www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Mon, 15 Jul 2024 21:40:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.6 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Stadio a San Donato, settanta docenti universitari di Milano chiedono di rinunciare al progetto http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/stadio-a-san-donato-settanta-docenti-universitari-di-milano-chiedono-di-rinunciare-al-progetto/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/stadio-a-san-donato-settanta-docenti-universitari-di-milano-chiedono-di-rinunciare-al-progetto/#respond Mon, 15 Jul 2024 21:39:02 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16671 Nella lettera a FIFA, UEFA e FIGC lanciano l’allarme: la scomparsa di 30 ettari di terreno mai urbanizzato produrrebbe una quantità eccessiva di emissioni di CO2 in atmosfera

Alla attenzione dei presidenti di FIFA, UEFA, FIGC

Egr. Presidenti,

ritenendo encomiabile il riconoscimento da parte di FIFA e UEFA dell’importanza della promozione della sostenibilità nel settore calcistico, e considerando parimenti lodevole l’iniziativa della FIGC di seguire le loro indicazioni per ridurre l’impronta di carbonio del settore, Vi scriviamo per portare alla vostra attenzione il caso dello stadio del Milan a San Donato che ci preoccupa molto.

Nel contesto delle crescenti aspettative che si pongono su vari settori produttivi per creare un fronte comune nel contrasto al cambiamento climatico, siamo pienamente convinti che il calcio, uno sport seguitissimo, possa diventare il motore di un cambiamento che ispiri altre discipline sportive a seguirne l’esempio.

Tuttavia, pur riconoscendo lo sforzo delle vostre Federazioni nel diffondere e attuare questi principi tramite la stesura di linee guida pragmatiche, inclusa quella sulla sostenibilità delle infrastrutture, riteniamo essenziale portarvi all’attenzione una questione che potrebbe compromettere significativamente l’efficacia di tali sforzi: la costruzione di nuovi impianti su terreni precedentemente non edificati e, in alcuni casi, su terreni agricoli.

Questa pratica può portare infatti a un aumento significativo della CO2 rilasciata in atmosfera a causa della perdita delle capacità di assorbimento e stoccaggio del carbonio dei suoli edificati. Inoltre, costruire su un’area non urbanizzata implica la necessità di dotarsi di infrastrutture a servizio del futuro impianto e di ulteriori attività di costruzione con ulteriore perdita di suolo non edificato.

I terreni non edificati e i campi agricoli svolgono infatti un ruolo cruciale nel mantenimento dell’equilibrio tra emissioni (carbon sources) e processi di assorbimento e stoccaggio della CO2 (carbon sinks), rappresentando insieme a mari e oceani il nostro miglior alleato per il raggiungimento dell’equilibrio tra emissioni e assorbimento necessario perché la CO2 atmosferica non continui ad aumentare alimentando il cambiamento climatico. Quando la costruzione di infrastrutture comporta la perdita di terreni non urbanizzati, la diminuzione di queste funzioni del suolo può vanificare completamente gli sforzi di riduzione delle emissioni ottenuti tramite la messa in pratica delle buone pratiche suggerite dalle vostre organizzazioni.

Un esempio significativo è il progetto attuale dell’A.C. Milan di costruire un nuovo stadio da 70.000 posti in un’area che fino ad ora è stata utilizzata esclusivamente per scopi agricoli. Questo progetto prevede anche l’espansione dell’area di trasformazione nelle vicine aree del Parco Agricolo Sud Milano, un’importante riserva naturale dedicata alla protezione e valorizzazione dell’ambiente agricolo e naturale che comprende al suo interno terreni agricoli, boschi, corsi d’acqua e zone di rilevanza naturalistica e storico-culturale.

Nelle immediate vicinanze del sito proposto per lo stadio, a meno di 1 km di distanza, si trova un antico villaggio medievale che ospita l’Abbazia di Chiaravalle, fondata nel 1135 e tutt’oggi meticolosamente mantenuta da una comunità di monaci, un luogo molto amato dai milanesi e dalle comunità circostanti.

La costruzione di uno stadio qui cambierebbe drasticamente il carattere dell’area e costituirebbe una grave violazione delle linee guida della FIFA che affermano chiaramente che per valutare l’idoneità di un sito per un nuovo stadio si debba considerare se vi siano edifici considerati di interesse storico e/o protetti dalla legge e se l’area abbia una designazione di patrimonio ambientale e storico-culturale che possa rendere lo sviluppo dello stadio inappropriato.

Il nuovo progetto dello stadio del Milan comporterebbe la trasformazione di circa 30 ettari di terreno mai urbanizzato, che ha un valore significativo come serbatoio di carbonio, sequestrando dall’atmosfera circa 20 tonnellate di CO2eq all’anno e avendo immagazzinato nel tempo circa 3.000 tonnellate di CO2eq (stime effettuate in base allo studio Pendall et al., 2018[1]).

Un recente studio di Life Cycle Assessment (LCA), condotto dalla Scuola Superiore Sant’Anna (Progetto LIFE Tackle), sulla base dell’esame di diversi casi di studio ha stimato l’emissione degli equivalenti di CO2 emessi per singola partita di calcio in ca. 70 tonnellate CO2eq. Se si applicasse questa emissione media all’intera serie di eventi di una stagione calcistica (es. una trentina di eventi), la somma di queste emissioni (carbon footprint) costituirebbe più dei 2/3 del quantitativo stoccato nel suolo non edificato pre-esistente. In altre parole, la costruzione dello stadio su un’area non edificata, oltre a determinare un’emissione diretta di più di 2.000 t/anno di CO2eq, ne comporterebbe un’altra indiretta, dovuta alla perdita del suolo naturale dello stesso ordine di grandezza.

Se poi si immaginasse di compensare questa perdita indiretta di CO2eq piantando degli alberi, ad esempio facendo riferimento alle stime di Magnani & Raddi[2], sarebbe necessario piantare circa 19 ettari di bosco e più di 32.000 alberi per arrivare in 20 anni a compensare quanto perduto a causa del consumo di suolo.

Sappiamo che FIFA, UEFA e FIGC operano su scala globale e regionale e che generalmente evitano di intervenire nelle questioni locali. Tuttavia, riteniamo che l’attuale progetto della Società A.C. Milan a San Donato, qualora andasse in porto, rappresenterebbe una significativa macchia nell’encomiabile processo di riduzione delle emissioni e degli impatti intrapreso. Auspichiamo pertanto che le federazioni calcistiche possano assumere una posizione netta contro la costruzione di nuove infrastrutture su terreni non urbanizzati, al fine di non compromettere quei principi di sostenibilità che ispirano le strategie globali di contrasto al cambiamento climatico, incoraggiando il riutilizzo e la ristrutturazione delle strutture esistenti, con l’obiettivo di ridurre significativamente l’impatto ambientale.

Vi ringraziamo per la vostra attenzione, fiduciosi nel fatto che FIFA, UEFA e FIGC continueranno a progredire nel promuovere un futuro più sostenibile per il calcio e per il pianeta.

Cordiali saluti,

Arianna Azzellino, Politecnico di Milano

Giorgio Vacchiano, Università Statale di Milano

Antonella Abbà, Politecnico di Milano

Adriana Angelotti, Politecnico di Milano

Anna Anzani, Politecnico di Milano

Luca Bascetta, Politecnico di Milano

Gianfranco Becciu, Politecnico di Milano

Marco Belan, Politecnico di Milano

Paolo Biagioni, Politecnico di Milano

Alberto Luigi Brambilla, Politecnico di Milano

Enrico Gianluca Caiani, Politecnico di Milano

Maria Rita Canina, Politecnico di Milano

Roberto Canziani, Politecnico di Milano

Giuliana Cardani, Politecnico di Milano

Andrea Francesco Castelletti, Politecnico di Milano

Andrea Castoldi, Politecnico di Milano

Andrea Cattoni, Politecnico di Milano

Annamaria Cividini, Politecnico di Milano

Marco Colombetti, Politecnico di Milano

Grazia Concilio, Politecnico di Milano

Giovanni Consolati, Politecnico di Milano

Antonella Contin, Politecnico di Milano

Alessandro Dama, Politecnico di Milano

Anna Caterina Delera, Politecnico di Milano

Roberto De Paolis, Politecnico di Milano

Fabio Dercole, Politecnico di Milano

Elisabetta Di Nitto, Politecnico di Milano

Ilenia Epifani, Politecnico di Milano

Carlotta Fontana, Politecnico di Milano

Aldo Frezzotti, Politecnico di Milano

Giuseppe Gibertini, Politecnico di Milano

Giancarlo Gioda, Politecnico di Milano

Elena Granata, Politecnico di Milano

Mario Grosso, Delegato della Rettrice ai rapporti con la RUS (Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile), Politecnico di Milano

