Expo 2015 – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Thu, 04 Jun 2020 10:17:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.6 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg Expo 2015 – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Milano: ricorso al TAR contro il P.I.I. Mind http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2020/05/milano-ricorso-al-tar-contro-il-p-i-i-mind/ Fri, 15 May 2020 20:59:16 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=13810 di Michele Sacerdoti.

Avviata una iniziativa con cui si richiede un aiuto per la copertura delle elevate spese legali del ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia contro il Programma Integrato di Intervento MIND per l’area – di un milione di metri quadrati – dove si è svolta l’Expo nel 2015 al confine nord-ovest di Milano.

Il Programma, approvato dalla Giunta Comunale all’inizio del 2020, prevede un incredibile consumo di suolo, che prima dell’Expo era in gran parte agricolo (vedi foto al fondo), coprendone il 60% con edifici molto alti, fino a 250 metri di altezza nella parte a sud del Decumano, e destinando a verde solo il 20 % dell’area.

Non sono rispettati il vincolo a parco tematico del 56% dell’area previsto dall’Accordo di Programma approvato dal consiglio comunale nel 2011 insieme a una mozione che chiedeva un’area verde unitaria e il referendum del 2011 che chiedeva di destinare gran parte dell’area a parco agricolo-alimentare come eredità di Expo.

L’Accordo di Programma prevedeva inoltre di destinare il 60% della superficie totale a verde e il 65% a superficie permeabile, obiettivi violati dal P.I.I.

Al posto di un parco verde viene previsto un parco scientifico-tecnologico costituito dagli edifici dell’Ospedale Galeazzi, dello Human Technopole e della Università Statale di Milano con poche aree verdi.

Si costruirà un’area densissima con grattacieli molto alti destinata ad ospitare ogni giorno più di 60.000 persone tra impiegati, ricercatori, personale medico, docenti e studenti.

Il verde è limitato a quello strettissimo lungo il canale perimetrale, ai campi sportivi della Statale, all’area intorno alla Cascina Triulza, all’orto botanico, al verde lungo i viali e tra gli edifici.

Non vi è traccia del grande parco che doveva completare la cintura verde intorno a Milano e non viene dato un contributo al progetto ForestaMI di forestazione di Milano e della sua area metropolitana con 3 milioni di alberi piantati entro il 2030.

In caso di future epidemie come quella attuale del coronavirus il P.I.I. creerà un’area ad alto rischio, con la convivenza di un numero elevato di personale ospedaliero, impiegati, ricercatori e studenti in uno spazio ristretto che condividerebbero servizi e trasporti quotidiani affollati come il treno, la metro e la Circle Line, con difficoltà di raggiungerlo a piedi o in bicicletta data la lontananza dal resto della città. Al primo focolaio andrebbe completamente chiusa.

L’accoglimento del ricorso consentirà di riprogettare l’area dell’Expo diminuendo fortemente la quantità di cemento e rinunciando allo spostamento della Università Statale da Città Studi a Expo, dedicando l’area da essa occupata a parco al servizio delle altre attività.

La scadenza della presentazione del ricorso è l’inizio di giugno 2020.

Il ricorso viene proposto dall’associazione ambientalista Verdi Ambiente e Società rappresentata dall’ avv. Veronica Dini, specializzata in questo tipo di azione legale.

Il ricorso è sostenuto dall’Assemblea Città Studi, costituita da residenti del quartiere, studenti, lavoratori, docenti e studenti della Statale, ricercatori delle Università, CNR e altri centri di ricerca, che si batte da anni contro lo spostamento della Università Statale nell’area Expo e la dequalificazione del quartiere di Città Studi.

L’importo raccolto, anche se non dovesse raggiungere i 10.000 euro, sarà da me versato all’avv. Dini per le spese del ricorso.

Qui trovate tutte le indicazioni per sostenere il ricorso.

Foto aerea dell’area nel 1998
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8 mq al secondo. Salvare l’Italia dall’asfalto e dal cemento http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/04/8-mq-al-secondo-salvare-litalia-dallasfalto-e-dal-cemento/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/04/8-mq-al-secondo-salvare-litalia-dallasfalto-e-dal-cemento/#comments Thu, 17 Apr 2014 21:00:52 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=9568 Copertina Finiguerra

«Otto metri quadrati al secondo è il ritmo con cui viene asfaltata e cementificata la bellezza, la biodiversità, l’agricoltura e la cultura del nostro paese. Un’aggressione silenziosa e costante che ha però trovato in numerose città, paesi e angoli talvolta remoti e nascosti, chi è determinato a contrastarla. Una resistenza al cemento che è urgente allargare a macchia d’olio affinché sempre più cittadini italiani prendano coscienza della gravità e irreversibilità di quanto sta accadendo. Cittadini consapevoli che forse resteranno per sempre una minoranza. Ma la storia, può capitare anche che la facciano le minoranze…».

Inizia così un libro appena pubblicato dalla EMI per la collana Emisferi dedicato al nostro mondo com’è e come lo vorremmo.

L’Autore non ha probabilmente bisogno di particolari presentazioni, perchè si tratta di Domenico Finiguerra, l’ormai “mitico” Sindaco di un piccolo comune dell’hinterland milanese diventato il simbolo di una utopia che diventa realtà, trasformando il percorso di revisione del proprio Piano di Gestione del Territorio (equivalente del Piano Regolatore) in un lungo dibattito partecipato a tutti i cittadini e in un finale apparentemente insolito: la crescita zero urbanistica scelta come opzione per una nuova socialità.

Il Comune è Cassinetta di Lugagnano, il luogo in cui nel gennaio del 2009 è nato il Movimento nazionale Stop al Consumo di Territorio e dove nell’ottobre 2011 ha preso forma il Forum nazionale Salviamo il Paesaggio, a simboleggiare un “metodo” di nuova democrazia applicato alla salvaguardia del territorio come bene comune e a sovranità popolare.

Domenico ora, dopo 10 anni, è un ex Sindaco ma continua ad incarnare le vesti del leader del progresso e della democrazia ambientale e in queste settimane si è impegnato in prima persona, come candidato, per le imminenti elezioni europee, autosospendendosi da ruoli di rappresentanza all’interno dei Movimenti nel pieno rispetto delle semplici regole che suggeriscono la non sovrapponibilità con posizioni interne a schieramenti in momenti elettorali, perchè i Movimenti non sono “di parte” e devono mantenere il massimo dell’equilibrio.

