Dissesto idrogeologico – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Thu, 25 May 2023 11:54:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.6 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg Dissesto idrogeologico – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Che cosa ci dice la Giornata della biodiversità nel pieno della tragica alluvione della Romagna http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/05/che-cosa-ci-dice-la-giornata-della-biodiversita-nel-pieno-della-tragica-alluvione-della-romagna/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/05/che-cosa-ci-dice-la-giornata-della-biodiversita-nel-pieno-della-tragica-alluvione-della-romagna/#comments Tue, 23 May 2023 12:23:15 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15959 di Paolo Pileri.

Pubblicato originariamente su Altreconomia.

Quest’anno la Giornata mondiale della biodiversità cade nel bel mezzo della tragica alluvione della Romagna. Sarà curioso vedere se e come la ricorderanno i politici che abbiamo sentito sperticarsi sulla festa della mamma e su quella degli alpini.

Pensate: la biodiversità è al tempo stesso il complesso di risorse più vitale per il Pianeta e anche il più minacciato e degradato. E molto ha a che fare con l’uso del suolo, visto che il 30% della biodiversità sta nei primi centimetri di terra non asfaltata. Vedremo se e quali connessioni faranno con i fatti terribili delle alluvioni della Romagna. Ricordiamo che da decenni le nazioni europee si sono impegnate non solo a fermare il degrado della biodiversità ma addirittura a incrementarla. E anche l’Italia ha firmato la Strategia europea per la biodiversità. L’ha inserita addirittura in Costituzione (all’articolo 9).

Però non posso rinunciare a domandarmi che cosa sappiano sulla biodiversità. Chi ha incarichi di governo del territorio, a qualsiasi livello, che cosa sa di biodiversità? Perdonatemi se indosso i panni del professore antipatico e saputello ma siccome sono convinto che ognuno di noi difende quel che conosce, capite bene che non sapere nulla o poco di biodiversità e sedere nella “stanza dei bottoni” è una combinazione ad altissimo rischio. Quindi sapere di biodiversità è un punto chiave della questione. Davanti alle sfide ecologiche e climatiche mi chiedo e chiedo da anni se abbiamo un programma di formazione alla biodiversità per i decisori politici, o se invece continuiamo a cavarcela con sporadici micro-seminari per le scuole elementari e medie, lasciando alle povere future generazioni il compito di cambiare il mondo, mentre le attuali glielo stanno distruggendo.

È dura dirselo ma non andiamo molto lontano se continuiamo ad avere davanti a noi sfide ecologiche che affidiamo a decisori che di ecologia non solo non sanno nulla o poco, ma non neppur sono chiamati a imparare qualcosa pur decidendo tutto. E ultimamente sono pure tornati a prendersela con gli ambientalisti apostrofandoli ancora come “quelli del no” (basta: aggiornatevi). La contraddizione bruciante tra che cosa è la biodiversità e che cosa ne sanno i decisori annulla quasi tutte le migliori intenzioni o, se siamo fortunati, le confina entro recinti strettissimi di qualche parco dove i decisori inscenano inaugurazioni e finti discorsi ecologici per poi uscire da quei parchi e difendere strenuamente il “liberi tutti” e chiudere gli occhi davanti al consumo di suolo, all’agricoltura intensiva, alla deforestazione di pianura, all’inquinamento delle acque e tutto quel che porta voti e consensi.

Anche le poche buone cose che si sono fatte ultimamente diventano inguardabili se allarghiamo lo sguardo. Ad esempio, se mettiamo fianco a fianco i quattro milioni e mezzo di alberi che l’Emilia-Romagna vuole piantare nei prossimi anni, con le faraoniche opere stradali degli ultimi mesi, ci si attorciglia lo stomaco. In quella martoriata Regione sono iniziati i lavori per la costruzione della quarta corsia della A14 a Bologna, la diramazione autostradale a Ravenna (120 ettari di cementificazione assieme a migliaia di alberi abbattuti che non verranno ripristinati), la costruzione della terza corsia Bologna-Ferrara (93 ettari di nuovo asfalto con altre migliaia di alberi tagliati), il passante della città di Bologna (20 ettari). Tutto questo si aggiunge alla già costruita quarta corsia sulla Bologna-Modena (50 ettari), alla previsione di un’autostrada cispadana Parma-Ferrara e ad altre superstrade emiliano-romagnole. È chiara la contraddizione o devo aggiungere altro?

Si tratta di consumi di suolo dolorosissimi in una Regione che sta contando i morti e i danni che qualcuno ha avuto la bella idea di attribuire alle nutrie o che ha immaginato comodamente di attribuire a un clima cattivo e imprevedibile che se l’è presa con una Regione bella e virtuosa. Ma quelle strade, secondo voi, attenueranno i cambiamenti climatici? Miglioreranno l’idea popolare di sostenibilità? Aumenteranno la capacità di resistenza dei nostri territori? Si riducono i futuri danni alluvionali alle persone, alle aziende agricole e alle imprese se il territorio continua a essere ferito a morte?

Ma non è politicamente corretto citare solo la lista emiliano-romagnola di opere spacca-biodiversità. Ecco allora la recente e tronfia proposta ligure di urbanizzare nelle aree alluvionali (non solo inguardabile, ma pure fatta nel momento più sbagliato. Chissà se la politica romagnola che ha i piedi nell’acqua tirerà fuori la voce per dire alla Liguria di rimangiarsi questa decisione); gli inutili 30 chilometri della superstrada Eboli-Agropoli nella piana cilentana a due passi dalla meraviglia di Paestum (due miliardi che sfasceranno un paesaggio già altamente compromesso ma ancora bellissimo); il nuovo casello autostradale Pesaro-Sud che ha distrutto ettari ed ettari di aree agricole e naturali per strizzare l’occhiolino a chissà quale logistica che aumenterà ulteriormente il consumo di suolo; l’ampliamento dell’aeroporto di Malpensa di 44 ettari in pieno parco del Ticino (possiamo parlare di tutela della biodiversità?); la cementificazione logistica di Pernate (NO); le centinaia di chilometri di gallerie per alta velocità ferroviaria che si vogliono realizzare con il Pnrr tra Salerno e Reggio Calabria (non so neppure dove metteranno la terra che estrarranno) o l’assurdo consumo di suolo della futura linea AV che passerà in Irpinia sfasciandola completamente; i criteri scriteriati della pannelizzazione solare a terra che mangeranno decine di migliaia di ettari di suoli agricoli, quando abbiamo sconfinati tetti di capannoni a disposizione e immense aree a parcheggio da coprire, etc..

Ora, capite bene che questo elenco, che interrompo qui per decenza e che è l’eredità di un pensiero politico-culturale unico che ci ha governato e ci governa da decenni, non si chiama solo consumo di suolo ma anche distruzione di biodiversità e peggioramento climatico ed è quindi la messa in onda di una galattica contraddizione. Un esempio plastico di quanto le politiche siano sconnesse da quella che è l’urgenza di rispettare l’ambiente. Quella roba è solo omicidio di biodiversità. E forse nessun politico dirà qualcosa nella Giornata della biodiversità perché effettivamente è dura metterci la faccia con quella lista in tasca, dove non è riconoscibile alcun cambiamento di cultura politica. Nulla che ci dica che stiamo facendo cose diverse da quelle fatte fino a ieri per il clima e la natura che, poi, vuol dire anche per noi e il futuro.

Possiamo, allora, fidarci di chi decide con quella lista in mano? Certamente non è facile mettere la natura a capo delle nostre agende politiche e culturali. Nessuno sta dicendo che sia facile. Ma è necessario. Urgentemente necessario. E, come dice la Strategia europea per la biodiversità, occorrono necessari cambiamenti radicali e questi, a mio avviso, non possono partire da menti che non sanno e non capiscono che cosa è la biodiversità, che non abbracciano il pensiero ecologico profondo come forma mentis, come discorso politico.

