città – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Sat, 27 Nov 2021 10:50:19 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.6 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg città – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Rigenerazione urbana: una strategia, non una legge! http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2021/11/rigenerazione-urbana-una-strategia-non-una-legge/ Sat, 27 Nov 2021 10:50:13 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=14932 di Tommaso Dal Bosco.

Ed ecco che, magicamente, dopo essere stato dato per morto, il ddl (sedicente) “rigenerazione urbana” salta nuovamente fuori. Questa volta ad opera del Governo. Ovvio, sta nel programma di riforme a cui l’Italia si è obbligata per ricevere i soldi dall’Europa e, prendere in mano un testo premasticato, è sempre meglio che ripartire da zero.

Ne avevamo analizzato in un primo tempo la versione di iniziativa parlamentare esprimendo qualche perplessità e, in un secondo momento, il pastrocchio dell’unificazione con altri 6 (!) di varia ispirazione sia tematica che politica, in un confronto con uno dei tre relatori (uno in rappresentanza di ciascuna delle componenti della maggioranza di Governo).

La linea da noi adottata fu quella, come AUDIS, di rinunciare ad un approccio emendativo. Non perché ci piaccia chiuderci nella ridotta snob di chi si oppone e basta. Ma perché sembra non esserci un terreno comune di discussione.

Prima bisognerebbe dire cosa si intende fare delle città italiane e dopo si può provare a disegnare degli incentivi anche attraverso strumenti normativi.

Ho più volte dichiarato, anche in sede programmatica, di essere a favore di un’idea radicale della rigenerazione. E che AUDIS per questo debba lavorare. Non possiamo accontentarci di gioire per la riqualificazione di una caserma, per la riappropriazione di un giardinetto o la bonifica di un’area industriale. Queste cose vanno bene a Stoccolma, a Copenhagen o a Zurigo. Sistemi urbani adattivi e funzionanti in cui il buco urbano da sanare è l’eccezione, non la regola. E dove il problema è piuttosto tenere sveglia la socialità anestetizzata dal benessere.

Le nostre città, specie quelle grandi, hanno problemi strutturali relativamente a funzioni urbane basiche come la casa, la mobilità, la scuola, la sanità, lo sport. Oltre a un problema di relazione con i territori circostanti e le aree rurali. Frutto di anni di mancanza di strategie, visioni, di una “agenda” come si dice ora delle città.

Stavamo ancora parlando di algoritmi sempre più sofisticati per perimetrare le aree su cui vogliamo intervenire – perché non ci sono soldi per tutti – e, improvvisamente, il problema diventa un altro: spendere, spendere, spendere.

Di nuovo torniamo alle azioni guidate dall’offerta invece che dalla domanda.

Abbiamo bisogno di una politica pubblica per le città per fare un grande sforzo di riallineamento con le città europee.

Questo presuppone un salto di qualità, prima che infrastrutturale, metodologico. Siamo in una congiuntura globale estremamente favorevole per questo.

Masse enormi (e crescenti) di capitali alla ricerca di progetti con impatto sociale (istruzione, casa, mobilità sostenibile, clima, riduzione delle disuguaglianze di genere), disponibili a rinunciare a una parte di rendimento a patto di contribuire al miglioramento delle condizioni socioeconomiche dei propri territori.

Ci si aspetterebbe dallo Stato una strategia finalizzata ad approfittare di questa straordinaria condizione che potrebbe non durare molto se non si fa qualcosa per stabilizzarla.

Niente di tutto questo si intravede nella proposta di legge dello Stato che, invece, si limita ad ostentare il lessico della sostenibilità anti speculativa come sempre in chiave normativa e vincolistica con lo scopo di scaricare sugli enti locali il peso di perseguirla con una cassetta degli attrezzi vecchia e funzionale solo a risolvere i problemi di responsabilità politiche e amministrative di allocazione della spesa dello Stato.