8 mq al secondo” è innanzitutto un atto di amore, un grido profondo che Domenico esprime partendo dalla consapevolezza che nel nostro Paese l’informazione mainstream è riuscita a sedimentare l’idea che «quanti si oppongono alla devastazione del territorio (sia essa una grande opera o una speculazione edilizia) sono degli estremisti e sono diametralmente dall’altra parte rispetto ai «politici delle larghe intese, cioè quelli del fare (a modo loro), che sono invece dei moderati responsabili». La realtà dei fatti ci dice l’esatto contrario. E sono dati scientifici, rilevazioni inconfutabili che devono farci riflettere e concludere con una verità assolutamente capovolta: «i veri moderati di questo paese non sono i costruttori, ma sono proprio i cittadini, gli intellettuali, i comitati che difendono il territorio e che pretendono che il passaggio dell’uomo sulla terra sia lieve e, appunto, moderato. Sono moderati e rispettosi dell’enorme patrimonio che la Costituzione ha deciso di tutelare con il suo art. 9. Moderati e rispettosi delle risorse naturali, paesaggistiche e culturali che dovremmo rimettere nelle mani delle prossime generazioni affinché ne possano trarre beneficio, lontano da gru e betoniere».

I dati su cui riflettere sono ormai ben noti: a fronte di una media dei paesi Ue del 4,3%, in Italia il suolo già impermeabilizzato raggiunge il 7,5% della superficie nazionale. Secondo l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) l’erosione dei terreni liberi e fertili in Italia viaggia ad un ritmo di 8 mq al secondo: 8 mq al secondo, moltiplicati per i secondi di un anno, che sono 31 milioni e 536.000, ci danno 252.288.000 mq. Ovvero oltre 252 kmq.: «un quadratone dal perimetro di 63,2 km: 15,8 ogni lato. Ecco! Quel bel quadratone è la quantità di terra che ogni anno consumiamo in Italia».

Lungo il litorale adriatico l’urbanizzazione è avanzata a un ritmo impressionante: 10 km l’anno. Seconde case, villette, condomini e alberghi hanno ormai sigillato oltre i 2/3 della costa. L’intera fascia costiera misura 1472 km, da Trieste a Santa Maria di Leuca. Nel 1950 era libera per 944 km; oggi è rimasta non urbanizzata per soli 466 km.

«Ma oltre i crudi dati quantitativi, aiuta molto a descrivere il fenomeno l’esperienza personale di ciascuno di noi. Come sono cambiati gli scenari delle nostre passeggiate? Che fine hanno fatto i campi dove eravamo soliti vagabondare nei pomeriggi della nostra adolescenza?» domanda Domenico che ricorda come quelle terre fertili perdute per sempre rappresentino anche l’indebolimento grave della nostra sovranità alimentare: «la superficie agricola utilizzata, negli ultimi 40 anni, è scesa del 28%. Se nel 1991 avevamo un’autonomia alimentare che superava il 92%, in vent’anni l’abbiamo vista costantemente scendere fino a quota 80% (nel 2010). Oggi l’Italia ha un grado di auto-approvvigionamento che ruota attorno ai 4/5 del fabbisogno alimentare. Inoltre l’Italia è il terzo paese in Europa e il quinto nel mondo nella classifica del deficit di suolo. Per garantire i nostri consumi e gestire lo smaltimento dei nostri rifiuti (impronta ecologica) ci servirebbero 61 milioni di ettari di suolo libero. Ce ne mancano 49. Disponiamo infatti di meno di 13 milioni di ettari (ne avevamo 18 milioni nel 1971!). Proseguendo a questo ritmo, saremo sempre più dipendenti dalla produzione di altri paesi e dovremo sempre di più piazzare i nostri rifiuti altrove».

Gli esempi critici non mancano e toccano anche il fenomeno delle terre contaminate, come quelle della “Terra dei Fuochi” e la questione del modello di sviluppo del nostro Paese, ben rappresentata dal dilemma-ricatto cui intere comunità sono state poste di fronte in più di mezzo secolo: l’alternativa tra morire di fame o morire di fumo.

Ma anche il cronico problema del dissesto del territorio causato da alluvioni e frane: «Dal dopoguerra ad oggi i governi che si sono succeduti hanno dovuto far fronte ad oltre 61 miliardi di euro di danni causati dal dissesto idrogeologico. Una media di circa 1 miliardo di euro all’anno. Dal rapporto sul dissesto idrogeologico redatto da Ance e Cresme nel 2012, i comuni a elevata criticità idrogeologica sono 6.631, l’89,1% del totale, per una popolazione potenzialmente a rischio pari a 5,8 milioni di persone. Gli edifici a rischio, invece, sono 4,2 milioni, di cui 3,9 milioni abitazioni e 34.000 capannoni. Numeri da capogiro».

Senza dimenticare il fenomeno dell’abusivismo, “semplice punta dell’iceberg”.

Ma «i nuovi agglomerati urbani, le nuove periferie, le nuove infrastrutture di collegamento (quasi esclusivamente per il trasporto privato), i nuovi piani regolatori che sommati l’uno all’altro hanno dato vita a vere e proprie megalopoli, sono oggi palcoscenici dove i cittadini mettono in scena vite quotidiane anonime sempre più caratterizzate da malessere psicologico. Un malessere che è frutto dell’azione combinata di più fattori: il diffuso senso di incertezza, dovuto in gran parte agli inquietanti scenari futuri che ci consegnano le dinamiche economiche e sociali della globalizzazione finanziaria; gli stili di vita imposti dal modello di sviluppo neoliberista imperniato sulla competitività; la perdita di identità dei territori; la perdita di quel rapporto città-campagna annullato dal prevalere della prima sulla seconda (invasa dallo sprawl) che in passato garantiva l’esistenza di luoghi diversi dall’urbe a pochi minuti dal caos cittadino».

Come uscirne ? Per Domenico la ricetta è una esistenziale lotta per difendere il territorio, carica di valore politico in senso lato. «L’urbanistica e la progettazione degli scenari in cui vivranno i cittadini non è materia che riguarda solo amministratori, esperti, architetti e ambientalisti, ma coinvolge la generalità dei cittadini, il loro diritto a una vita salubre e dignitosa, a un territorio non cementificato».

E questa lotta ha bisogno di «una fitta rete di relazioni tra comunità ambientaliste, comitati, liste civiche, forum e anche alcuni circoli di partito eretici rispetto alle linee ufficiali definite dai vertici che contano».

L’esempio principe di questa lotta esistenziale collettiva è dato dalla nascita del Movimento nazionale Stop al Consumo di Territorio e dalla successiva costituzione del Forum nazionale Salviamo il Paesaggio, un movimento molto anomalo che si nutre di migliaia di iniziative locali, che si ritrova in appuntamenti e conferenze nazionali, che si organizza senza risorse e finanziamenti pubblici, poggiandosi esclusivamente sul lavoro volontario di cittadine e cittadini.
E il Movimento dei cittadini della Val di Susa, i comitati No Expo 2015, l’Associazione dei Comuni Virtuosi, i piccoli municipi che hanno già imitato Cassinetta di Lugagnano sulla strada del “consumo di suolo zero” o cancellando drasticamente ampie superfici di espansione previsti da Piani Urbanistici in vigore e puntualmente non attuati.

