ un volume collettaneo pubblicato da Donzelli nel 2022. Il titolo dice già tutto: Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi.

Le amministrazioni comunali non sono sensibili alla protezione, con più accezioni del termine, dei propri territori?

La copertina del volume – Libreria Editrice Fiorentina (2024)

G.F.: – Troviamo in Italia un’amministrazione che non sia sensibile alla protezione del proprio territorio? Lo sono tutte! Lo sono a parole e anche sulla carta. Infatti le narrazioni raccontate dai PAT sono sempre quelle, da Nord a Sud Italia. Sempre la stessa nenia: sostenibilità, tutela, valorizzazione, ecc. Sembra quasi che i PAT e i Piani territoriali paesistici regionali siano uno il copia-incolla dell’altro. Dopo, non si sa perché, oppure lo sappiamo, lo sappiamo così bene che non ci facciamo più caso, tanto che sintomo di questo non farci più caso è smettere di andare a votare, ci troviamo a vivere in un paesaggio offeso e umiliato; un paesaggio la cui storia materiale parla il linguaggio del far schèi, dell’affarismo e di “un’urbanistica contrattata” che ha soggiogato l’agire politico a scapito degli interessi delle comunità.

E a livello regionale/statale? Quale modello di salvaguardia del paesaggio, della natura e del benessere dei cittadini, si dovrebbe attuare per invertire la tendenza?

G.F.: – L’unico modello di salvaguardia del paesaggio, della natura e del benessere dei cittadini si chiama decrescita dei consumidecrescita energetica, uscita dal sistema neoliberista attuale, smantellamento della logica di sfruttamento delle risorse a tutti i livelli, riduzione della nostra impronta ecologica. Il che vuol dire cambiare radicalmente il nostro stile di vita e di consumi. Non ci sono alternative. Impossibile pensare che ciò sia appannaggio di chi ci governa. Impossibile! Chi ci governa è piegato a una economia della crescita che ci sta portando dritti all’auto-distruzione. Per la cura del nostro paesaggio penso che in questo momento il passo più importante da compiere a livello nazionale sia l’approvazione urgente della legge di contrasto al consumo di suolo e l’approvazione altrettanto urgente di piani regionali di localizzazione per una transizione energetica sganciata però dall’attuale logica della crescita, pena la copertura dell’Italia di impianti fotovoltaici e di impianti eolici (e ancora non basterebbe). Dobbiamo scongiurare in nome di un’altraeconomia lo “sterminio dei campi” di cui parlava il poeta Andrea Zanzotto; sterminio che l’attuale PNRR sta ‘regalando’ agli italiani.

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https://www.youtube.com/watch?v=A0yq8OJ2Qp8 (dal minuto 30.44 si può visionare il rendering di Monteleone21).

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Venezia: Audizione al Parlamento europeo per fermare scavo Canale Petroli e del Montiron http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/venezia-audizione-al-parlamento-europeo-per-fermare-scavo-canale-petroli-e-del-montiron/ Thu, 18 Apr 2024 17:37:45 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16482 di Italia Nostra

Comunicato stampa dell’11 aprile 2024

Il 9 aprile le associazioni Italia Nostra, Lipu, WWF, Venezia Cambia, CAAL, Ecoistituto del Veneto Alex Langer, e ISDE Medici per l’Ambiente, rappresentate da Lidia Fersuoch, Consigliere nazionale di Italia Nostra e già presidente della sezione di Venezia, sono state audite dalla Parlamento Europeo sulla tutela della Laguna di Venezia dai possibili danni che verrebbero causati dallo scavo per allargare il Canale Petroli e il Canale Montiron.

Dopo aver ascoltato le ragioni della petizione “Tutela della Laguna di Venezia” la Commissione per le Petizioni del Parlamento europeo ha accettato la richiesta e adesso l’Europa manderà una lettera allo Stato italiano, alla Regione Veneto e al Comune di Venezia per chiedere il rispetto delle normative previste e possibili alternative al marginamento e lo scavo, in ottemperanza dei criteri minimi stabiliti dal Ministero dell’Ambiente per le ZPS caratterizzate da zone umide come la Laguna.

Lidia Fersuoch ricorda che esistono alternative: per il Montiron la soluzione proposta è quello di scavare un piccolo canale che colleghi quelli esistenti nell’area di Burano a quello di Tessera; per il Canale Petroli, esistono progetti di tutela delle sponde con materiali tradizionali volti a trasformare le onde in fattore di vivificazione, considerando comunque che gli approdi interni alla Laguna sono solo provvisori e, come sostiene l’Unesco e il decreto del 2021, il traffico di navi di grandi dimensioni, commerciali e croceristiche deve essere spostato fuori Laguna.