È di una nuova urbanistica che abbiamo bisogno. Non di una nuova legge urbanistica. Un’urbanistica che abbandoni l’idea presuntuosa che le trasformazioni debbano essere predeterminate e che si organizzi per orientarle verso il bene comune.

Tratto da: http://audis.it/dall-associazione/rigenerazione-urbana-una-strategia-non-una-legge/

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Città e territorio dopo il corona virus http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2020/05/citta-e-territorio-dopo-il-corona-virus/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2020/05/citta-e-territorio-dopo-il-corona-virus/#comments Sun, 10 May 2020 21:17:33 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=13795 di Guido Montanari, docente Politecnico di Torino ed ex assessore.

In questi giorni di ripresa dopo la pausa da epidemia di Corona virus, molti si interrogano sulla città del futuro. La riflessione è necessaria e urgente, ma deve essere svolta con i piedi per terra.
È curioso notare che alcuni sostenitori della città dei grattacieli, ora propongano la città giardino, dispersa nel territorio, come soluzione all’inquinamento e alla insalubrità delle città.

La città dei grattacieli e la città giardino sono due facce della stessa medaglia: espressione dell’incapacità di guardare all’urbanizzazione come fenomeno complesso che mette in gioco salute, ambiente, lavoro, trasporto, residenza, servizi, beni culturali, spazio pubblico e privato.
La città dei grattacieli è affascinante per sfida tecnologica ed estetica, ma è una città disumana, basata sulla difficoltà di relazioni sociali, della mancanza di rapporto con la natura e con i contesti storici. La città giardino è molto bella sulla carta: tante casette nel verde, disposte intorno alla città, ma nei fatti, quando applicata diffusamente, si trasforma nell’incubo delle città americane dove sono necessarie ore e ore di trasporto giornaliero in auto su impressionanti autostrade urbane per raggiungere i luoghi di lavoro (ricordate il film “Un giorno di straordinaria follia”, con Michael Douglas?).

La soluzione è sotto gli occhi di tutti, ma non la vediamo. Non è altro che lo sviluppo urbano storico europeo, articolato in città di medie dimensioni, organizzate in quartieri e in borghi circostanti. Cosa c’è che non ha funzionato? Il fatto che abbiamo forzato questo modello creando un ibrido insediativo senza senso che ha assunto gli aspetti peggiori della città dei grattacieli e della città giardino.

Da un lato abbiamo diffuso la residenza sul territorio (sprawl) con esteso consumo di suolo, dall’altro abbiamo concentrato i servizi di alto rango (scuole, ospedali, centri di ricerca) tralasciando quelli a scala di quartiere e di nuclei minori, dove sono state chiuse strutture sanitarie e socio assistenziali decentrate. Abbiamo costruito enormi centri commerciali nelle periferie delle città, distruggendo il piccolo commercio locale e allontanando i cittadini dai centri storici. Abbiamo incentivato l’uso dell’automobile privata con autostrade e parcheggi urbani, tralasciando il trasporto regionale e interregionale su ferro e il trasporto pubblico locale.

Invertire questi processi non sarà facile, ma si può iniziare a rendere più umano ed efficiente il nostro territorio. Il quartiere e il borgo devono tornare a diventare i nuovi centri urbani. Per esempio ripristinando da subito il legame tra residenza (o luogo di lavoro) e asilo e scuola di quartiere, inoltre aprendo strutture sanitarie intermedie e poi riqualificando spazi pubblici di prossimità (giardini, orti, centri di incontro, piccole case protette per anziani e persone in stato di fragilità, residenze per studenti). Il telelavoro ci ha insegnato che si possono di molto ridurre gli spostamenti. Le attività artigianali, produttive e commerciali piccole e medie a scala di quartiere, messe in forse dalla chiusura dovuta all’epidemia, vanno incentivate.