Forti dell’allargamento costante di questa già immensa rete di alleati, dalla Fillea Cgil (il più grande sindacato italiano della filiera delle costruzioni) a giuristi attenti alla corretta interpretazione dell’articolo 41 della nostra Costituzione, dell’articolo 3 sul diritto di tutti i cittadini a partecipare all’organizzazione politica, sociale ed economica del paese, delle diverse sentenze del Consiglio di Stato sulla legittimità per un Comune di modificare il proprio Piano Urbanistico senza intaccare pretesi “ius aedificandi”.

E poi urbanisti, architetti, agronomi, ricercatori, pedologi e perfino geometri…

Una lotta esistenziale che appare ancora impari. Ma che, come conclude Domenico, «rispetto a cinque anni fa, quando sotto la neve di Cassinetta di Lugagnano partiva la campagna Stop al Consumo di Territorio, il tema generale sembrerebbe oggi appuntato saldamente nell’agenda della politica italiana. Ma nonostante tutti i segnali di attenzione, piccoli o grandi, che soprattutto il web e i social network ci restituiscono, manca qualcosa. Manca la trasformazione finale e necessaria di questa moltitudine varia di lottatori per la salvaguardia della terra, del paesaggio, dell’ambiente, della biosfera o, come direbbe papa Francesco, del Creato, in un movimento politico d’opinione, che se necessario sappia misurarsi anche nell’arena politica, coltivando il consenso necessario, lavorando affinché, come direbbe Alex Langer, il cambiamento e la conversione ecologica divengano un desiderio dei cittadini, un’esigenza sociale collettiva».

Un libro innanzitutto d’amore, dicevamo. Perchè lo stimolo a procedere sulla strada giusta è soprattutto un atto d’amore.
Grazie, Domenico, per avercelo ricordato !

8 mq al secondo. Salvare l’Italia dall’asfalto e dal cemento. di Domenico Finiguerra, EMI Editrice Missionaria Italiana, 64 pagine, 4,50 euro.

Recensione di Alessandro Mortarino

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Audizione alla Camera per Salviamo il Paesaggio su Expo 2015 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/03/audizione-alla-camera-per-salviamo-il-paesaggio-su-expo-2015/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/03/audizione-alla-camera-per-salviamo-il-paesaggio-su-expo-2015/#comments Tue, 04 Mar 2014 21:57:08 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=9339 logoexpoLa Commissione Agricoltura della Camera dei deputati ha programmato un ciclo di audizioni nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla valorizzazione delle produzioni agroalimentari nazionali con riferimento all’Esposizione universale di Milano 2015.

In tale ambito, il nostro Forum nazionale è stato invitato in audizione mercoledì 5 marzo alle ore 14.30. La nostra delegazione, guidata da Roberta Pascale e da Francesca Rocchi ha ribadito alla commissione agricoltura della Camera la nostra visione, ovvero:

Risulta estremamente contraddittorio, ai nostri occhi, che un evento dedicato ad un tema tanto sensibile e strategico per il nostro futuro sia esso stesso responsabile di un grave scempio per l’agricoltura e quindi per l’argomento stesso che intende trattare. Per realizzare il sito dove si svolgerà Expo 2015 sono stati sacrificati 1,1 milioni di metri quadrati di suoli agricoli fertili. E molti altri milioni di metri quadrati sono stati consumati (o saranno perduti) per realizzare le opere connesse alla realizzazione del sito. Altri suoli fertili spariranno per la realizzazione di opere che effettivamente non sono utili a Expo 2015, ma che sono state messe in cantiere approfittando di ipotizzati collegamenti con l’evento e l’accesso al sito …

Expo 2015 ha bisogno che il Paese operi una grande scelta strategica, e che la operi nei prossimi mesi così da arrivare all’appuntamento del prossimo anno già pronti e sia adeguata a durare anche per il dopo Expo. La grande scelta strategica, lo ribadiamo, è una legge nazionale che fermi il consumo di suolo, senza finte e senza trucchi.

Uno stop al consumo di suolo, subito, è il miglior biglietto da visita per il 2015 e il miglior investimento per le produzioni agroalimentari del nostro Paese…

Ecco il documento integrale proposto ai membri della Commissione nel corso dell’audizione:

expo2015

Contributo del Forum Nazionale “Salviamo il Paesaggio” all’indagine conoscitiva della Commissione Agricoltura della Camera dei deputati sulla valorizzazione delle produzioni agroalimentari nazionali con riferimento all’esposizione universale di Milano 2015

Il tema scelto per l’Expo 2015 (“Nutrire il Pianeta, energia per la vita”) è di straordinaria importanza per il futuro del nostro Paese e della comunità internazionale più in generale.

Secondo uno studio condotto dal Food Climate Research Network, l’intera filiera alimentare nell’Europa dei 25 contribuisce al 31% delle emissioni totali di gas serra. Il cibo è tra le prime cause di inquinamento ambientale. I cambiamenti climatici certificati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change, che mettono a rischio la stessa sopravvivenza del genere umano di qui a meno di 300 anni, sono causati prima di tutto dal nostro modo di “nutrire il Pianeta”. Al contempo, proprio l’agricoltura è il primo settore dell’attività umana a subire (già oggi) le conseguenze disastrose dei cambiamenti climatici che sono già in corso.

D’altro canto, si stima che nel 2050 sul Pianeta vivranno 9 miliardi di persone, da sfamare ogni giorno. E già oggi il sistema alimentare soffre di squilibri assurdi e intollerabili: da un lato 840 milioni di persone soffrono la fame (e gli obiettivi del Millennio, fissati proprio per il 2015, non verranno raggiunti); dall’altro lato si stima che 1,6 miliardi di persone siano obese o sovrappeso.
In mezzo a questo evidente squilibrio nel fondamentale diritto all’accesso al cibo, si colloca – secondo la FAO – una montagna di sprechi, che ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate (!) di derrate alimentari, con le quali si potrebbe sfamare non solo chi oggi non ha accesso adeguato al cibo, ma anche i 2 miliardi di abitanti che si dovrebbero aggiungere a tavola nei prossimi 35 anni. L’Italia fa purtroppo la sua parte: secondo la Coldiretti oltre 10 milioni di tonnellate vanno sprecate ogni anno nel nostro paese, con una perdita economica che ammonta a circa 37 miliardi di euro, cibo che sarebbe sufficiente a nutrire 44 milioni di persone.