Giorgio Guariso, Professore Emerito, Politecnico di Milano

Chiara Guazzoni, Politecnico di Milano

Stefano Longhi, Politecnico di Milano

Marco Lucchini, Politecnico di Milano

Roberto Maja, Politecnico di Milano

Stefano Mambretti, Politecnico di Milano

Clelia Marchionna, Politecnico di Milano

Stefano Miccoli, Politecnico di Milano

Stefano Micheletti, Politecnico di Milano

Gianfranco Pertot, Politecnico di Milano

Lorenza Petrini, Politecnico di Milano

Lucia Rigamonti, Politecnico di Milano

Umberto Sanfilippo, Politecnico di Milano

Elena Sezenna, Politecnico di Milano

Giovanna Sona, Politecnico di Milano

Giancarlo Storti Gajani, Politecnico di Milano

Alberto Tagliaferri, Politecnico di Milano

Antonello Vicenzo, Politecnico di Milano

Attilio Zilli, Politecnico di Milano

Marco Vivarelli, Direttore del Dipartimento di Politica Economica, Università Cattolica del Sacro Cuore

Marco Acutis, Università Statale di Milano

Roberto Ambrosini, Università Statale di Milano

Valerio Bini, Università Statale di Milano

Stefano Bocchi, Delegato per la Sostenibilità, Università Statale di Milano

Marco Stefano Caccianiga, Università Statale di Milano

Alice Giulia Dal Borgo, Università Statale di Milano

Caterina Anna Maria La Porta, Università Statale di Milano

Luciano Pilotti, Università Statale di Milano

Diego Rubolini, Università Statale di Milano

Paolo Carlo Maria Tremolada, Università Statale di Milano

Daniela Basso, Università di Milano Bicocca

Giancarlo Capitani, Università di Milano Bicocca

Sandra Citterio, Università di Milano Bicocca

Antonio Finizio, Università di Milano Bicocca

Rodolfo Gentili, Università di Milano Bicocca

Marco Grasso, Università di Milano Bicocca

Barbara Leoni, Università di Milano Bicocca

Elisa Malinverno, Università di Milano Bicocca

Alessandra Savini, Università di Milano Bicocca


[1] Pendall E., D. Bachelet, R. T. Conant, B. El Masri, L. B. Flanagan, A. K. Knapp, J. Liu, S. Liu, and S. M.Schaeffer, 2018: Chapter 10: Grasslands. In Second State of the Carbon Cycle Report (SOCCR2): A Sustained Assessment Report [Cavallaro, N., G. Shrestha, R. Birdsey, M. A. Mayes, R. G. Najjar, S. C. Reed, P. Romero-Lankao, and Z. Zhu (eds.)]. U.S. Global Change Research Program, Washington, DC, USA, pp. 399-427, https://doi.org/10.7930/SOCCR2.2018.Ch10.

[2] Magnani F., Raddi S. Afforestazione e fissazione della CO2 atmosferica: qualche cifra indicativa dalla ricerca scientifica. Forest@ (2021) 18: 60-63. doi: 10.3832/efor3928-018

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Rapporto Ecomafia: in Italia è boom di reati ambientali http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/rapporto-ecomafia-in-italia-e-boom-di-reati-ambientali/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/rapporto-ecomafia-in-italia-e-boom-di-reati-ambientali/#respond Mon, 15 Jul 2024 14:46:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16668 Nel nostro Paese lo scorso anno si sono registrati 35.487 illeciti ambientali, cresciuti del 15,6%. Per un giro d’affari di 8,8 miliardi di euro. Continua a salire la pressione del ciclo illegale del cemento, che si conferma al primo posto tra gli ecoreati. Lo denuncia la trentesima edizione del Rapporto Ecomafia di Legambiente

Di Legambiente. Comunicato dell’11.07.2024

In Italia le ecomafie premono sempre di più sull’acceleratore e fanno affari d’oro. A dimostrarlo è l’aumento dei reati ambientali che nel 2023 salgono a 35.487, registrando +15,6% rispetto al 2022, con una media di 97,2 reati al giorno, 4 ogni ora. Illeciti che si concentrano soprattutto nel Mezzogiorno e in particolare nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa – Campania, Puglia, Sicilia e Calabria – dove si concentra il 43,5% deli illeciti penali, +3,8% rispetto al 2022. Tutto il mercato illegale nella Penisola è valso agli ecomafiosi nel 2023 ben 8,8 miliardi.

A tracciare un quadro di sintesi è il nuovo report di Legambiente “Ecomafia 2024. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia” (edito da Edizioni Ambiente), nel 30esimo anno dalla sua prima pubblicazione, e i cui dati sono stati presentati oggi a Roma. Dati nel complesso preoccupanti: nel 2023 in Italia aumenta anche il numero delle persone denunciate (34.481, +30,6%), così come quello degli arresti (319, +43% rispetto al 2022) e quello dei sequestri (7.152, +19%).

Tra gli illeciti, nella Penisola continua a salire la pressione del ciclo illegale del cemento (13.008 reati, +6,5%), che si conferma sempre al primo posto tra i reati ambientali; ma a preoccupare è soprattutto l’impennata degli illeciti penali nel ciclo dei rifiuti, 9.309, + 66,1% che salgono al secondo posto. Al terzo posto con 6.581 reati la filiera degli illeciti contro gli animali (dal bracconaggio alla pesca illegale, dai traffici di specie protette a quelli di animali da affezione fino agli allevamenti); seguita dagli incendi dolosi, colposi e generici con 3.691 illeciti. Crescono anche i numeri dell’aggressione al patrimonio culturale (642 i furti alle opere d’arte, +58,9% rispetto al 2022) e degli illeciti nelle filiere agroalimentari (45.067 illeciti amministrativi, + 9,1% rispetto al 2022), a cominciare dal caporalato. Sono inoltre 378 i clan mafiosi censiti.

A livello regionale la Campania si conferma al primo posto della classifica con più illeciti ambientali, 4.952 reati, pari al 14% del totale nazionale, seguita da Sicilia (che sale di una posizione rispetto al 2022, con 3.922 reati, +35% rispetto al 2022), Puglia (scesa al terzo posto, con 3.643 illeciti penali, +19,2%) e Calabria (2.912 reati, +31,4%). La Toscana sale dal settimo al quinto posto, seguita dal Lazio. Balza dal quindicesimo al settimo posto la Sardegna. Tra le regioni del Nord, la Lombardia è sempre prima. A livello provinciale, Napoli torna al primo posto, a quota con 1.494 reati, seguita da Avellino (in forte crescita con 1.203 reati, pari al +72,9%) e Bari. Roma scende al quarto posto, con 867 illeciti penali, seguita da Salerno, Palermo, Foggia e Cosenza. La prima provincia del Nord è quella di Venezia, con 662 reati, che si colloca al nono posto ed entra nella classifica delle prime venti province per illegalità ambientale.

Continua l’applicazione della legge 68/2015 sugli ecoreati che nel 2023 ha superato la quota 600, anche se registra un lieve calo rispetto all’anno precedente quando era stata contestata 637 volte. Un calo dovuto al calo dei controlli, passati da 1.559 a 1.405. Il delitto di inquinamento ambientale resta nel 2023 quello più contestato, 111 volte, portando a ben 210 denunce e 21 arresti.

Altro dato riguarda i comuni commissariati che sono attualmente 19.

30 anni di impegno: L’edizione Ecomafia 2024 (dedicata a Massimo Scalia tra i fondatori di Legambiente, presidente delle prime due Commissioni parlamentari d’inchiesta sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti) è un’edizione speciale – con un’illustrazione di copertina realizzata dall’artista Vito Baroncini – arricchita dai contributi di tutte le forze dell’ordine e delle Capitanerie di porto, dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, dell’Ispra e dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf), ma anche di realtà imprenditoriali impegnate ad affermare la legalità nelle loro attività economiche. Tra i temi portati in primo piano anche lo scandalo delle navi a perdere, la morte di Natale De Grazia, il duplice omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, a 30 anni dalla loro uccisione.