Nei giorni scorsi ho avuto l’onore di presentare “L’intelligenza del suolo” alla biblioteca Erica di Capaccio Scalo (SA): ho incontrato persone meravigliose che lottano contro decisioni inconciliabili con il futuro. Persone che piangono i figli che scappano da quelle terre nonostante trasudino di storia e bellezza da ogni poro, terre dove la grecità ha dato origine a pezzi di filosofia fondamentali. Ebbene, quella biblioteca ci ha regalato quattro parole che disegnano l’unico programma possibile per il futuro: “capire”, “partecipare”, “cambiare”, “crescere”. Come a dirci che gli spazi per cambiare ci sono ma hanno proprio bisogno di investire in conoscenza (e le cose di scienza vanno studiate a fondo, soprattutto da chi decide) e in partecipazione altrimenti cambiamento e crescita culturali non arriveranno. Dobbiamo urgentemente formare donne e uomini che sappiano dare voce alla biodiversità nei ruoli che ognuno ricopre, non solo quelli politici; donne e uomini che sappiano spiegare che il rispetto dell’ambiente salva tutto e tutti e realizza pure nuova occupazione, inclusione sociale e benessere. L’attuale cultura politica, men che meno questo governo, fatica a fare questo, allora facciamolo dal basso: prepariamoci qui e ora per farci trovare pronti. Mettiamoci sulle spalle quelle parole: capire, partecipare, cambiare e crescere.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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La frana di Ischia e le lacrime di tanti coccodrilli… http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/11/la-frana-di-ischia-e-le-lacrime-di-tanti-coccodrilli/ Mon, 28 Nov 2022 06:46:31 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15651 A rischio il completamento della Carta Geologica d’Italia. É il grido d’allarme lanciato dall’ISPRA in occasione dell’incontro “La memoria del territorio a garanzia del futuro: il Progetto CARG” che si è svolto il 14 novembre 2022 a Roma, per evidenziare la necessità di attivare nella legge di bilancio dello Stato un capitolo di spesa dedicato al Progetto CARG e consentire il completamento della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000 che, a conclusione dei fogli avviati nell’ultimo triennio, arriverebbe solo al 55% della copertura del territorio nazionale.

Un’esigenza che non può essere procrastinata, in considerazione della vulnerabilità del nostro territorio, costretto di continuo ad affrontare eventi estremi derivanti dal dissesto idrogeologico e dal cambiamento climatico.

Il Direttore Generale dell’ISPRA, Maria Siclari nell’occasione aveva sottolineato come la conoscenza del territorio e del suo sottosuolo rappresenti un passaggio fondamentale per la prevenzione di disastri, oltreché per l’individuazione delle risorse idriche, energetiche e minerarie e la gestione dei territori: “Dobbiamo consolidare uno strumento fondamentale di conoscenza, qual è il Progetto CARG, che potrà contribuire alla prevenzione di eventi catastrofici e consentire di allineare l’Italia agli altri Paesi Europei che hanno già da tempo completato la copertura geologica del loro territorio e avviato la fase di ulteriore aggiornamento”.

Avviato alla fine degli anni Ottanta, il Progetto CARG prevede la realizzazione di 636 fogli geologici e geotematici alla scala 1:50.000 sull’intero territorio nazionale. Finanziato con una certa regolarità fino al 2000, per poi subire una battuta di arresto per assenza di finanziamenti, ha potuto riprendere la sua attività grazie alle risorse economiche stanziate nelle tre ultime leggi di bilancio.

In questi anni lo studio, le sperimentazioni, il confronto tra i vari esperti, la crescita culturale dal punto di vista della conoscenza geologica del nostro territorio, hanno reso la cartografia del progetto CARG indispensabile al raggiungimento degli obiettivi finalizzati ad uno sviluppo sostenibile, temi al centro dell’agenda della COP27. Quella a rischio, quindi, non è una semplice carta colorata, ma una sofisticata importante infrastruttura di ricerca strategica per la Nazione, che oggi rappresenta lo strumento più completo per leggere il passato e il presente del nostro territorio.

Un vero e proprio heritage culturale e scientifico, strumento fondamentale di conoscenza per il nostro Paese, cittadini e amministratori del territorio, che rischia – con l’esaurimento delle risorse stanziate nel 2022 – di decretare il suo stop.

Il 26 novembre, cioè 12 giorni dopo questo grido di allarme, ISPRA ha così commentato la frana di Ischia: «Un forte nubifragio ha colpito nella notte l’isola di Ischia causando allagamenti, le piogge cadute in maniera violenta all’alba hanno causato una frana nella zona del Celario.

Secondo i dati del Rapporto ISPRA sul dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio – Edizione 2021, complessivamente il 93,9% dei comuni italiani (7.423) è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera. 1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane e 6,8 milioni di abitanti a rischio alluvioni. Le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia, e Liguria. Le famiglie a rischio sono quasi 548.000 per frane e oltre 2,9 milioni per alluvioni. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 565.000 (3,9%), quelli ubicati in aree inondabili nello scenario medio sono oltre 1,5 milioni (10,7%)».

Ogni commento ci pare superfluo, così come preferiremmo evitare di ascoltare le tante (troppe…) frasi commosse pronunciate a gran voce dinanzi alle telecamere accese: è ora di accantonare le parole vacue e di avere il coraggio di investire in prevenzione e manutenzione del territorio e di arrivare all’approvazione di una seria legge per l’arresto del consumo di suolo…

Concludiamo con le parole del prof. Paolo Pileri che su Altreconomia così ci ricorda che la difesa del suolo deve essere in cima all’agenda. “Ma così non è –commenta amaramente Pileri – come dimostrano le scarse risorse previste nel Pnrr“…

(Immagine e dichiarazioni tratte dal sito web di ISPRA).

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I conti purtroppo tornano sempre e a pagare sono i cittadini http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/09/i-conti-purtroppo-tornano-sempre-e-a-pagare-sono-i-cittadini/ Sat, 17 Sep 2022 17:45:36 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15551 Le Associazioni ambientaliste marchigiane esprimono in primo luogo la propria forte vicinanza a tutti coloro che hanno avuto vittime tra i propri cari ed hanno subito danni, anche materiali, dall’ultimo estremo fenomeno climatico che ha colpito le Marche.

Da anni si è denunciato il rischio che la produzione di C02 derivante dalle attività umane potesse provocare un innalzamento della temperatura e con esso l’avvio di una stagione di cambiamenti climatici. Da anni si è chiesto da parte di ambienti scientifici, cittadini, associazioni, che venisse posto un freno alle cause scatenanti il cambiamento climatico ed ai fattori climalteranti, così come alle azioni che potessero aggravare le conseguenze dei nuovi e sempre più frequenti ed intensi fenomeni climatici quali il consumo di suolo, il dissesto idrogeologico etc.

L’affrontare i cambiamenti del clima richiede un impegno internazionale, vedi gli accordi di Kioto e successivi che, però, si sostanziano in tante azioni coerenti a livello locale, nel Paese, nelle nostre Regioni, Provincie e Comuni. Possiamo dire che tale impegno è riconoscibile anche nelle scelte degli amministratori del nostro territorio?

Ad esempio è corretto non porsi il problema di limitare l’inquinamento da C02 nelle nostre città e nei nostri porti nonostante la pubblicazione di rapporti scientifici che dimostrano l’incidenza di decessi (+110 l’anno nel centro di Ancona)? E’ corretto progettare e realizzare la distruzione dei boschi (che riducono la C02) sulle nostre montagne per l’interesse economico di pochi (Monte Catria, Sarnano, Montefortino)? E’ corretto realizzare nuovi parcheggi nelle nostre città e non potenziare l’uso del mezzo pubblico? E’ corretto continuare a cementificare il territorio ignorando la proposta di legge regionale di iniziativa popolare firmata da oltre 8.000 cittadini marchigiani per una nuova norma per il consumo zero di territorio? È ammissibile non dare piena e rapida attuazione ai piani di bacino, realizzando prioritariamente i bacini di laminazione per mitigare gli effetti delle piogge torrenziali che subiranno ancora i nostri fragili territori fluviali?

Le cause puntuali che hanno determinato questa tragedia dovranno essere analizzate con attenzione e il territorio dovrà essere monitorato e manutenuto in modo sistematico, area per area, corso d’acqua per corso d’acqua, con il concorso dei proprietari dei terreni attraverso lo strumento del contratto di fiume, per restituire ai suoli la capacità di assorbire al meglio gli eventi sempre più estremi, invertendo la tendenza ad effettuare interventi puntuali ed invasivi come è stato fatto fino ad ora rincorrendo le emergenze.

La politica anche in questi giorni dimostra ad ogni livello di non essere sensibile a questi problemi salvo piangere lacrime di coccodrillo dopo. Nei programmi elettorali dei principali contendenti non vi è quasi nulla sul cambiamento climatico, se non generiche promesse. Paghiamo anni di fonti fossili, compreso il gas. Poi c’è qualche spiritoso che accusa gli ambientalisti di ritardare il progresso quando le responsabilità sono a carico di chi amministra e chiude gli occhi!