Muoversi a piedi e in bicicletta deve diventare normale per la maggior parte dei cittadini. Non c’è nulla di utopistico in tutto ciò. Negli anni Sessanta a Torino l’architetto Franco Berlanda ha costruito un quartiere studiato per permettere ai bambini di andare a scuola a piedi, in sicurezza. Tutti i progetti INA Casa del “Piano Fanfani prevedevano ambulatorio e centro civico a scala di quartiere (poi malauguratamente non realizzati). Pedonalizzare piazze e strade, moltiplicare i percorsi in sicurezza per pedoni e ciclisti è possibile a costi contenuti. Da un punto di vista urbanistico è necessario pianificare il territorio in modo multidisciplinare, riaccorpando norme e saperi, riducendo la burocrazia, superando la frammentazione amministrativa e politica a scala locale che ha dimostrato tutta la sua inconsistenza operativa, a fronte della crisi sanitaria.

C’è molto lavoro da fare, ma è possibile concretizzare questa visione di “città giusta”, condivisa, sostenibile e responsabile socialmente, lontana dagli slogan e basata sulla concretezza dei fatti.

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Ripartiamo. Dai borghi… http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2020/04/ripartiamo-dai-borghi/ Wed, 22 Apr 2020 20:23:08 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=13763 Nei giorni scorsi alcuni grandi architetti urbanisti italiani del calibro di Stefano Boeri e Massimiliano Fuksas hanno pubblicamente espresso ragionamenti importanti attorno alla vivibilità delle città alla luce delle restrizioni causate dalla pandemia in corso e al nuovo possibile ruolo dei tanti borghi che caratterizzano il nostro paese. Borghi che, spesso, risultano abbandonati e dunque da salvare.

Il dibattito è aperto e ci piace qui ospitare la visione di Rosanna Mazzia, presidente dell’Associazione Borghi Autentici d’Italia, e di Marco Bussone, presidente dell’Unione nazionale Comuni, Comunità ed Enti montani (Uncem). Entrambi si rivolgono a Stefano Boeri e alla sua proposta di un “grande progetto nazionale” formulata attraverso una intervista pubblicata dal quotidiano “La Repubblica”.

Rosanna Mazzia

Abbiamo letto l’articolo intervista di Brunella Giovara all’Arch. Stefano Boeri apparso il 20 aprile su La Repubblica. Siamo felici del “grande progetto nazionale” che pensa Boeri, e ci proponiamo di collaborare con i nostri 300 Borghi Autentici disseminati in buona parte dell’Italia, perché le nostre Comunità lavorano da anni per farsi trovare pronte. Siamo pronti da sempre all’accoglienza di nuovi residenti, che vogliono contribuire insieme alle comunità dei borghi ad implementare i palcoscenici culturali e sociali di questa Italia vera, interna, tenace e di grande bellezza.

I Borghi italiani sono la spina dorsale del nostro Paese, sono luoghi in cui si vive meglio e diversamente dalle grandi città, a misura d’uomo; sono luoghi del pensiero e della lentezza, quella lentezza che rappresenta la cifra dell’Italia artigianale, dell’agricoltura di qualità, della tutela della biodiversità, del paesaggio sospeso tra città e campagna, tra mare ed entroterra. Sono questi concetti che tuteliamo e diffondiamo come Associazione Borghi Autentici d’Italia da oltre 18 anni, costruendo insieme ai nostri Sindaci e alle nostre Comunità, giorno dopo giorno, le condizioni per migliorare la qualità di vita dei residenti e dei visitatori (per noi Cittadini Temporanei) e per rendere sempre più attraente vivere in questi luoghi spesso periferici.