Italia Nostra – Associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della nazione

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L’ecocidio del lariceto di Ronco (Cortina) http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/02/lecocidio-del-lariceto-di-ronco-cortina/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/02/lecocidio-del-lariceto-di-ronco-cortina/#comments Mon, 26 Feb 2024 21:34:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16391 Distrutto uno scrigno che racchiude più tesori per costruire una pista da bob

di Luigi Casanova

Pubblicato da Mountain Wilderness Italia il 22.02.2024

Le Osservazioni di un forestale in merito al taglio del bosco in località Ronco a Cortina d’Ampezzo

Il lariceto di Ronco a Cortina d’Ampezzo rappresenta un capitale, uno scrigno che racchiude più tesori.
Il primo tesoro porta a valori naturalistici.

Si tratta di un lariceto monospecifico, in prevalenza coetaneo, forte di una vita lunga oltre 100 anni, ricco di circa 400 piante in larice e in quota caratterizzato da una diffusa rinnovazione naturale composta da abete rosso e qualche diffusa giovane betulla. Dal punto di vista naturalistico tutto l’insieme è una rarità, probabilmente un ambiente unico in tutto l’arco alpino meridionale. Infatti a sud delle Alpi non si trova un lariceto a quota tanto bassa (fra i 1200 e i 1300 metri s.l.m) un simile ecosistema. Un motivo più che sufficiente per portarlo alla sua assoluta conservazione.

Dal punto di vista storico e sociale tale lariceto è stato piantumato a ridosso della prima guerra mondiale (precedente alla guerra). Ha resistito ai bombardamenti di tale guerra, ha resistito al bisogno drammatico di legna pregiata degli abitanti di Cortina durante le due guerre mondiali.
E’ diventato un luogo di ricreazione e svago per ospiti e residenti in Cortina. Infatti, grazie alla sua magnificenza, alla sua esposizione a sud, ha ospitato ai suoi piedi un’area con campi di tennis, una serie di sentieri attrezzati con diffusi giochi per bambini, dei locali di ristoro, un arcopark sugli alberi molto frequentato. A seguito della decisione di costruire la nuova pista di bob l’area dei campi tennis è stata abbandonata dalla società che la gestiva da vent’anni. Come è stato abbandonato e tolto l’arcopark.

Dal punto di vista paesaggistico e della salute la perdita di un tale bene è irrecuperabile. Si tratta di piante monumentali, alte fino a 35 metri, colonnari. Piante che sono state un polmone di rigenerazione dell’aria in un contesto, quello di Cortina, travolto dal traffico privato: verso e dall’abitato, verso Dobbiaco e da Dobbiaco (BZ), verso e da passo Falzarego. Si pensi solo alla quantità di CO2 che l’insieme del bosco assorbe. Oltre all’assorbimento di NO2 e delle polveri sottili, le nanoparticelle diffuse anche dal riscaldamento a legna.
Tale patrimonio andava posto a tutela assoluta anche solo valutando questa sintesi di valori qui raccolta.

Manifestazione Ronco-Cortina _ ph Mountain Wilderness Italia

Invece, scelleratamente si è proceduto a un taglio sconsiderato per fare posto a una struttura sportiva, la pista di bob, skeleton, slittino, che offre un servizio a meno di 60 atleti nazionali.
Si è proceduto al taglio un un simile gioiello forestale in assenza di una Valutazione d’Impatto ambientale (violazione della direttiva europea nel merito e della legge nazionale del 2006). Non sono state valutate in modo pubblico alternative presenti sia in Italia (Cesana (TO), Innsbruck (AUT), Saint Moritz (CH), Germania e Francia.

Anche l’affido dei lavori ha seguito una procedura discutibile, anche dal punto di vista legale. Non si è proceduto a un appalto pubblico nonostante la quantità di legname: circa 500 larici che portano a una volumetria lorda di stimati 2500 metri cubi. Al netto si tratterà sicuramente di 1700 – 1800 metri cubi. Una gara pubblica avrebbe permesso un notevole risparmio nell’esecuzione dei lavori.

Non è stata presa in considerazione la chiarezza con la quale fino a oggi si è espresso il CIO (Comitato Internazionale olimpico): le gare olimpiche si disputeranno solo laddove gli impianti sono esistenti e funzionanti, adeguati agli standard olimpici.

Come ultime istanze, comunque non marginali si valuti:

Tale insieme naturale andava tutelato come bene storico, culturale e sociale dalla Soprintendenza ai beni storici e culturali del Veneto. Tale insieme naturale andava tutelato dai Corpo dei Carabinieri forestali. Sia dal punto di vista tecnico che legale.

L’assegno dei lavori doveva essere fatto solo in presenza di una martellata per singolo albero (cioè decisione su quali piante tagliare, come eseguire i lavori, misurazione di dettaglio pianta per pianta) dal Corpo dei Carabinieri forestali. L’aver proceduto con una stima (a spanne) non è solo indice di superficialità, ma di possibile illegalità di tutto il procedimento.