Purtroppo, alla fine, tali errori della politica presentano il conto sotto forma dei disastri ambientali e sono i cittadini, solo i cittadini, sempre i cittadini che pagano due volte, prima per i danni che subiscono e poi per le spese della ricostruzione.

L’ALLEANZA DELLE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE MARCHIGIANE: CAI, ENPA, FEDERAZIONE PRO NATURA, GRIG, ITALIA NOSTRA, LAC, LAV, LUPUS IN FABULA, SALVIAMO IL PAESAGGIO, WWF.

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Emergenza siccità: sette interventi chiave su cui lavorare subito http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/emergenza-siccita-sette-interventi-chiave-su-cui-lavorare-subito/ Sat, 30 Jul 2022 13:29:26 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15504 L’appello di CIPRA Italia, CIRF, Club Alpino Italiano,Federazione Nazionale Pro Natura, Free Rivers Italia, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness e WWF Italia.

“La crisi climatica e la siccità non guardano in faccia a nessuno, neanche alla crisi politica. Servono interventi che vadano oltre l’emergenza mettendo in campo una politica idrica che favorisca l’adattamento ai cambiamenti climatici. No a nuovi invasi estemporanei”

La grave crisi idrica in corso è senza dubbio da inquadrare nella epocale crisi climatica ed ecologica in atto e come tale va approcciata in modo strutturale, affrontando le cause e non correndo dietro ai sintomi: bisogna dunque evitare risposte emergenziali e analizzare il problema con freddezza per individuare le soluzioni”.
Questo l’appello che le associazioni, CIPRA Italia, CIRF, Club Alpino Italiano – CAI, Federazione Nazionale Pro Natura, Free Rivers Italia, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness e WWF Italia lanciano ricordando che la crisi climatica e la siccità non guardano in faccia a nessuno, neanche alla crisi del governo. Serve un’azione politica che vada oltre l’emergenza con la messa in atto di efficaci “piani ordinari”. Per questo le associazioni rilanciano oggi quelle che per loro sono sette interventi chiave su cui è fondamentale lavorare per andare oltre l’emergenza e su cui il prossimo nuovo Esecutivo dovrà subito confrontarsi.

La prima azione necessaria è ricostituire una regia unica, da parte delle Autorità di bacino distrettuale, attualmente marginalizzate, per costruire protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che permettano di conoscere il sistema delle disponibilità, dei consumi reali, della domanda potenziale e definire degli aggiornati bilanci idrici. Nuovi invasi non sono la risposta. Nessuna opposizione “ideologica”, ma sono una soluzione che ha molte controindicazioni per cui è semplicemente scriteriato affidarsi esclusivamente ad essi. Occorre mettere in campo una strategia nazionale integrata e a livello di bacini idrografici, allargando e ampliando il ventaglio delle soluzioni tecniche praticabili attraverso la realizzazione di nuove e moderne pratiche e misure per ridurre la domanda di acqua ed evitarne gli sprechi. Con esse si comprende il risparmio negli usi civili attraverso la riduzione delle perdite e dei consumi, ma soprattutto negli usi agricoli dove è necessario rivedere drasticamente gli interventi del Piano Strategico della PAC per renderli capaci di orientare le scelte degli agricoltori verso colture e sistemi agroalimentari meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti.

“I cambiamenti climatici- dichiarano le associazioni -ci impongono poi di rivedere le strategie sul fronte dell’offerta andando oltre una visione novecentesca e meccanicistica del Capitale Naturale per arrivare a riconoscere l’importanza e l’utilità della funzionalità degli ecosistemi a partire da una maggiore attenzione alle falde. Infatti, il luogo migliore dove stoccare l’acqua è la falda, ogni qual volta ce n’è una. Tuttavia, l’ostacolo principale all’infiltrazione delle piogge nel suolo è dato da quel poderoso e capillare insieme di interventi umani messi in atto da secoli, esasperati nei decenni scorsi e tuttora imperanti anche culturalmente, tanto da essere considerati simboli di civiltà e progresso. Per questo è fondamentale ripristinare tutte quelle pratiche che permettano di trattenere il più possibile l’acqua sul territorio e favorire azioni di ripristino della funzionalità ecologica del territorio e ripristino dei servizi ecosistemici. Al contempo occorre promuovere il riuso in ambito irriguo delle acque reflue”.

Non servono quindi Piani straordinari concepiti sull’onda emotiva dell’emergenza: le procedure straordinarie devono essere limitate alle decisioni per affrontare l’emergenza (dare priorità agli usi civili indispensabili e alla tutela ambientale, quali colture salvare, fino a che punto e con che criteri indennizzare chi subisce danni dalla siccità), ma assolutamente non sono lo strumento per prendere decisioni riguardanti le politiche infrastrutturali e di lungo periodo; abbiamo bisogno di una pianificazione “ordinaria” che favorisca l’adattamento ai cambiamenti climatici.

È necessario prevedere dotazioni finanziarie adeguate e schemi virtuosi di attivazione di risorse private per l’attuazione delle misure previste dalla Pianificazione ordinaria, che ancora fatica a trovare attuazione.

Di seguito le azioni chiave per una politica idrica che favorisca l’adattamento ai cambiamenti climatici:

  1. che il MiTE, di concerto con il MIPAAF e con il supporto di ISPRA, ISTAT, IRSA-CNR e le altre istituzioni tecnico scientifiche in grado di contribuire, ­­istituisca protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che permettano di conoscere e rendere disponibile ai cittadini stime affidabili delle disponibilità di risorse idriche, dei consumi reali e della domanda potenziale
  2. di definire e adottare per ogni bacino dei protocolli di gestione delle siccità, in modo da superare definitivamente l’attuale approccio emergenziale
  3. di individuare, sentita ARERA e le associazioni degli enti d’Ambito e dei gestori dei SII, gli eventuali ostacoli e i meccanismi di reperimento delle risorse finanziarie che permettano di accelerare il percorso volto a portare le perdite delle reti civili al di sotto del 25% (per le perdite percentuali) e entro i 15 mc/km/gg (per le perdite specifiche lineari) e di introdurre un nuovo criterio in aggiunta ai 6 definiti dalla “Regolazione della Qualità Tecnica del Servizio Idrico Integrato”, che premi i gestori che massimizzano il riuso delle acque depurate.
  4. di definire, di concerto con l’ANCI, una strategia che promuova la riduzione dei consumi idrici domestici e il ricorso ad acque non potabili (acque di pioggia accumulate o acque grigie depurate) per gli usi compatibili (risciacquo dei WC, lavatrice, lavaggi esterni) in modo da portare il valore medio dei consumi civili di acqua potabile a non oltre i 150 litri abitante giorno;
  5. che il MIPAAF, di concerto con il MiTE, definisca una strategia di trasformazione del nostro sistema agroalimentare, sviluppando adeguate misure all’interno del Piano Strategico Nazionale della PAC post 2022, in corso di definizione, destinando ad esse una quota rilevante dei finanziamenti, fortemente orientati a
    a. favorire la diffusione di colture e sistemi agroalimentari meno idroesigenti
    b. promuovere la diffusione di misure mirate all’incremento della funzionalità ecologica dei suoli agrari e della loro capacità di trattenere l’acqua
    c. contenere i consumi irrigui entro la soglia dei 2500 metri cubi ettaro anno;
  6. Al fine di ripristinare le falde:
    a. di destinare almeno 2 miliardi di euro l’anno per un periodo di 10 anni ad interventi di riqualificazione morfologica ed ecologica dei corsi d’acqua e del reticolo idraulico minuto e di ricarica della falda previsti dai PdG e dai PTA;
    b. di recepire le misure previste dalle strategie per la “Biodiversità 2030” e “From farm to fork” nell’ambito del New Green Deal dell’UE e riprese dalla recente proposta normativa “il Pacchetto Natura” presentata lo scorso 22 giugno dalla Commissione Europea.
  7. Di avviare una diffusa azione di ripristino ambientale, con particolar attenzione alla rinaturazione fluviale in coerenza con gli impegni della Strategia Europea per la Biodiversità.

Approfondimenti qui.