Proposte di Legambiente e blitz Goletta Verde: Legambiente chiede al Governo Meloni un impegno serio nella lotta alle ecomafie. Un messaggio che l’associazione ambientalista ha ribadito oggi anche con la sua Goletta Verde, campagna storica che monitora ogni estate lo stato di salute di mare e coste, che al suo ultimo giorno di tappa nel Lazio, ha esposto durante la navigazione lungo le coste laziali lo striscione “No ecomostri, No ecomafielanciando un messaggio a livello nazionale e territoriale.

Quindici le proposte che l’associazione ambientalista indirizza oggi all’Esecutivo per avvicinare il quadro normativo ai principi sanciti in Costituzione, di queste sei sono i pilastri su cui lavorare in maniera prioritaria: 1) Recepire quanto prima la nuova direttiva europea in materia di tutela penale dell’ambiente, approvata dal Parlamento europeo il 27 febbraio 2024, che introduce nuove fattispecie di reato rispetto a quelle già previste dal nostro Codice penale e prevede l’adozione di strategie nazionali contro la criminalità ambientale; 2) Introdurre nel Codice penale i delitti contro le agromafie; 3) Introdurre nel codice penale i delitti contro gli animali; 4) Restituire ai prefetti pieni poteri per la demolizione degli immobili che i Comuni non hanno abbattuto, a partire dall’ultimo condono edilizio; 5) Inasprire le sanzioni contro i reati nel ciclo dei rifiuti; 6) Completare l’approvazione dei decreti attuativi del Sistema nazionale di protezione ambientale e potenziare gli organici delle Agenzie regionali, per garantire controlli adeguati sul Pnrr e sulle Olimpiadi Milano-Cortina 2026.

“In questi tre decenni il Rapporto Ecomafia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente è diventato sempre più un’operaomnia per analizzare i fenomeni criminali legati al business ambientale, grazie anche a contributi istituzionali di rilievo, come dimostra l’edizione 2024. Dalla nostra analisi, emerge però che c’è ancora molto da fare nel nostro Paese, dove continuano a mancare norme importanti, come quelle che dovrebbero semplificare gli abbattimenti degli ecomostri – assegnando ad esempio ai Prefetti l’esecuzione delle ordinanze di demolizione mai eseguite nei decenni passati –, l’inserimento nel Codice penale dei delitti commessi dalle agromafie oppure l’approvazione dei decreti attuativi della legge istitutiva del SNPA per rendere più efficaci i controlli pubblici delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente. Dal Governo Meloni ci aspettiamo un segnale di discontinuità. Serve approvare quanto prima le riforme necessarie per rafforzare le attività di prevenzione e di controllo. Ne gioverebbero molto la salute delle persone, degli ecosistemi, della biodiversità e quella delle imprese sane che continuano ad essere minacciate dalla concorrenza sleale praticata da ecofurbi, ecocriminali ed ecomafiosi”.

“La voce più pesante dell’illegalità legata al ciclo del cemento, come denunciamo ogni anno con forza, e quella dovuta alla miriade di abusi edilizi che viene realizzata nel nostro Paese. Con il decreto “Salva casa” – aggiunge Enrico Fontana, responsabile Osservatorio Ambiente e legalità – a cui Legambiente ha presentato una serie di emendamenti, si corre il rischio di alimentare nuovi abusi. Ma deve preoccupare molto anche la crescita dei reati nella gestione dei rifiuti, con pratiche illegali che minacciano l’economia circolare. Così come seguiremo con attenzione quanto sta accadendo nella raccolta dei Raee (i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), dove diminuisce la quantità di quelli avviati al riciclo e aumentano le esportazioni illegali, verso Asia e Africa. E manterremo sotto osservazione il mercato illecito degli F-gas, i gas refrigeranti, che vede l’Italia tra i paesi più esposti”.

Lotta all’abusivismo. La pressione dell’illegalità resta alta anche sul tema abusivismo edilizio. La conferma arriva anche dai dati ribaditi nella Relazione del 2024 sugli indicatori del Bes (Benessere equo e sostenibile). Soprattutto al Sud, dove si concentra il 48,8% delle nuove costruzioni abusive. Troppo poche, invece, le demolizioni eseguite, anche se non mancano le buone notizie, come quella dell’abbattimento, avvenuto nel dicembre del 2023, di Palazzo Mangeruca, l’ecomostro di Torre Melissa, in provincia di Crotone. In provincia di Catanzaro, a Staletti, invece, le ruspe demolitrici sono entrate in azione contro una delle villette costruite illegalmente su demanio marittimo. In Sicilia prosegue l’incessante lavoro di ripristino della legalità da parte del sindaco di Carini, Giovi Monteleone, con l’abbattimento di immobili, villette, miniappartamenti realizzati abusivamente lungo il litorale.

Consulta qui i dati del Rapporto Ecomafia 2024

È possibile acquistare il Rapporto completo qui

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Pratone di via Teulada: “Il grattacielo è un insulto al paesaggio” http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/pratone-di-via-teulada-il-grattacielo-e-un-insulto-al-paesaggio/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/pratone-di-via-teulada-il-grattacielo-e-un-insulto-al-paesaggio/#respond Mon, 15 Jul 2024 13:41:49 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16665 Prevista la costruzione di un impattante edificio di servizio per il Tribunale di Roma, collocato in un’area protetta, che gode di particolari tutele, accantonando la possibilità di fruire di strutture pubbliche vuote e inutilizzate, negando ai cittadini l’unico spazio verde pianeggiante del territorio

di Italia Nostra Sez. di Roma – Comunicato del 12.07.2024

Al tempo dei romani erano Horti Domitii, vigne e canneti, poi i Prata Neronis. In seguito Prata Sancti Petri e, infine i Prati di Castello. Non ha mai perso tale connotazione il quartiere Prati. Neanche quando, a fine Ottocento iniziarono le edificazioni con la ubicazione delle funzioni amministrative della nuova Capitale d’Italia. A dispetto del reticolo di strade a impianto ortogonale e dei garbati palazzi che, a mano a mano, hanno assorbito fino all’ultimo filo di verde, rivendica la sua esistenza una intatta area pianeggiante, alle pendici della Riserva Naturale di Monte Mario, chiamata dai cittadini parco Teulada, su cui incombe una minaccia: l’edificazione di un impattante edificio di servizio, che andrebbe a costituire la cosiddetta “Cittadella giudiziaria”, in continuità con il discusso Tribunale di piazzale Clodio, con una elevazione di più di venti piani, contendendo il primato alle arroganti torri in zona Eur Castellaccio.

La decisione risale al 2019, anno in cui fu sottoscritta l’intesa tra Ministero della Giustizia, Regione Lazio e Roma Capitale, a cui fecero seguito numerosi atti, contrari all’ennesima violenza al territorio. Mozioni municipali e regionali, audizioni in commissione Trasparenza della Regione Lazio, per approdare a interrogazioni parlamentari e, da ultimo, a mozioni comunali che non hanno avuto seguito, nonostante la manifesta volontà capitolina di procedere a riforestazione di numerosi spazi della Capitale, per combattere le cosiddette “isole di calore”. Atti che, oltre a evidenziare l’inadeguatezza del progetto, che insiste su un’area naturale protetta (Riserva Naturale di Monte Mario) – afferente al sistema dei parchi regionali – che gode di particolari tutele riferite ai beni paesaggistici individuati dal Piano territoriale paesistico della Regione Lazio (PTPR) e che vede la presenza di pregevoli esempi di architettura tra cui Villa Madama, Villa Mazzanti, Villa Mellini osservatorio astronomico su cui passa il Meridiano di Roma e i Casali Strozzi di Giacomo del Duca, allievo di Michelangelo Buonarroti.