Solo da qualche anno i borghi italiani sono stati rivalutati, perlopiù come luoghi da visitare per le vacanze e in effetti in numerosissimi borghi non vi sono ancora le condizioni necessarie per decidere di trasferire la propria residenza o il lavoro (proprio quello smart). C’è carenza di infrastrutture tecnologiche come la banda larga o ultralarga, la sanità (anche quella di prossimità) è assente o distante, lo spopolamento, in particolare giovanile, è evidente e spesso per la conformazione dei luoghi l’accessibilità a tutti è complicata se non impossibile. Il rovescio della medaglia è che laddove però si stanno compiendo passi da gigante grazie alla volontà politico amministrativa di valorizzare questo immenso patrimonio che compone l’Italia e che tutti ci invidiano, i risultati si vedono eccome.

I Borghi Autentici, ad esempio, oggi 300 in Italia sono realtà abitate da comunità vivaci, con profonde radici nel territorio, luoghi sinonimo del buon vivere e di una dimensione sociale dolce. Sono Sindaci e comunità locali che decidono di non arrendersi di fronte a un possibile declino ma scelgono di mettere in gioco le proprie risorse per creare nuove opportunità di vita moderna: ricariche per auto elettriche; raccolta differenziata spinta; produzioni agroalimentari di altissima qualità; lotta ai pesticidi; piste ciclabili, cammini, solidarietà intergenerazionale e tanto altro ancora. La pandemia da coronavirus ha minato ovviamente anche queste piccole economie locali come il resto dell’Italia, ma la qualità ambientale che viene strenuamente tutelata dagli amministratori locali e dagli abitanti dei borghi e la disciplina, anche quella autoimposta, hanno fatto sì che ancora una volta i borghi primeggiassero con la loro carica di resilienza e affettività.

Pensare ai borghi come luoghi in cui trasferire la propria residenza certo! Ed occorre farlo con rispetto dei luoghi e delle comunità attualmente residenti, con la voglia di costruire un nuovo progetto di vita migliore e attento a valori divenuti sempre più irrinunciabili: amore per l’ambiente, cura della casa comune, minimizzazione dell’impronta ecologica, sviluppo sostenibile e voglia di comunità.

Grazie per il Suo autorevole intervento che può contribuire in questo momento a che i riflettori rimangano accesi sui borghi italiani.

Marco Bussone

Preg.mo Professor Boeri,

ho letto con molto piacere la Sua analisi su Repubblica di oggi (ieri per chi legge, ndr.), che segue quella dell’architetto Fuksas pubblicata nei giorni scorsi. Mi ha particolarmente colpito il Suo virgolettato nel titolo che richiama quanto da Lei affermato nella risposta alla seconda domanda della giornalista Brunella Giovara. “Via dalle città. Nei borghi c’è il nostro futuro” in sintesi. Una frase, insieme con altre, che un po’ mi ha sorpreso, positivamente, pronunciata da un Architetto e Docente universitario che negli anni si è prettamente occupato di aree urbane, da ripensare, nella logica del risparmio del consumo di suolo, dell’efficienza energetica, di una rifunzionalizzazione degli spazi, di economie circolari che sappiano dare risposte alla crisi climatica. Come ha fatto sgranare gli occhi a me – Presidente di un’Associazione nazionale che riunisce 3.850 Comuni montani per oltre la metà della superficie dell’Italia, 10 milioni di abitanti – sono molti gli Amici con i quali oggi ci siamo scambiati idee, proposte, suggestioni dopo aver letto l’intervista. Degli stessi temi – territori, montagna, borghi, forme di abitare… – abbiamo parlato anche ieri e la scorsa settimana. Pensato e operato. Sono temi per noi fondamentali sin dal 1952, anno di fondazione di Uncem. Non noi certo, ma chi ci ha preceduto alla guida dei Comuni montani e della stessa loro Associazione. Un confronto costante, giorno e notte quasi, per definire percorsi politici, istituzionali, economici, sociali, capaci di essere antidoto all’abbandono, con i Sindaci che hanno sempre provato a dar risposte, lottato consumandosi nel non essere inermi contro lo spopolamento, l’abbandono, l’allontanamento dei servizi e con i diritti di cittadinanza sempre più rarefatti. Ogni giorno il confronto è costante. Con architetti, sociologi, antropologi, imprenditori, politici. Persone che abitano i territori, che li vivono, che li conoscono a fondo e che li hanno a cuore. Proprio come Lei, immagino, Architetto, viste le Sue considerazioni di oggi che apprezzo molto.