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28 luglio 2022: è l’Overshoot Day, il giorno del sovrasfruttamento della Terra http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/28-luglio-2022-e-lovershoot-day-il-giorno-del-sovrasfruttamento-della-terra/ Thu, 28 Jul 2022 07:23:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15498 In base ai National Footprint & Biocapacity Accounts (NFA) calcolati dal Global Footprint Network, l’Earth Overshoot Day di quest’anno, ovvero il Giorno del Sovrasfruttamento della Terra, cade il 28 luglio.
La giornata ci ricorda che il perdurare del sovrasfruttamento delle risorse terrestri da ormai oltre mezzo secolo, ha portato ad un enorme declino della biodiversità, a un eccesso di gas serra nell’atmosfera e a una maggiore competizione per l’energia e le risorse alimentari. Sia le cause che i sintomi di questo sovrasfruttamento stanno diventando sempre più evidenti con ondate di calore insolite, incendi boschivi, siccità ed inondazioni.

Le conseguenze delle pressioni economiche sono già visibili. La ricerca del Global Footprint Network mostra infatti che più di 3 miliardi di persone vivono ad oggi in Paesi che producono meno cibo di quanto ne consumano e generano meno reddito della media mondiale. Ciò significa che questi paesi hanno una capacità alimentare inadeguata ed un enorme svantaggio nell’accesso al cibo sui mercati globali. Allargando il discorso a tutte le risorse, non solo quelle alimentari, il numero di persone esposte a questa doppia sfida – economica ed ambientale – sale a ben 5,8 miliardi di persone.

Per rigenerare tutte le risorse ed i servizi ecosistemici che l’umanità attualmente richiede al pianeta sarebbe necessaria la biocapacità di 1,75 Terre.

Il 60% dell’Impronta Ecologica mondiale è costituito dalle emissioni di anidride carbonica. Per evitare un cambiamento climatico inarrestabile, è necessario azzerarle entro il 2050, senza aumentare le altre componenti dell’Impronta.

3 miliardi di persone vivono in Paesi che producono meno cibo di quanto ne consumano e generano meno reddito della media mondiale.

Il cibo da solo occupa oggi il 55%, cioè più della metà, della biocapacità della Terra.

5,8 miliardi di persone, ovvero il 72% della popolazione mondiale, vive in un Paese che ha un deficit di biocapacità e che produce meno reddito della media mondiale.

Quest’anno, ben 156 giorni separano l’Earth Overshoot Day – ovvero il Giorno del Sovrasfruttamento della Terra – dalla fine dell’anno.

Il perdurare da 50 anni di questa situazione di sovrasfruttamento delle risorse naturali significa che i deficit annuali si sono accumulati in un debito ecologico pari a 19 anni di rigenerazione del pianeta. Il risultato è un degrado diffuso degli ecosistemi e l’accumulo di gas serra in atmosfera.

Ritardando l’Earth Overshoot Day di 6 giorni ogni anno, l’umanità riuscirà a rientrare al di sotto dei limiti di un pianeta prima del 2050. Per seguire il percorso ideale, definito dello scenario IPCC 1,5°C, dovremmo spostare la data di 10 giorni all’anno.

Esistono molte possibilità, economicamente valide, per invertire l’Overshoot. Queste iniziative hanno anche una maggiore probabilità di veder accrescere il proprio valore economico rispetto a quelle che contribuiscono all’Overshoot.

Approfondimenti: qui.

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Ritrovarsi d’improvviso all’inferno http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/ritrovarsi-dimprovviso-allinferno/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/ritrovarsi-dimprovviso-allinferno/#comments Mon, 18 Jul 2022 09:50:14 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15480 Cronache dai mondi di collina distrutti dal cambiamento climatico.

di Franco Correggia, Naturalista esperto di biodiversità e dinamica degli ecosistemi.

Stiamo andando a fuoco. Siamo in un forno a microonde. L’ambiente intorno a noi si sta letteralmente trasformando in uno sterile deserto rovente. Il motivo lo conosciamo, la comunità scientifica internazionale ce lo ricorda da decenni, con tanto di numeri, statistiche ed evidenze incontestabili…

La questione, in fondo, è semplice. L’utilizzazione dei combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale) a scopo energetico, associata con la distruzione su larga scala delle foreste (riduzione della biomassa fotosintetica) e con i cambiamenti nell’uso dei suoli (agricoltura industriale, allevamenti intensivi, ecc.), ha prodotto un sensibile aumento delle emissioni e dell’accumulo in atmosfera di anidride carbonica e di altri gas serra. La concentrazione della CO2 atmosferica è passata dalle 280 parti per milione del 1850 alle 419 parti per milione di oggi (il valore più elevato degli ultimi 800.000 anni e probabilmente degli ultimi 20 milioni di anni), con un incremento di circa il 50% rispetto all’epoca preindustriale. Dall’inizio della rivoluzione industriale a oggi, il combinato disposto della combustione delle fonti fossili (formatesi nel Paleozoico e stoccate nel sottosuolo) e della deforestazione ha immesso in atmosfera circa 545 miliardi di tonnellate metriche di carbonio. Attualmente, a causa delle attività umane, si realizza ogni anno un accumulo netto in atmosfera di circa 9 gigatonnellate di carbonio (scarto derivante dalla combinazione tra aumento dell’immissione e diminuzione del riassorbimento), una quantità che cresce su base annua di circa il 6%. Questo processo comporta due effetti nefasti per l’intera biosfera.

Il primo è il riscaldamento globale. I gas serra, non essendo trasparenti alla radiazione infrarossa riflessa dalla superficie terrestre (caratterizzata da una lunghezza d’onda maggiore di quella della radiazione solare incidente), assorbono parte dell’energia irraggiata, che altrimenti sfuggirebbe nello spazio cosmico. La modificazione dell’equilibrio dell’energia radiante conseguente all’aumento della loro concentrazione atmosferica produce effetti di intrappolamento del calore, e l’accumulo di energia termica conduce a un riscaldamento della superficie terrestre e della bassa atmosfera (greenhouse effect). L’incremento dell’evaporazione dell’acqua oceanica, indotto dall’aumento di temperatura della superficie planetaria, accresce il contenuto atmosferico di vapore acqueo, a sua volta potente gas serra; ciò innesca un feedback positivo che accentua ulteriormente lo spostamento del punto di equilibrio termico-radiativo tra radiazione elettromagnetica solare in arrivo (a onda corta) e radiazione infrarossa in uscita (a onda lunga). A causa di queste dinamiche, nell’ultimo secolo la temperatura media globale superficiale del pianeta è aumentata di poco più di un grado. Entro il 2100, quando la CO2 atmosferica supererà in base alle stime attuali la concentrazione di 800-900 ppm, la temperatura media terrestre subirà un innalzamento di 2-5 gradi °C.

La rapida intossicazione da CO2 ha innescato una profonda riconfigurazione degli assetti macroclimatici planetari, con stravolgimento della circolazione generale dell’atmosfera, variazione della posizione media dei grandi centri ciclonici e anticiclonici, modificazione della direzione delle correnti oceaniche. Ciò è alla base di fenomeni ormai ben noti, che sono davanti ai nostri occhi. Tra questi lo scioglimento dei ghiacciai continentali, delle calotte polari e del permafrost, la perturbazione della circolazione termoalina globale, la modificazione del ciclo idrologico e delle teleconnessioni atmosferiche, la tropicalizzazione delle fasce temperate, l’alterazione della distribuzione e dell’intensità delle precipitazioni, la rimodulazione del regime dei venti e dei cicli di piena dei fiumi. Ma anche l’accentuazione dei disequilibri stagionali, la dilatazione dei processi di desertificazione, l’erosione e l’inaridimento dei suoli fertili, l’aumento della frequenza e della severità degli eventi meteorologici estremi (mareggiate, uragani, cicloni tropicali, alluvioni, flash flood, nubifragi, tempeste di vento, tormente, ondate di calore, periodi di siccità severa, episodi marcati di El Niño, ecc.). E ancora il diffondersi degli incendi negli entroterra continentali, l’aggravamento dei fenomeni di eutrofizzazione delle acque interne, la riduzione della produttività del fitoplancton marino, la distruzione di reti alimentari oceaniche cruciali, l’innalzamento del livello dei mari (con conseguente erosione delle spiagge, sommersione delle isole basse, inondazione delle aree costiere e restringimento delle terre emerse).