Italia Nostra Roma sostiene che l’edificazione della progettata sede nel Parco Teulada, sebbene motivata da comprensibili esigenze di servizio, costituisca una offesa al territorio e il presidente della sezione di Roma Oreste Rutigliano mette in luce l’inspiegabile “silenzio di lustri e l’incapacità di risolvere la contraddittorietà degli atti che hanno portato all’attuale situazione dell’area di piazzale Clodio e via Teulada”. Uno spazio verde e vitale, per il presidente, “che introduce al paesaggio di Monte Mario, da trenta anni parte del Parco regionale, potente simbolo di una città che ha conquistato il titolo di Capitale verde d’Europa e che è al centro di decisioni fatali”. E chiama in causa la politica, mettendo i suoi rappresentanti in guardia dal “fare carta straccia di queste conquiste, perché ciò vorrebbe significare che si intende avviare Roma alla decadenza, di ogni sua conquista vitale”. Cita, a drammatico esempio, la devastazione dei pini e dei grandi alberi, soggetti a violente quanto inspiegabili potature “che ci ha già avviati su questa china”. Infine, si rivolge al primo cittadino con una perentoria esortazione: “Il sindaco esiste? E allora batta un colpo”.

roma@italianostra.org

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“Aree idonee” per pannelli solari e pale eoliche: sicuri di voler festeggiare? http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/aree-idonee-per-pannelli-solari-e-pale-eoliche-sicuri-di-voler-festeggiare/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/aree-idonee-per-pannelli-solari-e-pale-eoliche-sicuri-di-voler-festeggiare/#respond Thu, 11 Jul 2024 22:05:18 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16663 di Paolo Pileri

Tratto da Altreconomia 08.07.2024

È stato pubblicato il decreto governativo che disciplina chi e come debba definire le aree idonee a posizionare pannelli e pale eoliche. Il rischio di iniquità, impatti sociali, ecologici e ambientali e di nuovi consumi di suolo è concreto, osserva il prof. Pileri. Sacrificando le uniche due procedure per arginare il degrado ambientale, a vantaggio di pochi

In diversi festeggiano per il decreto aree idonee del 21 giugno scorso, ovvero il decreto che fissa chi e come deve definire le aree idonee a posizionare pannelli solari e pale eoliche (entrato in vigore lo scorso 4 luglio dopo pubblicazione su gazzetta ufficiale n. 153). Inviterei a valutare bene che cosa sta succedendo perché non mi pare sia tutto oro quel che esce dal cilindro. Ovvio che piace al fronte degli energetici e degli investitori in rinnovabili, ma questo non basta per dire che sia immune dalla produzione di iniquità, di impatti sociali, ecologici e ambientali e che non avvii nuovi consumi di suolo. Spieghiamo il perché, con calma e sempre ricordando a tutte e tutti che le prime e uniche aree idonee sono quelle già asfaltate o costruite, sempre che non siano vincolate paesaggisticamente.

Partiamo dalla definizione di aree idonee che rimane un compito delegato alle Regioni (art. 1, c. 2, pt. a): “le aree in cui è previsto un iter accelerato e agevolato per la costruzione ed esercizio degli impianti a fonti rinnovabili e delle infrastrutture connesse secondo le disposizioni vigenti di cui all’art. 22 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199;”. A parte il fatto che a descrivere le aree è un iter e non la sostanza di cui sono fatte le aree (e questo è già una bizzarria che, peraltro, senza dirlo lascia spazio ad altra bizzarria: le 20 Regioni definiranno 20 idoneità diverse), iniziamo con il dire quanto è ancora doloroso quel rimando ad altra legge (titolo: “Procedure autorizzative specifiche per le aree idonee”), con tanto di imbarazzante problema (che denunciamo da tempo).

“1. La costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili nelle aree idonee sono disciplinati secondo le seguenti disposizioni: a) nei procedimenti di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili su aree idonee, ivi inclusi quelli per l’adozione del provvedimento di Valutazione di impatto ambientale (Via), l’autorità competente in materia paesaggistica si esprime con parere obbligatorio non vincolante. Decorso inutilmente il termine per l’espressione del parere non vincolante, l’amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione; b) i termini delle procedure di autorizzazione per impianti in aree idonee sono ridotti di un terzo. 1-bis. La disciplina di cui al comma 1 si applica anche, ove ricadenti su aree idonee, alle infrastrutture elettriche di connessione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e a quelle necessarie per lo sviluppo della rete elettrica di trasmissione nazionale, qualora strettamente funzionale all’incremento dell’energia producibile da fonti rinnovabili. 1-ter. La disciplina di cui al comma 1 si applica altresì, indipendentemente dalla loro ubicazione, alle infrastrutture elettriche interrate di connessione degli impianti di cui medesimo comma 1”.

In sostanza che si dice? Appena le Regioni avranno deliberato le aree idonee (tra sei mesi, se va bene), per gli impianti fotovoltaici, agrivoltaici ed eolici la Valutazione di impatto ambientale, laddove prevista, varrà come il due di picchevisto che, per decreto, chi dovrà esprimersi parlerà al nulla: il suo parere non sarà vincolante e pure affrettato. Insomma, l’autorità competente lavorerà a vuoto: e allora perché mai dovrà lavorare? A beneficio di chi e di che cosa? Saranno risparmiate dalla Via anche le opere di movimentazione terra per realizzare i tunnel chilometrici per portare i cavi per l’elettricità alle cabine “infrastrutture elettriche interrate di connessione” e/o quelle per raggiungere le cabine di raccolta nazionale. C’è da fare festa? No. Con due decreti sono riusciti ancora a imbavagliare la Valutazione di impatto ambientale e questo non va bene affatto. Le compagini politiche ambientaliste non hanno nulla di cui festeggiare perché accettare che la corsa alle rinnovabili renda legittimo l’azzeramento della Via è semplicemente grave e apre a successive richieste pericolose davanti alle quali sarà ora più difficile dire che non si è d’accordo. Perché non scontare la Via anche ad altre opere “ambientali” come ponti ferroviari sul mare, ecogasdotti, centrali a biomassa, caserme dei carabinieri forestali o, magari pure depositi di rifiuti? 

Via e Valutazione ambientale strategica (Vas) sono sacre e rimangono le uniche due procedure per arginare il degrado ambientale ed è grave decidere di eliminarle/scontarle/zittirle. Sono già oggetto di continuo attacco e molte fatte giusto per farle (specie le Vas). Se addirittura le inertizziamo per decreto, non rimane più nulla per arginare il declino. Semmai il governo attuale avrebbero dovuto moltiplicare gli investimenti così da qualificare meglio e ampliare la rosa dei tecnici nei ministeri preposti a verificare queste Via e Vas. Questo andava fatto, approfittando della grande palestra offerta dalla transizione energetica e dagli extraprofitti che questo mondo incasserà e da cui si sarebbe potuto generare un fondo pubblico per una task force dedicata a Via e Vas. Invece hanno fatto l’esatto contrario: depotenziato lo strumento e non irrobustito i suoi tecnici. C’è poco da essere contenti. Lo saranno forse gli energetici della transizione veloce a qualunque costo (sempre che non facciano pannelli e pali in fianco alle loro case al mare o ai monti). Lo sarà la generazione degli speculatori eco green. Lo saranno quelli del “meglio così che le energie fossili”. Ma chiedete a quanti dovranno cedere le loro terre per ospitare le rinnovabili, se sono contenti come voi. Chiedete a chi si vedrà una pala eolica a due passi da casa.

Ma c’è dell’altro per cui non stare allegri per nulla. Il decreto governativo suggerisce alle Regioni di considerare idonee le “aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica” (art. 7, c. 2, pt. b). Qui ci sono due gravi problemi. Il primo: un’area a cui è assegnata una destinazione urbanistica è, a oggi e al 90%, un suolo completamente libero e spesso in buona salute. Non ha nulla di compromesso solo perché il piano urbanistico ne prevede la trasformazione ad altro uso. Potenzialmente potrebbe addirittura diventare prato o bosco e concorrere ad accrescere la quota di aree da riportare a livello di buona naturalità per il regolamento Ue della “Nature restoration law”. Invece qui, con il solito fare all’italiana, il decreto fa passare la “previsione” di trasformazione per qualcosa che ha già degradato quell’area e quindi, ope legis, decide di salvarla rendendola idonea per impianti fotovoltaici. Scientificamente inaccettabile. Anzi apre a un pericoloso e perverso giochino: si fa una variante di piano trasformando un’area agricola in area logistica e poi si chiede alla Regione di aggiornare la carta delle aree idonee e così si ottiene la possibilità di installare i lucrosi pannelli.