Dunque risulta chiaro che parlare di come nutrire il Pianeta in futuro è il tema più importante che riguarda i destini dell’umanità. Se non sapremo modificare radicalmente i nostri sistemi alimentari, il modo in cui produciamo, trasformiamo, distribuiamo e consumiamo cibo, andremo a velocità crescente verso la catastrofe ambientale, economica, sanitaria. Guerre per la terra e per l’acqua saranno all’ordine del giorno e il tema di come nutrire il Pianeta diventerà il primo punto all’ordine del giorno delle agende politiche internazionali.

Per contro, il cambiamento che deve partire necessariamente dal cibo, può contaminare positivamente anche altri settori dell’attività umana: in fondo l’agricoltura funziona a energie rinnovabili da oltre 10 mila anni e nelle culture contadine – nelle culture indigene ancor più – esistono i semi di una straordinaria modernità per coltivare quelle innovazioni necessarie a rendere il cambiamento percorribile e davvero efficace.
Senza dimenticarci che la tutela dei suoli (e la “qualità” dell’agricoltura che scegliamo di praticare) è strettamente collegata alla disponibilità di acqua per la sopravvivenza di tutti noi e che sempre più territori si trovano a dover fronteggiare la crescente carenza di questa risorsa o la sua peggiorata qualità.
Così come non possiamo trascurare il fenomeno del “land grabbing” (in italiano “accaparramento delle terre”), un autentico flagello che sta progressivamente sottraendo alla sovranità di popoli e tribù in ogni parte del mondo le migliori terre fertili, appannaggio ora di multinazionali e Governi.

Il Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio (“Salviamo il paesaggio, Difendiamo i territori”) è una ampia e variegata Rete sociale costituitasi nell’ottobre del 2011 e composta attualmente da 934 organizzazioni (93 associazioni nazionali e 841 tra comitati e realtà locali). Il Forum nasce per definire un percorso in grado di rispondere alle urgenti necessità di arginare il consumo di suolo nel nostro Paese, tutelare le aree libere e agricole, riorientare il mercato immobiliare verso il recupero e il riuso dell’enorme patrimonio edilizio esistente e attualmente sfitto, vuoto o non utilizzato, base essenziale per imprimere nuove energie al comparto italiano dell’edilizia in un momento di così forte contrazione. Il Forum sviluppa la sua azione unendo le attese e le competenze di tutte le organizzazioni ambientaliste nazionali, di centinaia di gruppi e comitati locali, di associazioni fra enti locali (Associazione Comuni Virtuosi, Rete del Nuovo Municipio, Associazione dei Borghi Autentici d’Italia, Rete dei Comuni Solidali, Associazione Città del Vino, Città Slow ecc.), di urbanisti e architetti, ingegneri, geometri, agronomi, associazioni agricole di ogni dimensione, organizzazioni turistico-ricreative come il Touring Club Italiano o l’Arci, soggetti attivi nel campo dell’altra economia.

Ci pare utile ricordare, in estrema sintesi, i dati che recentemente l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) ha ufficialmente presentato e che riteniamo mostri l’assoluta drammaticità della situazione: negli ultimi anni il consumo di suolo in Italia è cresciuto ad una media di circa 8 metri quadrati al secondo, ogni ora spariscono 2,8 ettari. Ogni giorno, a mezzanotte, se ne sono andati per sempre quasi 70 ettari. E questo capita per 365 giorni all’anno da oltre cinquant’anni, per la precisione dal 1956. La media europea di terreni cementificati è del 2,3% mentre 14 regioni su 20, in Italia, superano abbondantemente la soglia del 5%e alcune quella del 10%!

E ci pare doveroso aggiungere che il nostro Forum è già stato audito alla Camera dei Deputati dalle commissioni congiunte Agricoltura e Ambiente il 29 Ottobre 2013 proprio sul tema del contenimento del consumo di suolo e dei disegni di legge in discussione su questo tema per noi così centrale. Proprio in queste settimane abbiamo messo a punto un documento che contiene una nostra specifica serie di contributi in merito al DdL approvato nel dicembre scorso dal Consiglio dei Ministri, proponendo in primo luogo di modificare anche l’approccio sintattico all’emergenza del consumo di suolo e denominare più opportunamente in “Progressiva riduzione” ciò che oggi viene timidamente chiamato “contenimento”. In piena sintonia con gli enunciati degli stessi articoli del DdL, che intendono allineare le politiche del nostro Paese agli orientamenti espressi dalla Unione europea e alla roadmap da essa suggerita a tutti gli Stati membri per giungere al “consumo netto zero di suolo/territorio” entro il 2050.

Risulta pertanto estremamente contraddittorio, ai nostri occhi, che un evento dedicato ad un tema tanto sensibile e strategico per il nostro futuro sia esso stesso responsabile di un grave scempio per l’agricoltura e quindi per l’argomento stesso che intende trattare. Per realizzare il sito dove si svolgerà Expo 2015 sono stati sacrificati 1,1 milioni di metri quadrati di suoli agricoli fertili. E molti altri milioni di metri quadrati sono stati consumati (o saranno perduti) per realizzare le opere connesse alla realizzazione del sito. Altri suoli fertili spariranno per la realizzazione di opere che effettivamente non sono utili a Expo 2015, ma che sono state messe in cantiere approfittando di ipotizzati collegamenti con l’evento e l’accesso al sito.
Tutto questo avviene senza che vi sia stato il benché minimo dibattito sull’opportunità o meno di sacrificare queste enormi porzioni di territorio (in un Paese e in una Regione già pesantemente martoriati sotto questo punto di vista): esisteva un sito alternativo per ospitare l’Expo, a zero consumo di suolo ? Tutte le opere connesse sono davvero necessarie all’evento ? E ancora: saranno necessarie dopo l’evento ? Vi è un piano di compensazioni che – pur non sanando la grave ferita inferta a una risorsa NON rinnovabile quale è il suolo fertile – riesca almeno a ridimensionare l’impatto ambientale favorendo, ad esempio, una politica di zero consumo di suolo in Lombardia negli anni a venire ?

Non siamo riusciti a trovare alcuna risposta a questi nostri quesiti e non possiamo immaginare come si possa affrontare un evento così importante, di cui riconosciamo lo straordinario potenziale “politico-culturale”, senza aver minimamente considerato l’evidente cortocircuito generato dalla immensa distruzione di suoli agricoli.