E, più in generale, il crollo della biodiversità, la riorganizzazione lungo flussi orizzontali (distalmente all’equatore) e verticali (a quote superiori sul livello del mare) della distribuzione spaziale di specie ed ecosistemi, il degrado dei grandi biomi strategici e delle ecoregioni vitali della biosfera (foreste boreali, tundre artiche, torbiere ghiacciate, foreste temperate decidue, foreste pluviali tropicali, foreste equatoriali xeriche, formazioni a mangrovie, savane, praterie, zone umide, lagune salmastre, ecosistemi dunali, ambienti mediterranei, coral reef). O addirittura la perturbazione profonda di processi eco-etologici fondamentali come le migrazioni animali, la fioritura delle piante, i cicli vitali degli insetti e le relazioni preda-predatore. Inoltre il global warming sta mandando alla deriva molti agroecosistemi caratterizzati da basse stabilità di resistenza e di resilienza (già di per sé fragili, deregolati, iporeattivi, vulnerabili, rigidi, anelastici e meno adattabili per la perdita di naturalità, di complessità, di struttura e di diversità genetica), con riduzione della produttività agricola mondiale (e di quella cerealicola in particolare) e conseguente estensione dell’insicurezza alimentare.

Il secondo tragico effetto dell’incremento della CO2 atmosferica, ancora peggiore del primo, è l’acidificazione degli oceani. Il pH delle acque marine, a causa dell’aumento dell’acido carbonico disciolto, è già sceso in poco più di cent’anni da 8,25 a 8,14 e si sta ulteriormente abbassando. Quando verso fine secolo raggiungerà il valore di 7,8, gli oceani saranno 150 volte più acidi di quanto non fossero in età preindustriale. Le conseguenze di questa progressiva dealcalinizzazione comporta conseguenze devastanti su tutto lo spettro delle forme di vita fondate sui processi di biocalcificazione. Si pensi ai molluschi con guscio calciocarbonatico, al plancton calcareo, ai crostacei con esoscheletro calcificato, agli echinodermi, alle alghe pluricellulari e soprattutto alle barriere coralline (bioarchitettura portante degli ecosistemi oceanici e formidabile attrattore di biodiversità che rappresenta l’habitat vitale di oltre un quarto delle specie talassiche). Non solo; più in generale, l’abbassamento del pH delle acque oceaniche implica il collasso dell’intera gamma di forme viventi che abita il biota marino, in quanto interferisce con il metabolismo complessivo degli organismi, con le attività enzimatiche intracellulari, con la biodisponibilità dei nutrienti e con la fotosintesi.

Ma tutto questo, per molte persone, è solo un coacervo fumoso e respingente di concetti e dati scientifici, difficile da decifrare e da non prendere fino ad oggi troppo sul serio. Il punto però è che adesso il quadro è cambiato. Per acquisire consapevolezza dello sconvolgimento climatico e bioecologico che sconquassa il pianeta non è più necessario credere agli esperti, leggere libri e riviste di settore, guardare documentari in televisione, navigare in rete o frequentare i social media. Basta uno sguardo fuori dalla finestra. E sì, perché gli effetti del cambiamento climatico ci sono esplosi in faccia. Prendiamo per esempio le nostre familiari colline astigiane. La situazione è tecnicamente catastrofica. In tutta la mia vita non ho mai visto nulla di simile. Da quasi un anno non abbiamo più avuto piogge significative. La neve in inverno è una barzelletta. In questo torrido e arido luglio, le nostre campagne sono allo stremo, disseccate da una siccità implacabile. La sofferenza dell’intera tessitura ecosistemica dell’area è lancinante e rasenta il punto di rottura. Le falde acquifere sono esaurite o sprofondate. Tutti gli ambienti umidi sono in ginocchio. Gran parte del reticolo idrografico locale è completamente asciutto; rii, ruscelli e torrenti non hanno una goccia d’acqua, le sorgenti sono in secca. I corsi d’acqua maggiori sono ridotti a una successione di lanche morte stagnanti e maleodoranti, dove si raccoglie un velo di acque eutrofiche e schiumose colme di alghe agonizzanti. I loro contenuti di biodiversità (fauna ittica, ma­croinvertebrati bentonici e nectonici, protozoi, rotiferi, macrofite acquatiche, ecc.) sono inesorabilmente distrutti. Anche gli ambienti lentici (stagni, pozze, acquitrini, paludi) sono del tutto inariditi e le loro biocenosi sono annientate. Le formazioni forestali sono vicine al collasso, i prati e gli erbosi sono bruciati. Gli alberi di boschi e siepi ingialliscono e perdono precocemente le foglie; molti (tra cui svariate farnie imponenti) sono già morti in piedi. Innumerevoli specie vegetali non sono arrivate all’antesi e tanto meno, di conseguenza, alla fruttificazione. Muschi ed epatiche sono ridotti a feltri rinsecchiti e avvizziti, i funghi macroscopici sono quasi scomparsi. Negli strati superficiali del suolo non ci sono più lombrichi e altri anellidi ipogei. I molluschi (acquatici e terrestri) sono spariti. Le popolazioni di gran parte degli insetti sono una misera frazione rispetto a quelle degli anni scorsi (decimati i grandi coleotteri, le lucciole, le libellule, le farfalle, gli eterotteri acquatici, i tricotteri, ecc.). Gli anfibi sono pressoché solo un ricordo. Molte specie di uccelli sono alle corde e svariati mammiferi sono in profonda crisi. Le colture agrarie (seminativi, vigne, frutteti, orti) hanno un aspetto morente e desolato, che rende lunare e penoso il paesaggio. Il tessuto vivente che permeava e innervava fino a ieri i nostri territori si sta inaridendo e dissolvendo. Intorno a noi sta morendo tutto.

In questo scenario apocalittico da girone infernale, la gran parte delle persone, pur avendo la percezione intuitiva che qualcosa di cupo aleggia nell’aria, continua a comportarsi come niente fosse. Nonostante l’abisso sia ormai a un passo, l’inerzia del pensiero e l’automatismo dei gesti sono blindati e inscalfibili. Finché l’acqua uscirà dai rubinetti, finché i supermercati saranno forniti, finché la temperatura non raggiungerà i 50 gradi soffocando il respiro, finché tutti gli alberi non saranno ridotti a spettrali scheletri disseccati, finché si potrà delirare quotidianamente di idiozie gratuite sui social network e finché sugli schermi televisivi e sui display degli smartphone scorreranno partite di calcio, talk show demenziali e reality per imbecilli, potremmo andare avanti come sempre, senza modificare i nostri stili di vita e il nostro rapporto con la natura vivente. Fino all’ultimo secondo, la logica dominante e indiscussa sarà quella cinica, autolesionista e nichilista del Business as usual. Che riconosce come baricentro e stella polare solo il profitto, la convenienza economica immediata, l’antropocentrismo e l’egocentrismo assoluti. Poi, quando l’accelerazione esponenziale e autocatalitica dei processi antropici di degrado dell’omeostasi ecologica e degli equilibri dinamici planetari condurrà a una transizione di fase caotica e all’implosione repentina del sistema, allora tutti entreranno nel panico e impazziranno completamente. Magari nel giro di 48 ore…

L’esempio più emblematico e la testimonianza più eloquente di come siamo ridotti vengono però, come sempre, dall’alta politica, da coloro che hanno accesso alla stanza dei bottoni, dai burattinai che muovono i fili della commedia umana, dalle oligarchie che custodiscono gli arcana imperii, dai potenti della Terra. A questo proposito, consideriamo in termini oggettivi e un po’ da lontano (come fossimo osservatori di un altro sistema stellare) la nostra attuale situazione. Ci svegliamo ogni mattina sulla superficie di un pianeta alle corde, in cui uno straziante urlo di dolore si alza dall’intera trama vivente ecosferica. Le attività antropiche esercitano un livello di pressione che supera largamente la capacità di carico degli ambienti naturali. Un’overdose di stress che, attraverso l’induzione di oscillazioni caotiche e risonanze pericolose nei biomeccanismi delle trame viventi, è a un passo dal provocare il collasso dei sistemi ecologici portanti di sostegno, autoregolazione, adattamento, stabilizzazione e rigenerazione della biosfera. Le patologie esiziali interconnesse che squassano il mondo, perturbando in profondità e alterando su larga scala i fondamentali elementi strutturali e regolatori che ne controllano gli assetti bioclimatici e geofisiologici e ne modulano il framework di funzioni, reti metaboliche, vettori, flussi, cicli, autorganizzazione e proprietà emergenti, hanno nomi ben noti. Perdita verticale di biodiversità, sovrappopolazione, inquinamento chimico-fisico, cambiamenti climatici, assottigliamento dello strato di ozono stratosferico, piogge acide, deforestazione, distruzione di ecosistemi vitali, frammentazione e insularizzazione degli habitat. E ancora: cementificazione metastatica, urbanizzazione invasiva, erosione e impermeabilizzazione del suolo, desertificazione, espansione delle monocolture agroindustriali intensive, salinizzazione dei terreni fertili, annientamento dei mari, overfishing, eutrofizzazione delle acque ferme e correnti, carenza idrica globale. Ma anche: pressione venatoria eccessiva, commercio internazionale di specie selvatiche, introduzione di specie esotiche invasive, sovrasfruttamento generalizzato delle biorisorse naturali (overharvesting e overexploitation)…