In tutto questo, vi è anche sotto traccia la gravità che a prevalere nelle decisioni di idoneità delle aree sia sempre e solo un criterio amministrativo e non uno ambientale né ecologico. Nel decreto l’idoneità non passa dall’analisi eco-pedologica di suoli: non vedo che cosa ci sia da festeggiare. La seconda cosa tocca il tema dell’equità. Favorendo l’idoneità alle aree previste per logistica o produzione, etc., il decreto sta servendo a un determinato target di investitori privati (peraltro spesso posseduti a loro volta da fondi di investimento e capitali stranieri) una grande possibilità di fare speculazione energetica sui loro terreni che potranno consumare liberamente, pure evitando di mettere i pannelli sui loro tetti. Ci va bene? C’è da festeggiare?

E, per finire, questo decreto non ha fermato ancora il problematico decreto legislativo n. 199 del 2021 (promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili) dove con un colpo di spugna si è deciso che sono aree idonee tutte quelle aree agricole che si trovano entro 500 metri attorno a stabilimenti produttivi (anche capannoni logistici) o impianti industriali o centri commerciali: le hanno chiamate “solar belt” (art. 20). Queste aree continuano a essere idonee fin quando le Regioni non approveranno le loro. Ma a quel punto si troveranno costrette a includerle, pena una pioggia di ricorsi. Non a caso il decreto del governo invita le Regioni proprio a includerle (come infatti dice l’art. 7 c.2 pt. c). E poi, non sottovalutiamo il fatto che, nonostante della necessità di definire le aree idonee si sapesse da un anno, il decreto ha deciso di dare alle Regioni sei mesi per approvare le loro aree idonee (art. 3), pertanto in questo transitorio fioccheranno richieste di solar belt e altre richieste nelle more delle aree idonee.

Stiamo parlando di una quantità enorme di aree agricole che sfuggirà ai criteri di idoneità delle Regioni: quasi quasi in certi casi potrà convenire rilevare un piccolo capannone dismesso per ottenere di diritto una grande area pannellizzabile attorno. Già, perché, se hai un ettaro a magazzino (magari per un solo pacchetto) in mezzo alla campagna arrivi ad “autoidoneizzarti” due ettari attorno e in più potrai usarti i tuoi ettari interni al sedime: bingo. Ovvio che tutto questo è configurabile come una deroga bella e buona ai criteri di idoneità ed è altrettanto ovvio che tutto ciò accelera le speculazioni, con buona pace degli energetici e della loro fretta a passare alle rinnovabili. Prova ne è che in un battibaleno società energetiche italiane e straniere, fondi di investimento e altri soggetti non ben definiti si sono attaccati alle mail di geometri e architetti di campagna promettendo loro lauti guadagni: dai cinquemila ai 60mila euro di compenso solo per fare scouting ovvero per trovare proprietari disponibili a cedere aree papabili per le solar belt e non solo, da presentare a investitori energetici. Visto? Questa è la prova provata di come fare una legge che anziché orientare verso una transizione giusta ed ecologica, ne disegna una facile per le finanziarie che usano le rinnovabili per speculare

In ultimo ricordiamo ancora che nessuno sta sollevando il dubbio che, per come è stata congegnata, l’attuale transizione è di fatto una privatizzazione ante litteram. Quando si raggiungerà la soglia di produzione energetica rinnovabile desiderata, saranno le centinaia di operatori privati (oppure le poche unità, se scopriremo un giorno che si saranno fusi tra loro) ad avere il pieno controllo della produzione di energia per il Paese e potranno spegnere l’interruttore se vorranno. A quel punto lo Stato e gli interessi collettivi usciranno di scena o si troveranno in una posizione assai complessa e certamente più ricattabile. Chi oggi ci sta garantendo che un domani ciò non accadrà? Altro motivo per non festeggiare ma per concentrarsi sul da farsi. 

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità della parte sostanziale di una recente norma della Regione Piemonte http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/la-corte-costituzionale-dichiara-lillegittimita-della-parte-sostanziale-di-una-recente-norma-della-regione-piemonte/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/la-corte-costituzionale-dichiara-lillegittimita-della-parte-sostanziale-di-una-recente-norma-della-regione-piemonte/#respond Tue, 09 Jul 2024 21:12:35 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16661 di Alessandro Mortarino e Federico Sandrone.

Lo scorso 4 luglio la Corte Costituzionale ha formalmente depositato la sua sentenza n. 119/2024 riferita alla Legge regionale del Piemonte 31/5/2022 n. 7 “Norme di semplificazione in materia urbanistica ed edilizia”, decretando in via definitiva una serie di illegittimità costituzionali che stravolgono profondamente le parti sostanziali della norma promulgata dal governo subalpino nello scorso mandato, norma a suo tempo puntualmente contestata dal nostro Forum, che aveva richiesto al Consiglio dei Ministri allora in carica una rapida “impugnazione” avanti alla Corte Costituzionale (poi effettivamente avvenuta).

A distanza di quasi due anni, dunque, una legge regionale davvero inaccettabile viene “rinviata al mittente” creando una serie notevole di problematiche; leggendo attentamente il dispositivo di questa Sentenza – che potete scaricare qui – le “dichiarazioni di illegittimità costituzionale” potrebbero apparire “quantitativamente” contenute, ma la portata dell’intervento della Corte Costituzionale va ben oltre delineando tutte le “qualità negative” (cioè le illegittimità costituzionali) riscontrate, alcune di queste particolarmente “impattanti” e con pesanti implicazioni e ripercussioni, in particolare per coloro che – ignari – si sono fidati delle “rassicurazioni” dell’allora maggioranza in Consiglio regionale, applicando le nuove disposizioni normative che ora sono state “folgorate” dal Supremo Organo dello Stato.

Nell’invitarVi ad analizzare in profondità l’articolazione dell’importante Sentenza, segnaliamo alcune questioni che ci paiono principali:

  • quella di cui al punto 2) del dispositivo della Sentenza che, in sostanza, “folgora” il comma 9 dell’art. 5 della L.R. 16/2018 così come novellato dall’art. 7 della L.R. 7/2022 e pertanto con l’abrogazione di un solo comma, si rende praticamente inapplicabile tutto l’art. 5 della L.R. 16/2018 (inerente gli interventi di ristrutturazione con ampliamenti con bonus percentuali), in quanto è stata eliminata la possibilità di “superare i parametri edilizi e urbanistici previsti dagli strumenti urbanistici e …”. La disposizione, ora folgorata, prevedeva grandissimi (e non giustificabili) ampliamenti degli esistenti immobili, anche fino al 75% del volume o della superficie esistente a cui si potevano addirittura aggiungere gli ampliamenti “una tantum” ammessi dai vigenti P.R.G.C. (solitamente 20-25%), quando invece nella versione precedente (ante giugno 2022) gli ampliamenti ammessi non potevano superare il 20-25% del volume o della superficie esistente. Conseguentemente, l’annullamento di questa disposizione oltre a creare problematiche sulle pratiche rilasciate/in itinere, farà sì che tutti i cittadini piemontesi non possano nemmeno più usufruire di quei piccoli ampliamenti necessari per adeguare le esistenti unità immobiliari (norme esistenti sotto varie forme dall’agosto 2009).
  • quella di cui al punto 4) del dispositivo della Sentenza che “folgora” il comma 7 dell’art. 6 della L.R. 16/2018 così come novellato dall’art. 8 della L.R. 7/2022: anche in questo caso, eliminando la parte in cui si affermava che “il recupero dei sottotetti esistenti è sempre ammesso indipendentemente dagli indici o dai parametri urbanistici ed edilizi previsti dai PRG e …”, si rende molto difficoltoso (quasi impossibile, se non in specifiche e limitate zone) attuare il recupero dei sottotetti. Conseguentemente, anche in questo caso l’annullamento della disposizione oltre a creare problematiche sulle pratiche rilasciate/in itinere, impedirà ad una grande fetta di cittadini piemontesi di poter recuperare gli esistenti sottotetti (norme esistenti sotto varie forme dall’agosto 1998).
  • in ultimo quella di cui al punto 5) del dispositivo della Sentenza che “folgora” le lettere a), b) e c) del comma 1 dell’art. 6 della L.R. 19/1999 così come novellato dall’art. 41 della L.R. 7/2022: in Piemonte non avremmo più alcune disposizioni specifiche (quantitative) per definire le “variazioni essenziali” (e non si potrà certo fare riferimento a quelle previgenti alla L.R. 7/2022), si dovrà quindi fare riferimento a quelle molto più generiche di cui all’art. 32 del D.P.R. 380/2001 e s.m.i., con una conseguente e molto più pesante (e onerosa per il privato) valutazione di alcune difformità edilizie.