Riteniamo che il Paese debba ancora avere la forza di affrontare questi quesiti per cercare, almeno, qualche parziale risposta, per non negare l’evidenza dei fatti che denunciamo e operare nella direzione di assumere alcuni impegni di segno opposto (e coerenti, davvero, con il tema “Nutrire il Pianeta”). Il problema del consumo di suolo agricolo fertile, di distruzione dei paesaggi e dei territori da cui provengono quelle produzioni agroalimentari nazionali che sono oggetto della indagine conoscitiva di questa commissione, è un problema che riguarda tutta l’Italia.
L’Italia è un Paese unico al mondo per storia, collocazione geografica, clima, ambiente, territori, cultura. L’irripetibile mix che si è creato tra tutti questi elementi ha generato nel corso di secoli un patrimonio straordinario di biodiversità: razze animali, specie vegetali, prodotti, mestieri e saperi che costituiscono oggi la più evidente e conosciuta nozione di made in Italy. Grazie alla nostra cultura del cibo, all’immagine che il cibo italiano ha nel mondo, creiamo economia e lavoro non solo nel settore agroalimentare ma anche in quello turistico e trainiamo anche altri settori collegati in parte o per niente con il cibo.
Grazie al cibo italiano si vendono le macchine imbottigliatrici di cui siamo tra i migliori produttori al mondo ma si vendono anche le scarpe che richiamano sempre a quel gusto italiano che nella nostra cultura alimentare (nei territori dove nascono i nostri cibi) ha le proprie radici.

Non è (solo) da ambientalisti dire che se distruggiamo i suoli fertili miniamo alla base il nostro Paese: è da economisti! Quale imprenditore al mondo farebbe scempio dei propri fattori produttivi pensando di continuare a fare reddito? Ovviamente nessuno! L’Italia invece lo fa tutti i giorni: devasta il primo fattore produttivo (il suolo fertile) del suo principale settore economico (l’agroalimentare). Vogliamo presentarci a Expo 2015 con queste credenziali? Quale credibilità avremo di fronte al mondo, aprendo porte e finestre di casa nostra per mostrare che il Re è nudo?

Anche in questo caso, c’è ancora tempo per provare a porre qualche rimedio.
Expo 2015, nel pieno e rigoroso rispetto del tema che propone (alto e nobile, lo ripetiamo), deve diventare l’occasione per una radicale conversione delle politiche di sviluppo del nostro Paese. A partire dal cibo, come già dicevamo in precedenza.
Abbiamo intuito, scegliendolo come tema per l’esposizione universale, che il cibo è strategico nel futuro del Pianeta. Sappiamo di avere grande credibilità come produttori di qualità. Sappiamo di poter usare questa credibilità per guadagnare un ruolo strategico nel consesso internazionale, sui temi di agricoltura, alimentazione e ambiente che sono – più di ogni altro – i temi su cui si giocheranno gli equilibri nello scacchiere internazionale del futuro. E’ il momento di agire di conseguenza all’interno del nostro Paese: arrestare il consumo di suolo deve essere la prima e fondamentale scelta strategica che l’Italia adotta in vista di Expo 2015, pensando soprattutto al dopo Expo, al futuro del Paese.

Crediamo altresì che Expo 2015 debba essere il veicolo di un messaggio inequivocabile e straordinario riguardo al metodo di impiego e di utilizzo delle risorse. Un messaggio che deve trovare immediata corrispondenza nell’evento stesso: su un pianeta in cui oltre un terzo del cibo è buttato via, in un Expo il cui slogan è “Nutrire il Pianeta”, nemmeno una goccia di acqua deve essere sprecata, ogni materiale utilizzato deve essere riciclato e meno che mai deve essere sprecato il cibo che sarà esibito e somministrato.

Auspichiamo che a fianco di questa prima mossa, indispensabile come la prima tessera di un domino, si affianchi una iniziativa volta a diffondere in tutti i territori del Paese una approfondita, articolata e partecipata riflessione attorno al tema di  Expo 2015.
Ogni territorio del nostro Paese deve discutere di come “nutrire se’ stesso” in futuro: come nutrire la Lomellina, come nutrire l’Irpinia, come nutrire il Sulcis. Quale modello alimentare vogliamo per il nostro futuro? Per ridurre gli impatti sull’ambiente, per coltivare la biodiversità, per ridurre l’obesità e combattere la malnutrizione, per migliorare ambiente e paesaggio sui territori, per creare nuova e più diffusa ricchezza. Come possiamo (ri)costruire la sovranità alimentare dei singoli territori e del Paese nel suo insieme?
Avviare e alimentare una grande discussione su questi temi è la scintilla che può accendere tanti piccoli fuochi: iniziative di recupero di produzioni abbandonate o a rischio di scomparire, rigenerazione di settori produttivi locali in difficoltà, creazione di nuovo lavoro, generazione di forme innovative (o recupero e modernizzazione di forme tradizionali) di distribuzione, riflessione sulle interazioni tra i sistemi alimentari e l’ambiente, la cultura, la società, eccetera.

Chi considera l’Expo una sorta di grande fiera del made in Italy alimentare (o, peggio, un grande luna park del cibo) resterà deluso perché – se quella sarà l’idea che daremo al mondo dell’evento – non potrà che constatare un clamoroso fallimento, le cui conseguenze saranno molto pesanti e non solo per il territorio lombardo.
Chi invece vede nell’Expo una grande opportunità di cambiamento, da usare come leva per muovere ciò che altrimenti sarebbe stato difficile muovere, potrà contribuire a fare sì che l’Italia celebri l’Expo in ogni territorio, coltivando e curando le proprie produzioni anche senza metterle in vetrina nel sito di Expo.
Se davvero saremo capaci di attrarre molti visitatori (e se anche dopo Expo sapremo mantenere vivo questo flusso di visitatori), sarà solo portandoli sui territori – specie in quelli più marginali – che potremo davvero fare di questo Expo un fattore capace di incidere in maniera positiva e duratura sull’economia del Paese. In vista del 2015 dobbiamo organizzarci per riportare al centro gli asset strategici di questo settore (suolo fertile, semi, saperi tradizionali, biodiversità, acqua, per citare i principali).

In conclusione: Expo 2015 ha bisogno che il Paese operi una grande scelta strategica, e che la operi nei prossimi mesi così da arrivare all’appuntamento del prossimo anno già pronti e sia adeguata a durare anche per il dopo Expo. La grande scelta strategica, lo ribadiamo, è una legge nazionale che fermi il consumo di suolo, senza finte e senza trucchi. Uno stop al consumo di suolo, subito, è il miglior biglietto da visita per il 2015 e il miglior investimento per le produzioni agroalimentari del nostro Paese.