Inoltre, come se non bastasse, negli ultimi tre anni le nostre società complesse e ipertecnologiche sono state messe letteralmente in ginocchio dalla pandemia virale originata dal betacoronavirus Sars-CoV-2, l’agente eziologico della patologia infettiva a prevalenza respiratoria nota come Covid-19. Un microscopico virus a RNA con un genoma di 30.000 nucleotidi, con un diametro di appena 100-150 nanometri e formato da sole quattro “banali” proteine strutturali, in pochi mesi, ha prodotto un’ecatombe sanitaria impressionante, ha fatto collassare il sistema economico-produttivo planetario, ha distrutto la tessitura di relazioni e reti sociali che caratterizzava fino a ieri il nostro mondo smart e iperconnesso. E con il suo mutevole florilegio di varianti genomiche e sierotipi ha trasformato tutto ciò che è sempre stato considerato universalmente il bene (l’empatia, la vicinanza, il contatto, il legame, lo scambio) nel male assoluto, nel sinistro vettore del contagio e nel rischio mortale, generando un’apnea emotiva e un’anestesia affettiva dalle devastanti conseguenze psicologiche. Una malattia umana ubiquitaria che si profila come un feedback veloce di retroazione e controllo a scala globale e ad azione rapida, in grado di giocare un ruolo regolatorio nelle dinamiche non lineari dei fattori sistemici aventi effetti di destabilizzazione e perturbazione sugli equilibri omeostatici della biosfera.

Ebbene, in questo drammatico contesto, coloro che stringono tra le mani il destino del mondo, le élites raffinate e le spocchiose caste politico-economiche che reggono le sorti delle nostre vite, quale tipo di formidabile, lungimirante, efficace e assennata risposta hanno elaborato e messo in campo per affrontare in modo deciso e con successo le tragiche crisi sistemiche che attanagliano e strangolano il pianeta? Qualcosa di davvero geniale: la terza guerra mondiale, con possibile annesso olocausto termonucleare come potenziale esito finale. Armi a iosa, iperbolica escalation delle spese militari, distruzioni, sofferenze, disintegrazione sociale, conflitti, ulteriore degrado ambientale, stop ai già timidi e insinceri tentativi di riconversione ecologica, rinvio sine die delle politiche di decarbonizzazione e delle strategie di mitigazione delle emissioni climalteranti. Questo è ciò che sono stati in grado di secernere i neuroni, i circuiti sinaptici cablati e le reti biochimiche cognitive contenute nelle scatole craniche dei massimi esponenti del gotha che governa la rutilante e biocibernetica società high tech del turbocapitalismo avanzato, fondata sui ferrei dogmi e sugli algidi paradigmi del consumo compulsivo e della mercificazione totale. Tra gli applausi fragorosi e monocordi dei mezzi di comunicazione di massa e la fanatica propaganda bellicista in stile orwelliano delle agenzie d’informazione mainstream, le talentuose classi dirigenti di un pianeta malato e morente ci trascinano dritti all’inferno. Una vera perla di rara intelligenza e commovente responsabilità.

Tutto ciò autorizza in modo oggettivo e desolato a pensare che la nostra mirabile ed egemone specie, nella sua attuale versione tecnomorfa e biocida, sia finita nel labirinto oscuro di un’incontrollabile deriva psicotica, antibiologica, necrofila e suicida. Nonostante il nostro pirotecnico e versatile encefalo dalle qualità straordinarie, nonostante la nostra sbalorditiva autocoscienza, nonostante lo scintillante e variegato introcosmo di psyché che si annida dentro di noi, nonostante la massa di informazione e conoscenza di cui disponiamo, nonostante l’unilaterale decisione di proclamarci demiurghi, architetti e dominatori assoluti della nostra fulminea era (che non a caso abbiamo chiamato Antropocene), non possiamo più allontanare ed eludere un dubbio inquietante. Quello di essere un semplice errore evolutivo, un esperimento biologico fallito, che sta lavorando alacremente ventiquattr’ore al giorno per costruire i presupposti della sua imminente e irreversibile estinzione.

A partire dalla transizione da Homo sapiens Homo technoeconomicus (trasformazione genetica innescata dalla rivoluzione industriale e completata dalla rivoluzione digitale), abbiamo riconfigurato in un lampo e in modo radicale le intelaiature portanti e strutturali della biosfera. Abbiamo sfiancato e corroso il firmamento interconnesso e simbiotico di relazioni intrecciate della natura vivente. Abbiamo modificato il clima, cambiato la composizione gassosa dell’atmosfera, perturbato i cicli biogeochimici fondamentali, alterato il ciclo dell’acqua e causato l’ecatombe della biodiversità. Abbiamo avvelenato la terra, acidificato gli oceani, dilatato i deserti, cancellato le foreste, inquinato e impoverito i suoli, deviato i fiumi, svuotato i mari e stravolto l’aspetto dei continenti. Abbiamo espanso a dismisura la nostra impronta ecologica. Abbiamo scatenato la nostra tendenza bulimica e ossessivo-compulsiva ad aumentare di continuo e con andamenti esponenziali l’input di energia, materie prime, risorse minerarie, acqua, territori, foreste, mari, specie viventi e sistemi naturali nei processi economico-produttivi. Abbiamo violato e sfondato senza ritegno i planetary boundaries che definiscono i margini intrinseci di sicurezza relativi alla nostra collocazione nella biosfera. Abbiamo fatto tabula rasa dei pattern complessi della varietà bioecologica e ground zero sulla grande costruzione reticolare della vita. Ci comportiamo simultaneamente da predatore apicale di successo, da specie infestante cosmopolita, da agente virale parassitario e da clone neoplastico metastatico. Siamo l’empio agente della transizione biotica nota come sesta estinzione di massa. Nessun altro fattore è stato in grado di produrre impatti altrettanto profondi sulla sfera verdazzurra a cui siamo aggrappati. È chiaro che c’è qualcosa che non va. Qualcosa di grave.

Nella noosfera biodigitale e nel multiverso computazionale costruiti intorno al nostro poliedrico sistema nervoso centrale consentiamo quotidianamente che techné, sempre più ipertrofica e guidata in maniera proterva e famelica da hýbris, venga lasciata libera di martirizzare e sfigurare physis. Nella speranza ingenua e arrogante che nel futuro non vi sia nèmesis in attesa. La brutta notizia è che nèmesis, la vendetta, è arrivata. La mia domanda è ingenua, semplice e lineare. Quale altra linea rossa deve essere superata per decidere che bisogna uscire subito, costi quello che costi, dalla psicosi mortifera e contra naturam in cui siamo intrappolati?

Insomma, oggi queste nostre distopiche campagne riarse e desertificate, che nel luglio 2022 più che all’immagine sognante, al locus amoenus e ai reincanti delle tradizionali verdi colline astigiano-monferrine rimandano al locus horridus dell’Armageddon o alla tetra e livida terra di Mordor, ci interrogano sulla nostra volontà di fare la cosa giusta e di invertire immediatamente la rotta. Cambiando adesso i nostri valori, i nostri riferimenti, i nostri paradigmi e i nostri stili di vita, mettendoci in gioco in prima persona e agendo in concreto fin da subito con coerenza, senza se e senza ma, in termini personali, quotidiani, politici e culturali. Combattere per sopravvivere. Nella chiara consapevolezza che, ammesso che il punto di non ritorno non sia già stato fatalmente oltrepassato, questa è certamente l’ultima occasione che abbiamo. Il tempo è finito.

Se invece decideremo di continuare a vivere come zombie teleguidati che hanno reciso ogni legame empatico e biofilico con la natura vivente, il destino è segnato. La marea montante delle prossime crisi sistemiche subentranti, semplicemente, ci spazzerà via.