Da almeno dieci anni Uncem lavora su piani diversi, che pongano al centro i Comuni, i territori, servizi e sviluppo, nuovi modi di vivere e abitare. E tanto abbiamo lavorato, stiamo lavorando sui borghi alpini e appenninici. Non sempre lo abbiamo fatto bene, sicuramente, e abbiamo anche fatto errori, è chiaro. Dopo decenni di “confinamento” di questi temi ritenuti marginali e poco centrali nel dibattito pubblico, oggi assistiamo a un risveglio di (in) tanti settori. La Strategia nazionale Aree interne che sta investendo 600 milioni di euro su 72 zone pilota italiane, il ritorno del “Fondo nazionale per la Montagna”, le datoriali e le loro nuove “componenti montagna”, Montecitorio che vara quattro articolate mozioni su montagna e borghi, gli Stati generali della Montagna lanciati dal Ministero degli Affari regionali, il Piano banda ultralarga per colmare i divari digitali. E poi i media che accendono i riflettori sui borghi, speciali tv e sui giornali, tanti “Manifesti” che mettono al centro un nuovo “territorialismo” che va oltre i particolarismi e proietta i territori italiani, i mille campanili uniti alle 100 città, in Europa, senza isolarli, senza alcuni municipalismo dannoso o esasperato. Idee, proposte, istanze, per la Politica, per tutti i livelli istituzionali, per l’economia e anche per i suoi “mondi”, per l’Accademia, i centri formativi. Anche le Sue considerazioni sono importati e segnano, in questo cammino, un cambio di passo. Uniamo tutto questo a segnali politici non certo banali, come l’approvazione di una legge nazionale nel 2015 sulla green economy che pone i territori montani luogo nel quale costruire “green communities” e un nuovo approccio ai Beni comuni, poi la legge nazionale sul Terzo settore che esalta le reti e i tessuti connettivi del Paese, proprio nei territori considerati erroneamente margine, la legge 158 del 2017 sui piccoli Comuni che guarda a loro come cuore pulsante del Paese. Segnali, basi sulle quali costruire altri buoni percorsi.

E vengo al motivo centrale per il quale Le scrivo. Cioè fare un Patto. Lei ha una esperienza enorme, visione e lungimiranza, competenze, un curriculum prezioso, è conosciuto nel mondo intero. Non la vogliamo certo “sfruttare”, s’immagini. Anzi. Tutti dicono che Lei appartenga a quelle “Archistar” che tanto possono fare per l’Architettura e per “il progetto”, per i giovani da formare e che lei forma, per una nuova pianificazione e programmazione territoriale nelle quali con Uncem credo profondamente. Il Patto è provare a costruire insieme percorsi. Su un nuovo modo di vivere e abitare, dicevo. Nei borghi da Lei richiamati non servono griffe, o tanti milioni di euro. Servono in primo luogo modelli e progetti, visione. Ascolto degli Enti locali, dei Sindaci, protagonismo delle comunità abitanti. Servono rilancio delle politiche per agricoltura e ripensamento dei modelli turistici. I borghi non sono luna park e non sono tutti disabitati. Tanti, moltissimi sono i ruderi. Il patto può far sì che Lei e altri docenti si coalizzino, guardino ad esempio all’Istituto di Architettura Montana del Politecnico di Torino e quanto fatto dalle reti di architetti o urbanisti, paesaggisti, accademici, che da sempre lavorano nelle aree montane, alpine e appenniniche, non solo italiane. Penso al Voralberg, ai Grigioni. O anche al Premio Constructive Alps che in questi anni ha premiato diversi progetti italiani, realizzati in Comuni-laboratorio, ma “replicabili”. Si va oltre la “bellezza”. Guardi a loro, Architetto. Ai tanti giovani che provano a lavorare con i Sindaci e con le Amministrazioni, fanno innovazione, anche nei borghi. Possiamo usare meglio e più fondi europei per la politica di coesione che dovremo avere proprio per rivitalizzare i nostri borghi alpini e appenninici. Per un Programma operativo nazionale dedicato alla Montagna e alle aree interne. Questa emergenza sanitaria lo impone. Aggiungo: il Suo “bosco verticale” non può non condurci in un patto per ridare valore e gestione attiva a 11 milioni di ettari di foreste che crescono troppo in Italia, invadendo il borgo, mettendo a rischio e in pericolo la vita dei montanari e la loro economia agricola, multifunzionale. Anche per costruire, smettiamo di importare da altrove il materiale che ci serve. Facciamo qui. Vaia, insegna.