Luigi Casanova

Foto di Mountain Wilderness Italia

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http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/02/lecocidio-del-lariceto-di-ronco-cortina/feed/ 1
Il cemento al posto del bosco urbano dedicato ai nuovi nati http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/02/il-cemento-al-posto-del-bosco-urbano-dedicato-ai-nuovi-nati/ Tue, 06 Feb 2024 10:38:49 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16350 di Paolo Pileri

Articolo pubblicato su Altreconomia n 267 – febbraio 2024

A San Bonifacio (VR) si vuole cancellare una preziosa area verde con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Una scelta contro le generazioni future

Non c’è limite al peggio. Accade a San Bonifacio, provincia di Verona. Sullo sfondo i finanziamenti, più di un milione di euro, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), in prima fila ruspe e motoseghe che per conto del Comune distruggeranno l’unico boschetto urbano sopravvissuto all’ingordigia del cemento degli ultimi quarant’anni, formato da alberi che portano il nome dei cittadini nati dopo il 1992. Puntuale, un cartello del Comune ne cita la legge istitutiva, la 113/92, con tanto di esortazione: “La salvaguardia del verde è affidata alla sensibilità dei cittadini”. E così hanno fatto alcuni di loro, ora traditi dalla decisione di cementificare parte del boschetto “uccidendo” almeno 23 alberi.

Il primo cittadino di San Bonifacio sa che quel cartello vale anche e soprattutto per lui? Peraltro, la normativa obbliga (e non ipotizza) i Comuni a piantare un albero per ogni nuovo nato, mettendo a disposizione fondi ad hoc. Tagliando quelle piante non solo si disattende un obbligo ma (ipotizzo) si fa anche un danno erariale che sarà pure doppio poiché il Comune annuncia di volerne piantare di nuovi, senza però chiarire dove, quando e con quali risorse.

Ma quegli alberi e quel boschetto sono carichi di valore simbolico. Li visitano gli alunni delle scuole ogni anno. Non ce la si cava ripiantandone altri. Non è la stessa cosa, non c’è bisogno di spiegarlo. Per non dire dei danni al suolo e del suo consumo. Perché arrivare a tanto? Per non perdere un finanziamento? Per ingordigia? La finalità dichiarata è quella di dare una nuova sede a Croce Rossa e Protezione civile: una beffa senza pudore. Se ci sono due enti che dovrebbero avere una spiccata sensibilità ambientale e non sporcarsi con tutto ciò, sono proprio questi. Moltissimi studi scientifici documentano quanto il verde faccia bene alla salute.

Il 22 novembre 2023 la Regione Veneto ha invitato esperti a parlare proprio della buona relazione salute-verde urbano al convegno “Alberi e natura in città”. Lo sanno il sindaco e la Croce Rossa? Quest’ultima conosce l’approccio “OneHealth”? La Protezione civile ricorda le alluvioni di Marche, Romagna e Toscana? Conosce i rapporti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul dissesto idrogeologico e la deliberazione 17/2019/G della Corte dei conti, 31 ottobre 2019? Qui si afferma che danni e vittime crescono se si consuma suolo: aumentando l’impermeabilizzazione aumenta l’acqua in superficie e di conseguenza i danni.

Sono 23 gli alberi piantati per ogni nuovo nato nell’unico boschetto urbano di San Bonifacio (VR) che saranno tagliati per fare spazio a una sede per Protezione civile e Croce Rossa, ovvero di chi dovrebbe tutelare salute e ambiente

Non pare vero: tre soggetti pubblici preposti alla prevenzione, alla tutela ambientale e alla salute delle persone si intestano la cementificazione dell’unico boschetto urbano di San Bonifacio, pure dedicato ai nuovi nati. E per di più usando i fondi del Pnrr. Quelli che arrivano dal Green Deal europeo. Dove “green” sta per verde, e non per il colore delle camicie. “Deal” vuol dire patto: quello secondo il quale il responsabile di una comunità si dà da fare per difendere la natura, non per segarla. Inoltre, quelle risorse del Pnrr sono parte dei fondi europei del NextGenerationEu: soldi da dedicare alle prossime generazioni, che non vuol certo dire tagliare gli alberi intitolati a quelle che erano già trent’anni fa le future generazioni.