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http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/ritrovarsi-dimprovviso-allinferno/feed/ 3
Giornata Mondiale della Terra http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/04/giornata-mondiale-della-terra/ Fri, 22 Apr 2022 06:46:02 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15316 Per sensibilizzare i cittadini e aumentare la consapevolezza ambientale ogni anno, il 22 aprile, viene celebrata la Giornata Mondiale della Terra, la più grande giornata di mobilitazione del pianeta.

Quest’anno circa un miliardo di persone, in 192 nazioni, parteciperà alle iniziative dell’Earth Day.

L’Earth Day di quest’anno è dedicato al tema della perdita della diversità biologica e dell’estinzione delle specie.  Gli obiettivi dell’iniziativa sono:

  • informare e sensibilizzare i cittadini sull’accelerazione del tasso di estinzione di milioni di specie e sulle cause e le conseguenze di questo fenomeno;
  • raggiungere importanti risultati politici in termini di protezione di ampi gruppi di specie, nonché di singole specie e dei loro habitat;
  • costruire e attivare un movimento globale che abbracci la tutela della natura e dei suoi valori;
  • incoraggiare azioni individuali, come l’adozione di una dieta sostenibile, basata su alimenti ottenuti senza l’uso di antiparassitari, insetticidi ed erbicidi.

Documento dell’ISPRA che fa il punto dello stato dell’arte in Italia e nel mondo sulla perdita di integrità biologica e come per affrontarla.

Tratto da: https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/biodiversita/ispra-e-la-biodiversita/articoli/giornata-mondiale-della-terra

Come Forum Salviamo il Paesaggio, saremmo lieti che la celebrazione di questa ricorrenza in onore alla nostra Terra si accompagnasse anche a due concrete azioni rivolte:

  • alla salvaguardia del suolo libero e del paesaggio (clicca qui)
  • al corretto calcolo del costo derivante dalla perdita di terreno naturale (clicca qui)
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Montepulciano: tanto tonò che piovve… http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/03/montepulciano-tanto-tono-che-piovve/ Mon, 21 Mar 2022 07:53:07 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15243 A cura dell’Associazione Il Bersaglio.

Così avrebbero commentato i nostri vecchi e il detto rappresenta fedelmente la triste realtà. Inutile girarci intorno, ci vengano almeno risparmiate altre fantasiose “ricostruzioni” del crollo del 15 scorso in Collazzi.

Infiltrazioni d’acqua? Mai viste, poi tali da provocare l’accaduto e dopo mesi di acuta siccità ? Innocua pulizia anti-ungulati, con un grosso escavatore? Chi non ha visto dal vivo prima, guardi ora le foto dello scasso: si distinguono i graffi bianchi prodotti dai denti della pala meccanica sulle pietre scure delle mura, così come ci si è ben spinti alla loro base.

Errore dell’operatore, che si guadagnava lo stipendio – lì, da solo – senza sapere che rischiava la pelle, eseguendo ciò che (si deve pur supporre) gli era stato richiesto?
Cose imprevedibili, insomma.

Ma sono anni che – oltre a riuscire a bloccare folli sventramenti del colle e delle sue pendici più prossime per i famosi multipiani, voragini oltre tutto milionarie – segnaliamo al Comune, e vengono segnalate da altri, le cattive condizioni del nostro centro storico ed immediate adiacenze e quindi la necessità di procedere (oltre nell’occasione a doverosi accertamenti archeologici) sia ad una verifica dello stato del suo sottosuolo, considerati i non pochi crolli – con vittime – che vi si sono registrati in passato; sia l’urgenza di intervenire su situazioni particolari di evidente criticità, grandi e piccole: lo stato del complesso di San Francesco con la sottostante Via degli Archi, le mura di Collazzi (appunto), quelle sovrastanti le Fontacce…

Lo stato preoccupante del selciato cittadino e dei nostri vicoli, così come l’abbandono delle opere di regimentazione delle acque tutto intorno al centro urbano, scomparse; conventi semiabbandonati, bisognosi di attenzione (ed utili per dare ospitalità…). L’elenco per la Città sarebbe lungo, nelle Frazioni e sul territorio la situazione in generale non è migliore; per questo come per altro.
E che dire dello stanziamento di ben 2,4 milioni di euro previsto per la sistemazione proprio del parcheggio di Collazzi, molto attesa “da cittadini e turisti” (non dal Consorzio del Vino Nobile, insediato in Fortezza, e da altri interessati agli eventi via via organizzati lassù): decisamente una bella cifra, con lo sterro principale e la pubblica illuminazione ormai già più che a buon punto.

E comunque uno stanziamento presuppone un progetto ed un preventivo, almeno di massima: coperti da Segreto di Stato? Il cittadino deve andare a frugare nelle Delibere o chissà dove per essere informato su certe cose?

Ci siamo sempre sforzati di essere collaborativi, segnalare cose ed avanzare idee: niente, non si risponde neppure alle lettere (neanche alle PEC). Si aprono cantieri – o si lasciano chiusi – senza informare i cittadini di cosa si intenda fare, come e perché; soprattutto, nell’ambito di quale visione complessiva per la città, il suo territorio ed il nostro futuro.
Ci si sveglia ribattezzati da “Perla del ‘500” a “Città del Vino”; si assiste alla perenne caccia di “medagliette”, designazioni d’ogni tipo, con – dietro – il nulla. E intanto – solo per ricordarne un’altra – il sito a noi prossimo per la collocazione del Deposito Unico Nazionale delle Scorie Radioattive NON è stato tolto, ad una prima scrematura, dalla lista dei papabili: ma qualcuno – a parte noi – qui se ne è più occupato? Fiducia illimitata nello “stellone”, come per l’eterna resistenza delle mura?

Siamo francamente stufi di questo modo di fare: autoreferenziale, a dir poco distratto su tutto ciò che non è vino e la realizzazione di eventi più o meno modaioli; dando la sensazione di un’Amministrazione eterodiretta, sorda a qualsiasi richiamo alla ragionevolezza. Che i fatti dimostrano invece necessaria.

Un’associazione non si occupa di “partitica”, né Il Bersaglio intende farlo: siamo cittadini e portiamo avanti – a prescindere dalle personali etichette – ciò che è scritto nello Statuto che ci siamo dati. Chi di dovere se ne faccia una ragione.

Il 20 marzo l’Associazione Il Bersaglio ha presentato un esposto – contro ignoti – alla Procura della Repubblica di Siena per disastro (crollo) colposo, chiedendo il sequestro dell’area. Questo consentirà tutte le verifiche del caso sulle cause ed un attento monitoraggio sulle opere anche urgenti da eseguire.

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Dissesto idrogeologico: quasi il 94% dei comuni a rischio frane, alluvioni ed erosione costiera http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/03/dissesto-idrogeologico-quasi-il-94-dei-comuni-a-rischio-frane-alluvioni-ed-erosione-costiera/ Tue, 08 Mar 2022 08:49:46 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15219 A cura di ISPRA.

Aumenta nel 2021 la superficie nazionale potenzialmente soggetta a frane e alluvioni: l’incremento sfiora rispettivamente il 4% e il 19% rispetto al 2017. Quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio dissesto e soggetto ad erosione costiera e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità.
Segnali positivi per le coste italiane: dopo 20 anni, a fronte di numerosi interventi di protezione, i litorali in avanzamento sono superiori a quelli in arretramento.

È il “Dissesto idrogeologico in Italia”, il rapporto 2021 presentato dall’ISPRA che fornisce il quadro di riferimento nazionale sulla pericolosità associata a frane, alluvioni e sull’erosione costiera dell’intero territorio italiano.
Nel 2021, oltre 540 mila famiglie e 1.300.000 abitanti vivono in zone a rischio frane (13% giovani con età <15 anni, 64% adulti tra 15 e 64 anni e 23% anziani con età > 64 anni), mentre sono circa 3 milioni di famiglie e quasi 7 milioni gli abitanti residenti in aree a rischio alluvione. Le regioni con i valori più elevati di popolazione che vive nelle aree a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna (quasi 3 milioni di abitanti a rischio), Toscana (oltre 1 milione), Campania (oltre 580 mila), Veneto (quasi 575 mila), Lombardia (oltre 475 mila), e Liguria (oltre 366 mila).

Gli edifici.