Lavoriamo insieme, Professor Boeri, per rafforzare le reti dei servizi. 200 Comuni in Italia, tra quelli che lei enumera su Repubblica di oggi, non hanno più un negozio o un bar. È gravissimo. Altri 500 sono a rischio. Il digital divide distrugge i borghi più del tempo. Insieme a Lei, possiamo spingere sulle Istituzioni per l’accelerazione del Piano banda ultralarga e per nuovi ripetitori che consentano a 1200 Comuni italiani di non registrare più difficoltà a telefonare, mandare messaggi o vedere la tv. Lavoriamo insieme anche per un’azione che porti servizi scolastici, sociali e trasporti di qualità, affinché i territori, i borghi, le zone montane del Paese, non subiscano continui tagli quando i bilanci degli Enti regionali e dello Stato vengono sforbiciati.

Lavoriamo insieme sulla fiscalità differenziata e peculiare per queste aree montane, per chi vive oggi e per chi vuole vivere e fare impresa nei borghi. Un modello fiscale univoco, esistente oggi, non è egualitario, bensì sperequativo. Non va incontro a chi nelle aree montane conduce un negozio di prossimità, unico del paese e si trova a dover pagare le stesse imposte del caffè in piazza San Babila o della catena commerciale in piazza Vittorio Veneto. Dobbiamo agire in fretta su questo. L’emergenza sanitaria impone nuovi modelli economici che non chiedono “alle città e alle aree montane di adottare un borgo”, bensì di trovare soluzioni sussidiarie che evitino che i paesi siano solo più luogo dove rimane chi non sa dove andare o dove si faccia un po’ di turismo del week end, qualche gita, che lascia niente, manco la spesa per un panino.
Negli ultimi vent’anni, questa traiettoria fondata sull’assistenzialismo e sulla lamentazione un po’ si è invertita: tanti borghi, moltissimi paesi sono luoghi di sperimentazione, benessere, innovazione, non solo artistica, culturale, professionale. Nuovi modi di abitare. Nuovi modi di essere Comunità. Perché qui dimostriamo – o ci sforziamo di attuare, meglio – quanto ripete il Santo Padre: “Non ci si salva da soli”, “Senza una visione di insieme, non ci sarà futuro per nessuno”. Dunque non un’adozione ma un nuovo legame tra aree urbane e montane. Dove le prime riconoscono e valorizzano (anche monetariamente) quei servizi ecosistemici-ambientali che la montagna svolge, con le foreste che assorbono Co2 e con il governo dei versanti per la protezione del dissesto assicurando le fonti idriche, ad esempio.

Insieme facciamo tutto questo, Architetto Boeri. Il “day after” si costruisce con le reti. Serie, impegnate, forti e cariche di opportunità. Sempre in dialogo. È il Patto che le propongo, che Uncem chiede a Lei di fare, ad altri Architetti, ai media nel raccontarlo, alle sfere economiche. Per non guardare per caso, nello spazio e nel tempo di un tweet, alle aree montane, ai borghi, alle comunità.