Ora sicuramente si aprirà un periodo di incertezza per tutti coloro che nel frattempo hanno utilizzato le disposizioni indicate dalla norma regionale, in quanto le sentenze di incostituzionalità producono effetti retroattivi per i rapporti non ancora conclusi o perfezionati, comportando la “caducazione” fin dall’inizio delle norme e quindi l’illegittimità degli atti emessi sulla base delle disposizioni normative interessate, questo con il solo limite (e conseguente salvezza) degli atti che hanno i cosiddetti “rapporti esauriti”, che si ritiene non congruo affrontare in questa sede.

Tutto questo, con un po’ di buon senso e “visione politica” poteva sicuramente essere evitato; in tempi non sospetti, il 25 luglio 2023, il Coordinamento dei Comitati piemontesi del Forum “Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori”, congiuntamente a Pro Natura Piemonte, Italia Nostra Piemonte e Legambiente Piemonte, aveva inviato al Presidente Cirio, al Vicepresidente Carosso (che aveva in capo la specifica delega), al Presidente della II Commissione Marin e a tutti i Gruppi consiliari, uno specifico documento (che trovate qui) nel quale sono evidenziati in un distinto paragrafo (pagine 4, 5 e 6) gli “effetti e le problematiche” di un’eventuale sentenza di incostituzionalità: ora chi risponderà di tutto questo?

Nel documento inviato lo scorso anno dal Forum, si invitavano il Presidente regionale Cirio, il Vicepresidente Carosso, gli Assessori e i Consiglieri a ponderare con grande attenzione i pericoli connessi al procedere dell’iter secondo la strada tracciata dal Consigliere Valter Marin (Presidente della II Commissione consiliare), ribadendo che, in caso di una declaratoria di incostituzionalità, ognuno avrebbe dovuto ritenersi consapevole delle proprie personali responsabilità e del fatto che eventuali danni creati agli operatori avrebbero comportato inevitabilmente una loro diretta e individuale implicazione erariale, sino alla condizione di essere giudicati passibili dei relativi risarcimenti.

Siamo, almeno a quanto pare, esattamente in questa situazione. E’ certamente poco piacevole da parte del Forum trovarsi ora nella condizione di dover affermare «noi vi avevamo avvisati», ma questa è la cruda realtà.
E le leggi sono leggi, in particolare quelle pronunciate dal “giudice delle leggi” qual è la Corte Costituzionale…

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Milano, studentati extra lusso: la gentrificazione servita agli universitari http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/milano-studentati-extra-lusso-la-gentrificazione-servita-agli-universitari/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/milano-studentati-extra-lusso-la-gentrificazione-servita-agli-universitari/#respond Sun, 07 Jul 2024 15:06:25 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16656 Comunicato stampa dei Comitati Civici Milanesi del 4.07.2024

L’ennesima presa in giro da parte dell’Assessorato alla Casa è uno schiaffo in faccia al diritto allo studio degli studenti fuori sede.

Gli studenti hanno protestato per mesi alloggiati nelle tende davanti al Politecnico contro il caro affitti a Milano e la risposta del Comune non si è fatta attendere.

L’Amministrazione comunale ha concesso a Coima volumetrie in centro città per costruire un villaggio olimpico che dovrebbe ospitare 1.400 atleti olimpici e paraolimpici con un consumo di suolo di 40.000 mq.

Con la promessa di essere riconvertito in studentato, per “un aiuto al diritto allo studio” e per avere “nuovi spazi a prezzi bassi per gli studenti” è stata firmata una convenzione che parrebbe degna delle politiche abitative perpetuate in questi anni.

Stiamo parlando di gentrificazione applicata agli universitari: mini alloggi che vanno da 740 euro per un posto in una stanza doppia a 1.000 euro per una singola con una gestione diretta da parte di Coima assicurata per 30 anni.

Se la notizia fosse confermata, ci chiediamo con che coraggio Coima ha presentato un piano per compensare i circa 40 milioni di extra costi alle autorità competenti (i Ministeri, il Comune e la Regione) dopo che a marzo Cassa Depositi e Prestiti ha investito altri 50 milioni di euro nell’operazione immobiliare.

Oltre al danno pure la beffa. Altro che “uno spazio primario per che diventerà poi un bene restituito alla comunità cittadina”!

Esprimiamo tutta la nostra solidarietà agli studenti fuori sede per questa ennesima presa in giro da parte dell’Assessorato alla Casa già a guida Maran e ci auguriamo che tale convenzione venga immediatamente rivista a favore del diritto allo studio con affitti sostenibili per gli universitari.

Facciamo l’appello

Schierarsi Milano

Movimento Beni Comuni Milano

Rete Ambiente Lombardia

Coordinamento democrazia costituzionale

Che ne sarà di Città Studi

Salviamo Parco Bassini

Lambrate-Rubattino Riparte

ForestaMI e poi DimenticaMI

Comitato Difesa Ambiente Zona 5

Comitato La Goccia

Comitato Milanese Acqua Pubblica

Associazione Parco Piazza D’Armi – Le Giardiniere

Associazione Amici Parco Nord

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Email: facciamolappellocomunicazioni@gmail.com

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Gallarate, un nuovo polo scolastico al posto del bosco di via Curtatone http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/gallarate-un-nuovo-polo-scolatistico-al-posto-del-bosco-di-via-curtatone/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/gallarate-un-nuovo-polo-scolatistico-al-posto-del-bosco-di-via-curtatone/#respond Sun, 07 Jul 2024 14:34:47 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16653 Del Comitato Salviamo gli alberi di Gallarate

DIFENDIAMO IL BOSCO DI VIA CURTATONE E I PLESSI SCOLASTICI ATTUALI DI CASCINETTA E CAJELLO

Ci rivolgiamo all’Amministrazione comunale di Gallarate, alle forze politiche gallaratesi e al Consiglio regionale della Lombardia per esprimere la nostra contrarietà al progetto Grow29 nella sua attuale conformazione. Siamo contrari alla realizzazione di un polo scolastico unico di Cajello-Cascinetta e alla sua collocazione nell’area boschiva di via Curtatone.

Chiediamo invece che i fondi europei stanziati da Regione Lombardia a favore dei progetti di rigenerazione urbana vadano a favore della ristrutturazione, riqualificazione e potenziamento degli edifici scolastici esistenti.

Questo per diverse ragioni di ordine sociale e ambientale:

  • La rigenerazione urbana deve puntare a riqualificare l’esistente per non produrre nuovo consumo di suolo: il progetto del nuovo polo scolastico, al contrario, dismette edifici ancora funzionali e funzionanti per disboscare e consumare suolo
  • Il polo scolastico unico tende ad accentrare le strutture scolastiche e ad allontanarle dai loro naturali fruitori, trasformando Cajello e Cascinetta in quartieri dormitorio, accentuando il rischio di dispersione scolastica soprattutto per i bambini di origine straniera, creando una scuola ghetto con classi pollaio in cui stipare fino a 30 bambini 
  • Il progetto non rispecchia i bisogni dei due quartieri ed è stato calato dall’alto senza un reale coinvolgimento della popolazione dei quartieri interessati

Da un punto di vista ambientale:

  • L’area su cui sorgerà il nuovo polo scolastico è inadatta a ospitare delle scuole perché racchiusa tra autostrada e ferrovia e soggetta a forte inquinamento acustico ed atmosferico
  • La concentrazione di più plessi scolastici in un unico luogo e il dirottare una parte dei bambini su scuole più lontane avrebbe un forte impatto negativo su viabilità, traffico veicolare e inquinamento: l’esatto contrario della mobilità sostenibile e della città dei 15 minuti propugnate a livello europeo
  • Il nuovo polo scolastico sorgerebbe su un’area boschiva che è una preziosa zona cuscinetto che protegge il quartiere e le case popolari da inquinamento acustico ed atmosferico.