Su un totale di oltre 14 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata superano i 565 mila (3,9%), mentre poco più di 1,5 milioni (10,7%) ricadono in aree inondabili nello scenario medio. Gli aggregati strutturali a rischio frane oltrepassano invece i 740 mila (4%).
Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84 mila con 220 mila addetti esposti a rischio, mentre quelli esposti al pericolo di inondazione, sempre nello scenario medio, superano i 640 mila (13,4%).

Beni Culturali.

Degli oltre 213 mila beni architettonici, monumentali e archeologici, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono oltre 12 mila nelle aree a pericolosità elevata; raggiungono complessivamente le 38.000 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità. I Beni Culturali a rischio alluvioni, poco meno di 34 mila nello scenario a pericolosità media, arrivano a quasi 50 mila in quello a scarsa probabilità di accadimento (eventi estremi). Per la salvaguardia dei Beni Culturali, è importante valutare anche lo scenario meno probabile, tenuto conto che, in caso di evento, i danni prodotti al patrimonio culturale sarebbero inestimabili e irreversibili.

Le coste

Il nuovo rilievo delle coste italiane ha consentito un aggiornamento dei dati sullo stato e sui cambiamenti in prossimità della riva: nel periodo 2007-2019, risulta in avanzamento quasi il 20% dei litorali nazionali e il 17,9% in arretramento. A fronte di un progressivo aumento dei tratti di costa protetti con opere di difesa rigide,
rispetto al 2000-2007 aumentano i litorali stabili e in avanzamento e diminuiscono dell’1% quelli in erosione. A livello regionale il quadro è più eterogeneo: la costa in erosione è superiore a quella in avanzamento in Sardegna, Basilicata, Puglia, Lazio e Campania; le regioni con i valori più elevati di costa in erosione sono Calabria (161 km), Sicilia (139 km), Sardegna (116 km) e Puglia (95 km).

Dati e mappe sono disponibili sulla piattaforma nazionale IdroGEO (idrogeo.isprambiente.it), un’APP multilingua, open data, accessibile da smartphone, tablet e desktop.

Qui potete scaricare il Rapporto ISPRA integrale.

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Nel Recovery Plan nazionale non c’è un Piano di prevenzione sismica http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2021/04/nel-recovery-plan-nazionale-non-ce-un-piano-di-prevenzione-sismica/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2021/04/nel-recovery-plan-nazionale-non-ce-un-piano-di-prevenzione-sismica/#comments Fri, 09 Apr 2021 20:54:26 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=14450 Un gruppo di sismologi, geologi, ingegneri sismici, docenti e studiosi sollecita, con una lettera accorata, il presidente del Consiglio a considerare un urgente e indispensabile Piano di prevenzione sismica all’interno dei progetti primari da finanziare attraverso i fondi del PNRR.

Oggetto: Richiesta di un Piano nazionale di prevenzione sismica nel Recovery Plan.

Illustrissimo Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, Prof. Mario Draghi,

nel Recovery Plan sono state prefigurate numerose priorità, tutte cruciali per il futuro del Paese, ma nel dibattito e nella stesura, finora nota, manca un esplicito e chiaro riferimento alla mitigazione del rischio sismico, che per l’Italia è un’emergenza non risolta.

In Italia non esiste un Piano di prevenzione sismica nazionale che delinei una strategia a breve, medio e lungo termine: una situazione inaccettabile per un paese civile e industrializzato, benché da tempo in possesso delle necessarie conoscenze teoriche e applicative. Il decreto legge n.39/2009, divenuto legge n.77 nel 2009, aveva previsto un esiguo stanziamento di € 965 ml fino al 2016, con cui sono stati realizzati 1.034 interventi su edifici. Allo stato attuale non è in atto alcuna iniziativa in grado di modificare le prospettive di impatto di futuri terremoti. A fronte di tale vuoto di visione e di mezzi, i dati scientifici ci dicono che in Italia accade un terremoto distruttivo in media ogni quattro anni e mezzo. Solo nei due decenni di questo secolo ci sono già state 650 vittime e 70 miliardi di danni, pur causati da terremoti che non rappresentano i massimi storici attesi per le aree colpite.
Mentre si avvicendano e si sovrappongono costose, lente e problematiche ricostruzioni, sappiamo già che il prossimo terremoto sarà un altro disastro e non sarà casuale l’area che colpirà: infatti le zone a maggiore pericolosità sismica sono da anni ben identificate e delimitate da una competente e vasta comunità scientifica.

Nel 2017 il governo in carica ha varato il Sisma Bonus, uno strumento fiscale che consente al singolo cittadino una detrazione delle spese sostenute per gli interventi antisismici alla propria abitazione. Uno strumento tuttavia inadeguato e dagli esiti casuali, perché avviato senza una strategia complessiva, senza una struttura centralizzata di indirizzo strategico e di coordinamento, e soprattutto senza una chiara identificazione delle priorità di intervento.

Nel 2018 al Sisma Bonus si è aggiunto l’omologo Eco Bonus, finalizzato all’efficientamento energetico.

Nel 2020, sulla spinta dell’emergenza economica causata dalla
pandemia, il governo ha unito Sisma ed Eco Bonus in un singolo strumento, il SuperBonus 110%, attraverso il quale le spese di riqualificazione sismica ed energetica sono poste interamente a carico dello Stato.
Questo provvedimento, ben lontano dal costituire un piano di prevenzione sismica nazionale – come talvolta si è perfino lasciato supporre – ha peggiorato la situazione, ampliando a dismisura la platea degli aventi diritto, profilando un notevole dispendio di risorse pubbliche, impegnando lo Stato nella mobilitazione di enormi risorse a debito, con margini assai ridotti di crescita, e lasciando in balia dei singoli proprietari le aree a maggiore pericolosità sismica, come il Centro e il Sud del Paese, in cui è quasi del tutto assente la domanda di sicurezza abitativa.

Noi riteniamo che la prevenzione non sia solo una soluzione
tecnica-costruttiva
e che non possa prescindere da una complessa visione culturale, sociale e storica, come base di una cultura del rischio, ancora ben lontana dall’essere recepita nel nostro
Paese.

Nel 2019, per segnalare l’inaccettabile deficit di capacità di trasferimento di conoscenza scientifica, tecnologica e culturale sul piano concreto della riduzione del rischio sismico e la necessità di riconsiderare gli assetti organizzativi e istituzionali, abbiamo inviato al Governo Conte e al Presidente della Repubblica l’Appello “La prevenzione sismica: una sconfitta culturale, un impegno inderogabile“, sottoscritto da oltre 200 esperti, studiosi e
professionisti del settore.
Solo la Segreteria del Quirinale ci ha dato risposta e incoraggiamento.

Nel 2020 abbiamo divulgato il Manifesto “Prevenzione sismica: cento anni di fallimenti, denunciando la situazione e chiedendo con convinzione un intervento adeguato per mettere a punto una strategia di prevenzione sismica nazionale. Anche su questo non c’è stata alcuna risposta da parte dei precedenti Ministeri competenti. Le alleghiamo entrambi i documenti.

A nostro parere non fare nulla per modificare lo stato attuale significa lasciare consapevolmente ai nostri giovani non solo una pesantissima condizione debitoria, ma anche una irrisolta condizione di fragilità e di vulnerabilità dei territori, che porterà a nuove povertà.

Nel porre alla Sua attenzione la gravità della situazione, chiediamo che il Recovery Plan recepisca questa cruciale emergenza del Paese e apra una prospettiva di lungo periodo per la mitigazione del rischio sismico.

Con i più deferenti saluti.

Roberto De Marco, già direttore del Servizio Sismico Nazionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
Emanuela Guidoboni, sismologa storica, associata alla ricerca all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e Centro di documentazione Eventi Estremi e Disastri
Gianluca Valensise, esperto di Pericolosità sismica e Sismotettonica, dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
Teresa Crespellani, già docente di Ingegneria Geotecnica Sismica, Università di Firenze
Elisa Grandori Guagenti, fisico-matematica, già docente ordinaria, Politecnico di Milano
Vincenzo Petrini, esperto di rischio sismico, prof. emerito al Politecnico di Milano
Umberto Allegretti, costituzionalista, già docente ordinario all’Università di Firenze
Fabio Sabetta, geofisico, docente di Sismologia e pericolosità sismica all’Università Roma Tre
Giovanni Manieri, ingegnere, già dirigente del settore sismico della regione Emilia Romagna.

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