Uncem continua a lavorarci, su tutto questo. Ogni istante, con migliaia di Sindaci e Amministratori chiamati a dare risposte alle Comunità. Siamo Istituzioni in uno Stato che c’è e che non ha dimenticato come è fatto. È per metà Alpi e Appennini. È una maglia intrecciata di borghi e di paesi, di piazze e di campanili. Sono la nostra Essenza. Prendiamocene cura insieme. La Montagna è di tutti, il futuro è un percorso comune. Tutto questo per RiAbitare l’Italia – ci insegna il Suo Collega Antonio De Rossi, con tanti altri Amici – e vincere le sfide del presente. Quelle imposte dal covid-19 e ancor di più quelle della crisi climatica che ci vede “protagonisti”, nell’anticipare le risposte, nelle zone montane, creando opportunità sostenibili e volte a unire, anche Lei e chi lo vorrà in questo prezioso percorso (non solo della Montagna) di Paese.

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I punti deboli del prossimo Congresso INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2013/10/i-punti-deboli-del-prossimo-congresso-inu-istituto-nazionale-di-urbanistica/ Tue, 22 Oct 2013 20:53:11 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=8623 inuPubblichiamo una riflessione pungente di Aldo Vecchi sulle intenzioni del XVIII Congresso INU che si terrà dal 24 al 26 ottobre dal titolo: “Città come motore dello sviluppo del Paese”.

Va comunque ricordato, senza polemica, che il blog “Salviamo il paesaggio – Difendiamo i territori”, ha sempre trattato temi che, direttamente o indirettamente, hanno riguardato aspetti descritti dall’INU (dal consumo di suolo alle infrastrutture, dal Governo del territorio alle politiche urbanistiche, dall’agricoltura all’edilizia).

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Per una distrazione dovuta a disguidi del mio abbonamento alle riviste dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (ed anche perché delle attività dell’INU nessuno parla fuori dell’INU, né i principali quotidiani, né – ad esempio – il mondo di “Salviamo il paesaggio”), stava sfuggendomi l’imminente XXVIII Congresso Nazionale dello stesso INU, che si terrà a Salerno nei giorni 24-26 ottobre p.v. Rischiavo quindi di sprecare energie attorno al congresso del PD, il cui esito sarà di certo rilevante, ma dove si fatica a discutere di questioni importanti (per privilegiare il confronto sulla telegenia dei candidati), trascurando il congresso dell’INU, che invece alcune importanti questioni le affronta, ma che sarà probabilmente irrilevante, sia perché pochi saranno in ascolto, sia perché in  questa fase storica mi sembra limitata l’influenza dell’INU sul comportamento effettivo delle amministrazioni che gestiscono le città e i territori.

La questione più importante che pone l’INU, nel documento introduttivo al 28° Congresso “La città come motore dello sviluppo del Paese”, è la configurazione disorganica raggiunta nel disordinato sviluppo dei territori “metropolizzati” (post-metropolitani?), urbani e peri-urbani, a fronte della consapevolezza che il bisogno e la stessa domanda effettiva di aree da trasformare sia oggi inferiore all’offerta potenziale data dall’insieme delle “porosità” infra-urbane (aree dismesse e aree rurali intercluse).

Da qui la necessità di una prospettiva di consolidamento e valorizzazione dei vuoti, da affiancare ad una virtuosa “rigenerazione” (oltre la “riqualificazione”) di ogni brano della città/non-città esistente, da rendere quanto più possibile “resiliente” ovvero tendenzialmente equilibrato in termini di consumi ed approvvigionamento energetico (ed alimentare?), e di inquinamento/disinquinamento (aria, acqua, suolo, rifiuti), con processi di densificazione mirati e puntuali (non generalizzati), attraverso i luoghi pubblici/sociali e lungo le reti ecologiche ed infrastrutturali,  e con selezione delle aree da riutilizzare, che non ne esclude la riconversione a verde, pubblico od agricolo.