Lo stesso parco del Ticino ha chiesto quest’autunno una diversa collocazione per il nuovo polo scolastico per poter preservare quest’area boschiva.

CHIEDIAMO QUINDI:

  • La ristrutturazione e riqualificazione delle scuole esistenti
  • Il mantenimento e la valorizzazione dell’area boschiva di via Curtatone. Questo vero e proprio bosco urbano, il cui valore è stato riconosciuto anche dal Parco del Ticino, non deve essere tagliato né abbandonato al degrado: deve essere messo a disposizione dei due quartieri tra i più poveri di verde pubblico di tutta Gallarate, rendendolo fruibile alla cittadinanza con opportuni interventi. Nell’area sono presenti querce, aceri di montagna, cedri e abeti ed è stata censita la presenza di merli, cinciallegre, picchi rossi maggiori, capinere, cince bigie e cornacchie grigie. Tra i mammiferi è stata registrata la presenza di silvaghi orientali (minilepri). Può diventare un laboratorio didattico all’aria aperta per i bambini del quartiere.
  • Riteniamo che nessuna compensazione possa controbilanciare la perdita di un ecosistema pluridecennalechiediamo che comunque qualsiasi ipotesi di compensazione preveda la trasformazione in area boschiva di aree edificate o edificabili di superficie almeno pari a quella disboscata all’interno del perimetro cittadino. A titolo esemplificativo citiamo la scuola primaria di Cajello (che il progetto Grow29 trasformerebbe in area dismessa senza prefigurare nuove destinazioni), ma anche altre aree dismesse possono e devono essere identificate all’interno del perimetro urbano e rinaturalizzate.

Non ci rassegniamo all’ennesima cementificazione di uno degli ultimi lembi di verde della nostra città e a un progetto contraddittorio con gli obiettivi di coesione sociale, inclusione e sviluppo sostenibile (agenda 2030) sulla base dei quali i fondi europei sono stati assegnati alla nostra città.

Comitato Salviamo gli alberi di Gallarate

13 aprile 2024

SALVIAMO LE NOSTRE SCUOLE DI QUARTIERE, SALVIAMO IL BOSCO DI VIA CURTATONE!

Firma qui la PETIZIONE ON LINE.

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Per contattare il Comitato: salviamoglialberigallarate@gmail.com

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Il Consiglio di Stato con un’esemplare sentenza ripristina i vincoli paesaggistici su Comelico e Valle d’Ansiei http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/il-consiglio-di-stato-con-unesemplare-sentenza-ripristina-i-vincoli-paesaggistici-su-comelico-e-valle-dansiei/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/il-consiglio-di-stato-con-unesemplare-sentenza-ripristina-i-vincoli-paesaggistici-su-comelico-e-valle-dansiei/#respond Sun, 07 Jul 2024 12:58:44 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16650 Di: Giovanna Ceiner (Presidente di Italia Nostra – Sezione di Belluno)

Il Consiglio di Stato con sentenza pubblicata il 21 giugno 2024 ha accolto l’appello con il quale le associazioni ambientaliste Italia Nostra Aps, Mountain Wilderness Aps e Lipu Odv hanno impugnato la sentenza del TAR Veneto n. 1280/2022 che ha accolto i ricorsi riuniti di primo grado dei Comuni di Auronzo, di Comelico Superiore, di Santo Stefano di Cadore, della Provincia di Belluno e della Regione Veneto, volti ad ottenere l’annullamento del Decreto Ministeriale n. 1676 del 2019, n. 1676/2019 recante “Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area alpina compresa tra il Comelico e la Val d’Ansiei, Comuni di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolò di Comelico e Comelico Superiore (BL)”

La decisione del Consiglio di Stato ha ripreso la sentenza della Corte Costituzionale n. 64/2021 che indica nel paesaggio un bene unitario, primario, assoluto, che rientra nell’ unica competenza dello Stato e precede, comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio. Quindi il Consiglio di Stato ha ripristinato l’efficacia dei vincoli paesaggistici e ambientali decisi nel Decreto Ministeriale n. 1676 del 2019 ribadendone la piena legittimità.

Italia Nostra, Mountain Wilderness e LIPU, dopo essersi confrontati con gli avvocati Laura Polonioli e Andrea Reggio d’Aci, in un comunicato congiunto forniranno maggiori informazioni di dettaglio su questa sentenza destinata a fare storia nella difesa dei paesaggi naturali.

Belluno, 21 giugno 2024

La Presidente di Italia Nostra – Sezione di Belluno

Prof.ssa Giovanna Ceiner

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Alpe Devero e Grande Est, con la sentenza del TAR ha perso la natura http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/alpe-devero-e-grande-est-con-la-sentenza-del-tar-ha-perso-la-natura/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/alpe-devero-e-grande-est-con-la-sentenza-del-tar-ha-perso-la-natura/#respond Sun, 07 Jul 2024 05:00:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16658 del Comitato Tutela Devero

Comunicato Stampa del 28.06.2024

La recente sentenza del Tar Piemonte riguardo il ricorso delle associazioni di protezione ambientale contro il percorso ciclo-escursionistico del Grande Est, a seguito dell’accoglimento della richiesta di sospensiva dei lavori e la successiva conferma da parte del Consiglio di Stato, pone interrogativi sul suo esito.

Senza voler entrare nel merito del diritto, sulla trasparenza e partecipazione del pubblico che secondo i giudici non era dovuta, si vorrebbe invece porre l’attenzione su come è stato affrontato l’argomento legislativo europeo, e quindi la Direttiva Habitat.

Nella sentenza, a nostro avviso, è stato sottovalutato il concetto di “effetti cumulativi”, che deve tenere in considerazione l’impatto globale dei molteplici interventi che negli ultimi anni si stanno realizzando nel Sito Natura 2000 ZSC e ZPS “Alpi Veglia e Devero – Monte Giove”. Viene trascurato, inoltre, il cosiddetto principio di precauzione, un cardine della gestione ambientale che impone cautela in assenza di sufficienti dati certi e scientifici. Anche una fondata previsione della futura frequentazione e le conseguenze per le specie presenti sono state trascurate, nonostante queste costituiscano un elemento essenziale, insieme agli habitat, per la valutazione d’incidenza ambientale. Su questi argomenti si esprimono alcuni decenni di giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).

Ad ogni modo non possiamo che prendere atto e rispettare le decisioni dei giudici.

Purtroppo questo fatto porterà conseguenze nei cambiamenti che stanno avvenendo in Devero. La valorizzazione e lo sviluppo non sempre vanno di pari passo con la sostenibilità. L’area del Devero, conosciuta e amata dal turismo per la sua bellezza, naturalità ed equilibrio uomo/natura, viene più o meno velocemente trasformata nella sua fruizione, accessibilità e infrastrutturazione.

Al sig. Sindaco di Baceno, che ci accusa di mancanza di confronto e dialogo, rispondiamo che da parte nostra un tentativo di contatto ci è pure stato, ma in seguito mai siamo stati coinvolti dal comune né contattati dal sindaco su queste importanti decisioni.

Il Comitato Tutela Devero continuerà nel suo impegno nel cercare di allontanare possibili minacce alla bellezza e al fascino di questo angolo di Alpi, a mantenere sotto stretta sorveglianza gli interventi in grado di comprometterne il fragile equilibrio, e a vigilare affinché le leggi e le norme poste a protezione del sito vengano rispettate.

Segui il Comitato Tutela Devero sul sito e la pagina FB

Email: comitatotuteladevero@gmail.com

Foto: Comitato Tutela Devero

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Un Paese fatto a pezzi in nome dell’autonomia differenziata. L’addendum ecologico http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/un-paese-fatto-a-pezzi-in-nome-dellautonomia-differenziata-laddendum-ecologico/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/07/un-paese-fatto-a-pezzi-in-nome-dellautonomia-differenziata-laddendum-ecologico/#comments Sat, 06 Jul 2024 15:59:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16647 di Paolo Pileri da Altreconomia 24.06.2024

Le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario” approvate definitivamente alla Camera trasferiscono anche la competenza sulla tutela degli ecosistemi. La legge prevede che anche per la tutela degli ecosistemi dovranno essere fissati dei Livelli essenziali delle prestazioni. Un meccanismo fatale, denuncia il prof. Paolo Pileri

Se è vero che il diavolo sta nei particolari allora la legge sulla autonomia differenziata è piena di particolari diabolici. Per fare a pezzi l’Italia usa mille modi, non ultimo andando all’attacco di natura, suolo e paesaggio, proprio mentre l’Europa approva la “Nature Restoration Law”. Antonio Cederna avrebbe marchiato tutto ciò con il suo “vandali in casa”.