Per Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio
I componenti della delegazione audita dalla Commissioni Agricoltura della Camera 5 Marzo 2014
Roberta Pascali
Francesca Rocchi

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http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/03/audizione-alla-camera-per-salviamo-il-paesaggio-su-expo-2015/feed/ 7
Parco delle Brughiere dell’Altomilanese: un anno di storia della proposta del nuovo parco regionale agro-paesaggistico http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/02/parco-delle-brughiere-dellaltomilanese-un-anno-di-storia-della-proposta-del-nuovo-parco-regionale-agro-paesaggistico/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/02/parco-delle-brughiere-dellaltomilanese-un-anno-di-storia-della-proposta-del-nuovo-parco-regionale-agro-paesaggistico/#comments Sun, 23 Feb 2014 19:53:58 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=9242 parco-plisDa circa un anno i Comitati di Salviamo il Paesaggio di Inveruno e di Olona Bozzente Lura propongono la realizzazione di un nuovo Parco Regionale agro-paesaggistico (Ente di Diritto Pubblico), individuando in questo il miglior strumento di programmazione territoriale attualmente praticabile, una infrastruttura verde a servizio delle comunità che vi abitano.

Perché?

Il territorio a est del Ticino, a nord-ovest di Milano, intorno al Villoresi, ha subìto negli ultimi ventanni un estensivo processo di urbanizzazione le cui cause risiedono nel termine anglosassone ‘sprawl’ : fuga dalle città, realizzazione di estesi sobborghi oltre le periferie, espulsione di attività (fabbriche, uffici, centri commerciali) ovunque arrivi una strada, speculazione immobiliare con creazione di manufatti edilizi (case, capannoni industriali) che occupano gli spazi liberi rimanendo vuoti e disabitati in attesa di futuribili valorizzazioni, una miriade di cave estrattive a ‘servizio’ di tali attività.

Il Canale Villoresi, costruito alla fine del XIX secolo per irrigare un terreno arido e poco produttivo, può essere visto anche come linea di demarcazione rispetto al processo di industrializzazione del XX secolo: a nord le fabbriche metalmeccaniche, le fonderie, le cromerie della valle del torrente Arnetta, le cartiere e l’industria chimica della valle del fiume Olona, il tessile e le tintorie, l’asse del Sempione; a sud: gli scarichi industriali e urbani , le centrali termoelettriche, le raffinerie, gli inceneritori, le discariche. Le scelte operate dai ‘poteri forti’ in questa zona, negli ultimi 50 anni hanno certamente creato un benessere economico diffuso alla popolazione residente (‘la Manchester d’Italia’), ma il territorio è stato complessivamente svalorizzato e predato di risorse non ripristinabili.

Oltre alle aree industriali dismesse e la mancanza di lavoro, la de-industrializzazione ci lascia un elevato livello di inquinamento di aria, acqua e suolo e l’aumento di patologie legate al degrado ambientale.

In questo territorio tra i più industrializzati d’Italia, e ora il più de-industrializzato, non si intravvede una progettualità politica per un nuovo sviluppo economico e sociale, ma in compenso sono molte le progettualità sovra locali che a breve lo interesseranno in modo massiccio e che lo vedono ancora inerte spettatore e non protagonista del cambiamento. Primo fra tutti l’EXPO2015 , che verrà realizzato a ridosso e in parte all’interno del territorio di riferimento, ma che non vede alcun progetto locale organicamente inserito ; la realizzazione della Città Metropolitana di Milano che avrà per legge i confini della Provincia stessa e funzioni di programmazione territoriale; il Piano Regionale per le Aree Protette (PRAP), la Rete Ecologica Regionale (RER), le Linee guida per la valorizzazione delle funzioni di connessione ecologica dell’agricoltura in corrispondenza della RER lombarda, il Piano Paesaggistico inserito nel Piano Territoriale Regionale; le nuove infrastrutture viabilistiche e trasportistiche come la Pedemontana o il Masterplan di Malpensa.

Tutti questi aspetti ci hanno sempre più convinti della necessità impellente di una proposta organica di valorizzazione di un bio-territorio vasto, differenziato nelle sue diverse aree, ma omogeneo sia per gli aspetti ecologici che socioculturali e altrimenti destinato ad un irreversibile declino ai ‘confini dell’impero’. Valorizzarne la bellezza creando sinergie e non opportunismi, evitando la frammentazione e superando i localismi, ci permette di credere ancora che la terra sia un Bene Comune e non una risorsa a esclusivo beneficio e interesse dei pochi che speculano sul nostro futuro e su quello dei nostri figli.

Come?

Da circa un anno proponiamo quindi la realizzazione di un nuovo Parco Regionale agro-paesaggistico (Ente di Diritto Pubblico), individuando in questo il miglior strumento di programmazione territoriale attualmente praticabile.
L’area del nuovo Parco Regionale, che abbiamo inizialmente denominato PLISPlus proprio per enfatizzarne la costruzione a partire dalle aree protette esistenti, è ragionevole che abbia i confini ovest-sud-est delimitati da 3 parchi regionali : a ovest il Parco Lombardo della Valle del Ticino, a sud il Parco Sud Milano, a est il Parco delle Groane; per quanto riguarda il confine nord, recependo la validità e le opportunità dei pareri che ci sono pervenuti, una possibile linea di confine ‘artificiale’ è data dal tracciato dell’autostrada Pedemontana (in costruzione), nella sua tratta più a ovest, ma anche dal Parco Regionale della Pineta di Appiano Gentile e Tradate.

In questo modo, in un’area complessiva di oltre 38.000 ha di Parco Regionale, verrebbero ricompresi : 42 Comuni, 2 Province (Milano e Varese o la Provincia di Varese e la Città Metropolitana di Milano), 11 PLIS (1 in fase di riconoscimento) per complessivi 7.800 ha circa, 1 Riserva naturale (Bosco WWF di Vanzago).  In prospettiva, l’insieme delle attuali superfici dei PLIS e il Bosco WWF di Vanzago (200 ha) potrebbero essere riconosciute come Parco Naturale all’interno del Parco Regionale. Un ulteriore ampliamento del perimetro proposto potrebbe interessare i Comuni di Fenegrò, Limido Comasco, Lomazzo, Mozzate e Turate, in Provincia di Como. Questi Comuni insieme a Cislago stanno infatti proponendo un nuovo PLIS (‘Parco Agricolo Prealpino’) al fine di salvaguardare un territorio prevalentemente agricolo , limitrofo al tracciato della Pedemontana.

La perimetrazione del nuovo parco corrisponderebbe a quello che comunemente viene individuato come il territorio dell’ “Altomilanese” e la caratteristica geomorfologica comune della brughiera è testimoniata anche dai rilievi storici individuati nella ricerca preliminare (contea della Burgarìa). Questi due aspetti possono venire sottolineati nel nuovo nome che proponiamo:  PARCO DELLE BRUGHIERE DELL’ALTOMILANESE,  considerabile come parco di cintura metropolitana, la cui istituzione e gestione è regolamentata dalla LR n.12/ 4 agosto 2011.