Il tutto condito da una adeguata politica dei trasporti, con priorità ai mezzi pubblici; e da una attenzione al fabbisogno abitativo per le fasce deboli e debolissime (che però attribuisce al solo Campos Venuti l’idea di incentivare la suddivisione degli alloggi troppo grandi per famiglie rimpicciolite). L’insieme mi sembra che suggerisca una visione processuale della pianificazione per “flussi di uso di territori”, rinunciando invece ad una compiutezza formale del disegno urbano complessivo; tale visione ben si collega allo slogan “no al consumo di suolo” e  mi pare ne  superi la pura negatività vincolistica.

A questi contenuti si affianca la riproposizione della strumentazione del congresso di Bologna (“La nuova Legge urbanistica. I principi e le regole”. Bologna, 1995), e cioè:

  • la co-pianificazione tra i comuni e tutti gli altri Enti da coinvolgere
  • lo sdoppiamento tra piano strutturale (invarianti e linee strategiche, non conformative dei diritti edificatori) e piano operativo di breve durata (con decadenza congiunta di edificabilità privata e vincoli di uso pubblico), che l’INU giudica poco o mal attuata dalle Regioni in questi 18 anni (con una visibile insofferenza verso il “federalismo reale”) e che perciò rivendica da una legge quadro statale, che affronti anche il nodo del regime giuridico e fiscale dei suoli (con segnalazione della nuova legge Svizzera sul prelievo fiscale delle rendite urbane).

I punti deboli della lungimirante e ambiziosa piattaforma mi sembra siano soprattutto:

  • la rinnovata apertura di fiducia verso Governo e Parlamento (che francamente – se non sorretta almeno da un qualche sciopero della fame dell’intero gruppo dirigente dell’INU – mi ricorda Charlie Brown al calcio della palla che gli sarà inesorabilmente sottratta da Lucy van Pelt); nel contempo l’INU sembra acquiescente con la soppressione delle Provincie, che cancellerà quasi del tutto quel poco di buono che si è fatto e si potrà fare a scala sovracomunale, al di fuori della speranza nelle aree  metropolitane”;
  • la visione congiunturale della crisi, o almeno del suo aspetto specifico che in Italia colpisce la finanza delle amministrazioni locali, come se si potesse facilmente intravvedere un dopo-crisi migliore e simile al prima, mentre a mio avviso bisogna comunque ragionare in termini nuovi, di  piena consapevolezza della conflittuale conclusione del ciclo affluente del welfare europeo del secondo Novecento (vedi anche  Luciano Gallino “L’attacco allo stato sociale” – Einaudi 2013) e quindi di ricerca degli strumenti (per l’appunto nelle città, che raccolgono popolazioni, produzioni e redditi), per ricostruire dal basso il welfare e la buona occupazione, sia con una adeguata fiscalità immobiliare (e superamento della più generale evasione fiscale), sia con la valorizzazione di tutte le risorse anche non-finanziarie (lavoro, ricerca, volontariato, cooperazione): dare quindi concretezza al titolo del congresso (“la città come motore dello sviluppo del Paese”), che sennò sembra un po’ uno slogan alla Matteo Renzi (CORAGGIO versus Paura/Aruap, ecc.).

A margine rilevo con disagio la scelta dell’INU di trasformare la raccolta di contributi teorici (“call for paper”) in vista del Congresso in una sorta di operazione editoriale per Autori-A-Proprie-Spese (vedi Umberto Eco “Il  pendolo di Foucault” – Bompiani 1988), sottoponendo i testi ad un versamento di 50 o 100 € (come già per il precedente Premio di Letteratura Urbanistica): si specula sul bisogno di pubblicare dei dottorandi e docenti precari?

Aldo Vecchi
(Blog “Relativamente Si“)

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