Torniamo però ai particolari diabolici perché nella tossicità di leggi del genere questi contano e non vanno trascurati. Quelli che a prima vista sembrano piccoli tecnicismi su cui non vale la pena discutere ora, alla prova dei fatti sono potenti crepe che tirano giù tutto e spesso sono proprio loro gli artefici più efficienti del disastro. Come avevamo già denunciato allibiti, alle Regioni sarà trasferita anche la competenza sulla tutela degli ecosistemi, il noto punto s) dell’articolo 117 della Costituzione. La legge ha deciso che anche per la tutela degli ecosistemi dovranno essere fissati dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni (art. 3, c. 3). Ecco la fessura diabolica. Innanzitutto, la parola “prestazione” è di per sé odiosa oggi ma accostata agli ecosistemi diviene un obbrobrio inguardabile che svela l’idea mercenaria della natura nella testa del governo.

Chi ha deciso di applicare i Lep agli ecosistemi non deve aver chiaro che cosa siano e come funzionino. Il più scarso tra gli ecosistemi è titolare di decine di migliaia di “prestazioni”. Di conseguenza, quale tra le tante sarà scelta? Ad esempio, tra le “prestazioni” del suolo, quale sarà considerata essenziale? La capacità d’uso? Il tenore di biodiversità? La permeabilità? Il grado di saturazione? Il livello di salinizzazione? Che cosa? E quale sarà la soglia limite di riferimento? E poi il Lep sarà il medesimo per tutte le Regioni o no? In Lombardia sarà la capacità d’uso dei suoli e in Umbria la biodiversità? Ma poi, la prestazione diabolica di cui si parla sarà prestazione dell’ecosistema verso se stesso o verso noi umani, cronici predoni di natura? Insomma, un bosco avrà buone prestazioni se produrrà buon legno da ardere o da costruzione o se garantirà biodiversità ospitando sempre più specie di uccelli?

Ma le diavolerie non finiscono qui. C’è la patata bollente di chi deciderà i Lep. E come li monitorerà. La legge ne parla all’articolo 3 dove vengono concessi 24 mesi al governo in carica per definire i citati “livelli essenziali”. Le Regioni vengono sentite tramite l’acquisizione di un parere della Conferenza delle Regioni (non si capisce se vincolante o meno. Bizzarro, perché con una mano si vuole l’autonomia delle Regioni, con l’altra non sono le Regioni a decidere: vai a capire). Insomma, a stabilire i Lep saranno i politici della maggioranza di governo. Sempre loro. Non si fa ovviamente alcun cenno al ricorso a esperti, men che meno indipendenti (non sia mai che le cose vadano in direzioni impreviste), che nel caso della tutela degli ecosistemi sarebbero ecologi, naturalisti, forestali, pedologi, entomologi, climatologi, etc. Nessun esperto all’orizzonte, per ora dobbiamo digerire il fatto che i Lep sulla tutela degli ecosistemi saranno decisi da chi non è detto sappia qualcosa di ecosistemi, di suolo, di alberi, di come funziona una frana o un fiume.

Se è questa l’autonomia che volevano c’è solo da disperare, perché con queste premesse poggia i suoi piedi nell’ignoranza ecologica. Altre fessure diaboliche? Il non senso della norma lo ritroviamo nella figura di chi, fondamentale, dovrà monitorare i Lep (articolo 3, comma 4): “l’attività di monitoraggio è svolta dalla Commissione paritetica”. A spiegarci i dettagli diabolici di che cosa sia e come funzioni questa commissione è l’articolo 5. Partiamo dalla sua composizione: “per lo Stato, un rappresentante del ministro per gli Affari regionali e le autonomie, un rappresentante del ministro dell’Economia e delle finanze e un rappresentante per ciascuna delle amministrazioni competenti e, per la Regione, i corrispondenti rappresentanti regionali, oltre a un rappresentante dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) e un rappresentante dell’Unione delle province d’Italia (Upi)”. Ci risiamo. Non solo i Lep sono decisi dai politici della maggioranza al governo, ma sono sempre loro a monitorarli incaricando loro fiduciari.

Controllato e controllore coincidono con perfetto stile antidemocratico e contravvenendo alla regola base di ogni valutazione ambientale, la quale dovrebbe aiutare il decisore a correggersi non a spalleggiarsi l’un l’altro. Con quella formula, addio alla efficacia di qualsiasi Lep. Peraltro, tutti questi politici che si infilano in commissioni tecniche è un’altra contraddizione sonante visto che loro stessi ogni volta che parliamo di suolo, spiegando le questioni scientifiche ed ecologiche, dicono sempre di non essere tecnici. Ma poi quando c’è da presidiare quel che gli interessa, diventano improvvisamente tecnici dentro una commissione. Ma siccome i ravvedimenti e i colpi di coda possono capitare anche tra politici (dagli scilipotisti ai cambiacasacchisti, se ne contano tanti) la legge mette le mani avanti con un altro particolare diabolico funzionale a rendere preventivamente innocui i componenti di quella commissione: “Ai componenti della Commissione paritetica non spettano compensi, indennità, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati”. La conclusione è ovvia: il monitoraggio dei Lep non è cosa che interessa a chi ha pensato scritto e votato il testo di legge sull’autonomia differenziata.

Insomma, andando oltre la lettura dei titoli e prefigurandosi il funzionamento di questa irricevibile legge (chissà se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella la fermerà o la commenterà), anche per la parte relativa alla natura, si può confermare pienamente che ci sono tutte le premesse per il totale asservimento ai bisogni dell’homo oeconomicus. Non c’è nulla che faccia pensare a un corretto approccio ecologico.

La natura è vista tragicamente ed erroneamente per parti distinte (il suolo da una parte, il bosco dall’altra, il campo dall’altra ancora) e già questo è contrario a ogni idea corretta di ecosistema. In più il suo smembramento sul piano geografico-amministrativo, in quanto ogni Regione finirà per definire come (e se) tutelarla, renderà ancor più ‘prestante’ la distruzione, per usare gli stessi loro termini. Francamente non mi risulta che qualcuno sia mai riuscito a dimostrare che una gestione dell’ambiente e della natura per parti differenziate produca una miglior tutela degli ecosistemi e del paesaggio. Né è dato per certo che abbassando di livello amministrativo le tutele, dal centro al livello locale, si ottengano maggiori e più certe garanzie. Non è così e lo abbiamo dimostrato decine di volte attraverso i dati sul consumo di suolo: i piccoli Comuni sono meno efficienti dei grandi; i Comuni più ricchi e grandi continuano a consumare per essere sempre più attrattivi a modo loro (vedi Milano, vedi Bergamo per citare i due sindaci che si sono schierati ai tempi per l’autonomia differenziata).

L’autonomia non è quindi la riforma che aggiusterà qualcosa, ma solo la lama con la quale si squarcerà il Paese. Un’autonomia disegnata da un corpo politico che non ci dà prova di consapevolezza ecologica è, di fatto, la prova che la dissociazione del pensiero politico dall’ecologia diviene un punto di qualità in chi fa politica e non una lacuna davanti alla quale fermarsi. Davvero un disastro davanti al quale però, ancora una volta, non dobbiamo arrenderci, ma anzi alzare la voce e denunciare questa dissoluzione in ogni anfratto della società che frequentiamo. Ognuno può farlo facendo quel che meglio sa fare per dare voce alla natura che non ha voce, disvelando quei particolari diabolici che lo storytelling di forze politiche che nulla hanno a che fare con equità e natura è abilissimo a nascondere. Dobbiamo trovare forme di aggregazione indifferenziata, l’esatto contrario di questa sciagurata autonomia differenziata.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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