Oltre alla salvaguardia e tutela dei beni ambientali e naturalistici , le finalità del Parco saranno quelle di riportare ad un ruolo centrale l’agricoltura , sia per le attività agro-silvo-colturali, che per tutte le funzioni annesse e derivate. Il nuovo Ente Parco dovrà divenire il motore di cambiamento dell’area rispetto alla tutela e lo sviluppo agricolo con la promozione di una nuova e diversa imprenditoria, alla valorizzazione turistica, allo sviluppo dell’industria agroalimentare, alla predisposizione di piani e interventi per l’ autonomia energetica e la gestione rifiuti (anche in termini ‘zero waste’), alla bioedilizia e per i trasporti , viabilità e mobilità sostenibile.

Le risposte

La proposta, sotto l’egida del Movimento Salviamo il Paesaggio, è stata presentata e discussa in numerosi incontri pubblici, aperti a tutta la popolazione e alle Istituzioni, organizzati nei diversi paesi da persone, gruppi, associazioni, comitati, che condividevano l’idea e la volevano divulgare e discutere. Sono stati incontrati anche organizzazioni di categoria, partiti politici, sindacati, singoli cittadini. Perché “…mai come oggi è necessario ripartire dalle realtà che viviamo e dare senso a quel ‘passare da comunità governate perché hanno delegato in bianco, a comunità che si governano perché partecipano alla vita comune’ , che sanno tornare a parlarsi e pesare sulle scelte dei livelli superiori“ (O.Magni, La città possibile, n.18/primavera 2013).

In tanti hanno colto l’intrinseca importanza della proposta, accogliendola come una sorta di ‘uovo di Colombo’; molti hanno condiviso la necessità del superamento del PLIS come strumento di tutela ambientale e concordato con l‘istituzione di un nuovo Parco Regionale quale migliore strumento di difesa all’aggressione del territorio.

Le perplessità riguardavano soprattutto la discrepanza rispetto alla percezione di un territorio ormai eccessivamente urbanizzato / degradato e la sua trasformazione in parco: naturalità insufficiente, mancanza di un elemento naturalistico unificante (un fiume, una montagna, etc), eccessiva ‘diversità’ delle aree interessate.

Da questi confronti è anche risultata subito chiara l’ambivalenza della percezione dei confini del territorio di riferimento: da una parte, la difesa del proprio ‘particulare’ cioè il proprio paese, la propria buona pratica e esperienza, il PLIS a cui si tiene; dall’altra, l’inadeguatezza dei confini amministrativi quando si ragiona in termini di bioterritori o bioregioni.
Gli amministratori locali sono apparsi in genere abbastanza interessati alla proposta, ma perplessi rispetto al veicolarla ad altre Amministrazioni : agendo ‘extraterritorialmente’ si rischia un’accusa di lesa maestà a cui nessuno vuole sottoporsi..; al massimo si può pensare a collegamenti funzionali di situazioni esistenti (es 2 o 3 PLIS) o il loro ampliamento e valorizzazione , secondo logiche di influenza politica o appartenenze .

L’idea che un parco possa divenire un motore di cambiamento e reindirizzare lo sviluppo sociale ed economico di una grande area, dell’intero Altomilanese, è stata poco percepita e condivisa perché ciò richiede, a nostro parere, una cultura politica di sostenibilità ambientale che superi i consolidati schemi conformistici di un ambientalismo di facciata o di opposizione.

Le infinite difficoltà nel trovare accordi tra tante istituzioni (comuni, province, regione) e le incertezze riguardo alla reale efficienza dei Parchi Regionali rispetto alla tutela ambientale e lo sviluppo economico dell’area, sono state le principali problematiche che abbiamo sottoposto ai referenti politici incontrati (provinciali, regionali, nazionali) : sin ora nessuna risposta, nessuna idea, nessuna azione. Grazie da tutto l’Altomilanese.

Il futuro

Noi crediamo che sia una sfida entusiasmante istituire un nuovo parco regionale in questa travagliata zona di Italia settentrionale, ampliandone la funzione da mero strumento di tutela ambientale a strumento di riprogrammazione sostenibile di un bio-territorio , abitato da oltre 600.000 persone; sfida che comprende l’idea di ridare identità territoriale a un popolo affinchè possa riappropriarsi della sua storia e autodeterminare il proprio futuro.
Quindi continueremo a diffondere l’idea, spiegandola alla gente nel dettaglio e cercando di creare in questo modo un movimento di opinione ampio e diffuso. Ma pensiamo anche che sia giunto il momento di mettere di fronte alle proprie responsabilità politiche chi già ha facoltà di operare all’interno delle Istituzioni e chi vorrà tentare di farlo con le prossime elezioni : vogliamo elaborare una piattaforma ambientale dell’Altomilanese in cui vengano rappresentate tutte le istanze portate avanti dai Cittadini del territorio. Entro marzo, con la partecipazione di tutti i comitati, le associazioni, i singoli cittadini, il documento sarà pronto per essere presentato.

PERCHE’ IL NORD-OVEST MILANESE HA DEI BI-SOGNI URGENTI!!

Il Coordinamento per il nuovo parco PlisPlus
Giuliana Cislaghi  cislaghi.mg@libero.it  ,  
Luigi Dell’Arena   soundcooker@gmail.com    
Marina Rotta    marina.rotta@fastwebnet.it
http://www.facebook.com/giuli.cislaghi/posts/354888834616620#!/groups/coordinamentoplisplus/
http://www.plisplus.salviamoilpaesaggioinveruno.it

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http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/02/parco-delle-brughiere-dellaltomilanese-un-anno-di-storia-della-proposta-del-nuovo-parco-regionale-agro-paesaggistico/feed/ 2
Via d’Acqua: no ad un’opera artificiale costosissima, invia anche tu una mail! http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2013/05/via-dacqua-no-ad-unopera-artificiale-costosissima-invia-anche-tu-una-mail/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2013/05/via-dacqua-no-ad-unopera-artificiale-costosissima-invia-anche-tu-una-mail/#comments Wed, 22 May 2013 21:58:51 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=7946

Con EXPO 2015 è prevista la realizzazione ad ovest di Milano di una Via d’Acqua: un’opera costosissima e ampiamente discussa. Poco naturalistica e molto artificiale, occuperà suolo attualmente agricolo e sconvolgerà il sistema irriguo storico e i parchi attuali. Molte associazioni e cittadini chiedono di rivedere il progetto scegliendo soluzioni alternative.