Ma si rende conto il sindaco? Non c’è una sola cosa buona in questa storia. È proprio vero che non sono i soldi a migliorarci, nè i finanziamenti ci fanno fare automaticamente cose sagge. È, e saranno solo e sempre, la buona cultura, la consapevolezza, la sapienza, la conoscenza, l’istruzione: tutti i vocaboli che la Treccani propone come il contrario di ignoranza.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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I dubbi sul progetto del Forte Santa Caterina http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/01/i-dubbi-sul-progetto-del-forte-santa-caterina/ Wed, 31 Jan 2024 18:00:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16342 di Alberto Ballestriero (VeronaPolis)

Il 23 gennaio scorso alla Capannina di Porto S. Pancrazio si è tenuta la prima e assai partecipata assemblea pubblica per presentare il progetto denominato “Rigenerazione urbana, recupero e valorizzazione dell’area di Forte Santa Caterina ed ex caserma sita in comune di Verona”. L’assessore Tommaso Ferrari ha spiegato gli obiettivi generali del progetto coadiuvato dal nutrito team di progettisti che ha predisposto il Masterplan. Il nuovo progetto del Forte S. Caterina cambia la destinazione di quest’area: non più i cosiddetti “Magazzini della Cultura”, un polo di notevoli dimensioni che avrebbe dovuto accogliere archivi e depositi museali di diverse istituzioni cittadine, peraltro assai fuori luogo in questo contesto.

Il nuovo progetto cambia le finalità e l’obiettivo diventa la cosiddetta “Rigenerazione urbana’ attraverso la valorizzazione delle aree verdi in sinergia con i volumi previsti per i nuovi spazi funzionali.  Vengono ipotizzate diverse attività: Polo dell’inclusione – housing sociale, Polo della Conoscenza, Polo dei mestieri, Polo del cibo a Km 0, Polo Forte S. Caterina. Qui dovrebbero trovare posto alloggi, aule studio, laboratori artigianali, un Ostello, mercato all’aperto, giardini. Il tutto comunque ancora con definizioni approssimative. Insomma, come ha rimarcato l’Assessore Ferrari nelle intenzioni dell’Amministrazione, emerge la ‘sfida’ per “indirizzare la progettazione della città verso modelli più sostenibili, che non tengano conto solo della rendita finanziaria.”

Nonostante il dichiarato desiderio di iniziare una nuova fase meritoria tuttavia rimangono diversi dubbi sul metodo di progettazione adottato e sugli obiettivi da raggiungere.

Un progetto urbanistico parte solitamente da una fase di analisi del contesto, dalla comprensione delle esigenze della comunità per arrivare alla valutazione delle risorse disponibili per realizzarlo.

Ebbene in questa vicenda, al contrario, il progetto originario dei Magazzini della cultura è partito dall’urgenza di incamerare i fondi del PNRR creando dal nulla un progetto per tale scopo.  Ma anche nell’attuale progetto di Rigenerazione Urbana, nonostante i mutati obiettivi e la sensibile diminuzione dei volumi edificati, non vi è traccia di quelle che sono le istanze prioritarie delle comunità limitrofe all’area: in primis Borgo Roma e Porto S. Pancrazio-Pestrino che, per ammissione dei proponenti, non sono adeguatamente collegate al contesto che si vuole realizzareBene i percorsi ciclabili che si stanno rafforzando e che formeranno un’ottima rete di collegamenti, ma che comunque saranno insufficienti per risolvere il tema delle connessioni in un’area così strutturata. Infatti, una grande incognita rimangono quei 20 alloggi per housing sociale previsti per non meglio specificate persone fragili. Sappiamo che la zona è estremamente isolata e priva dei servizi basilari per la vita quotidiana (bus, taxi, negozi, farmacie…) e ci si chiede come potranno vivere qui persone con fragilità. Come si sposteranno, come potranno ricevere quell’assistenza umana costante e di servizi che solo una comunità urbana consolidata può offrire?

Un altro tema critico è costituito dalle difficoltà di gestione future, peraltro sottolineate più volte anche dallo stesso assessore, di un’area urbanizzata ex novo in modo così complesso che richiederà l’impiego di notevoli risorse finanziarie e organizzative, che al momento non è dato conoscere. Si tenga presente che già ora un’area limitrofa a questa, di proprietà comunale come il Giarol Grande, è stata abbandonata per diversi anni per le difficoltà di gestione.

Infine non è un caso che dubbi simili a quelli sollevati più sopra vengano espressi anche nell’articolo di Federica Guerra ‘Santa revisione’, apparso nell’ultimo numero della rivista Architettiverona (A135 pag. 105), il più importante organo di analisi sui temi urbanistici veronesi. Dice la Guerra: “Ci sembra manchi, insomma, una visione complessiva della parte di città che faccia rientrare quest’area in un “sistema” di spazi che ne promuovano una vera rigenerazione, dettata da un suo nuovo ruolo urbano.”

Al Forte Santa Caterina il rischio è quindi quello di creare un nuovo polo urbano autoreferenziale generato non da reali esigenze espresse dalla città ma dal prioritario obiettivo di attingere ai fondi pubblici.

Alberto Ballestriero

Coordinatore gruppo verde VeronaPolis

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