Per questo vi chiediamo di partecipare al nostro appello via mail per chiedere che l’opera NON venga realizzata, risparmiando così 98 MILIONI di denaro pubblico e salvando i parchi e il verde pubblico dall’ennesima devastazione.

Se il pulsante non funziona puoi inviare la mail seguendo le istruzioni qui di seguito:

Destinatari della mail (inserire tutti gli indirizzi nel campo “destinatario”, separati da punto e virgola):

sindaco.pisapia@comune.milano.it
basilio.rizzo@comune.milano.it
vicesindaco.decesaris@comune.milano.it
assessore.maran@comune.milano.it
assessore.majorino@comune.milano.it
assessore.granelli@comune.milano.it
assessore.dalfonso@comune.milano.it
assessore.benelli@comune.milano.it
assessore.tajani@comune.milano.it
assessore.bisconti@comune.milano.it
assessore.rozza@comune.milano.it

Oggetto: NO ALLA VIA D’ACQUA!

Testo del messaggio:

La via d’acqua è ormai considerata da esperti, associazioni e cittadini  una grande opera  inutile, disastrosa perché distrugge i tracciati dei fontanili storici per l’irrigazione e danneggia gravemente i parchi ed il verde pubblico (il parco Pertini nel quartiere gallaratese, il parco di Trenno, il Bosco in città, il parco delle Cave). Un’opera con un costo esorbitante ed ingiustificato, 89 milioni di euro,  che sperpera soldi pubblici. Chiediamo che l’opera venga annullata o si scelga una delle  alternative  suggerite dagli esperti e dalle associazioni.

Cordiali saluti,

Firma ….

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http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2013/05/via-dacqua-no-ad-unopera-artificiale-costosissima-invia-anche-tu-una-mail/feed/ 21
“Expòpoli(s)”: capire la speculazione giocando http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2013/01/expopolis-capire-la-speculazione-giocando/ Fri, 04 Jan 2013 21:17:46 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=7175 Per la Befana regalatevi il gioco da tavolo di OffTopic, una variante di “Monopoli” che aiuta a capire le mosse di amministratori, banche e imprese di costruzioni in vista dell’Expo 2015 di Milano.
Dopo averne capito il funzionamento andate sul sito inventati.org/expopolis: avrete la possibilità di modificare il tabellone per “parlare” della (e alla) vostra città.
“Lo scopo del gioco è di trarre profitto, affittando, comperando e vendendo le proprietà situate nella metropoli, sino a diventare il giocatore più ricco e, possibilmente, il monopolista della rendita fondiaria”.
Il gioco che potrete mettere nelle calza della Befana si chiama “Expòpoli(s)”, ed è una variante (parola cara, a chi si occupa di tutela del paesaggio) del vecchio “Monopoli”.
Il tabellone è stato “modificato” dal Lab. OffTopic (pianoterralab.org), applicando nomi, dati e contenuti che fanno riferimento al maxi evento che dovrebbe tenersi a Milano nel 2015. Leggendo il regolamento, disponibile in rete, si scopre così che la vendita delle case spetta solo a BancaIntesa, ed è fortemente consigliato assicurarsi terreni (Cascina Merlata, Fiera), servizi ed anche imprese (A2a, MM). Ci sono anche “imprevisti” e “probabilità”, tra cui quella di finire a San Vittore.
Si parte dalla casella del “Via!.. da Expo 2015”, mentre i giocatori (da due a sei) potranno muovere sul tabellone pedine che rappresentano il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e il Commissario straordinario all’evento Roberto Formigoni, ma anche Compagnie delle opere o Cmc (cooperativa ravennate, che ha vinto una delle prime gara assegnate da Expo 2015 spa).
La dinamica è semplice: “Quando il segnalino si ferma su un terreno, quartiere, stazione o impresa pubblica che non è ancora di proprietà altrui, il giocatore può comperarlo dalla Banca (che per comodità chiameremo d’ora in poi..Intesa), pagando il prezzo segnato sulla casella relativa: altrimenti la proprietà viene subito messa all’asta e ceduta al maggior offerente…lo squalo di turno insomma”.
Tutto ruota intorno alla rendita fondiaria e al ruolo della banca, da cui dipende ogni mossa.

“Expòpoli(s)”, però, non vuole essere solo (e necessariamente) un “gioco da tavolo milanese”. Per questo, OffTopic ha creato un sito dove chiunque cittadino, comitato, associazione- può creare, con l’aiuto di semplici istruzioni, la versione di “Expòpoli(s)” della propria città, stampando infine una copia del gioco che racconta il proprio territorio:

http://inventati.org/expopolis/

“Un’occasione per raccontare le ferite aperte della metropoli senza rinunciare ad una comunicazione ludica alla portata di tutti”.

Ecco il trailer del gioco:

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L’edificazione selvaggia che erode il nostro futuro http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2011/10/ledificazione-selvaggia-che-erode-il-nostro-futuro/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2011/10/ledificazione-selvaggia-che-erode-il-nostro-futuro/#comments Sun, 16 Oct 2011 08:37:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=348

Ogni giorno in Italia vengono cementificati 130 ettari di terreno fertile. Sviluppo necessario? Non sempre, visto il gran numero di aree dismesse destinate a restare inutilizzate.

Ma allora perché le misure a salvaguardia del suolo continuano a incontrare tante ostilità?

La Provincia di Torino ha appena approvato un piano di governo del territorio che introduce per la prima volta, all’articolo 1 e come principio cogente per i Comuni, «il contenimento del consumo di suolo». E dunque: stop alle edificazioni indiscriminate su aree libere, riuso di quelle già compromesse. Una rivoluzione, in un territorio in cui le nuove costruzioni in quindici anni hanno occupato un’area vasta quasi quanto Torino, mentre la popolazione rimaneva invariata. La frantumazione dei nuclei familiari (il 53% ha meno di tre componenti), che aumenta la domanda di nuovi alloggi, giustifica solo in parte il fenomeno. Infatti nell’ultimo decennio in Italia sono state costruite 4 milioni di case, ma ce ne sono 5,2 milioni vuote solo nelle grandi città.

«Il consumo di suolo è la grande emergenza del nostro Paese», spiega il presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta. «Io non sono un talebano, ma non si può più consumare il futuro». In Italia si cementificano ogni giorno circa 130 ettari di suoli fertili. Si tratta di una stima, perché lo Stato non si è mai occupato del problema e ogni Regione fa a modo suo (solo cinque hanno banche dati), quindi ci si affida ai dossier di associazioni ambientaliste e professionali o a studiosi appassionati tra cui Andrea Arcidiacono, Paolo Berdini, Vezio De Lucia, Georg Josef Frisch, Luca Mercalli, Paolo Pileri, Edoardo Salzano, Salvatore Settis, Tiziano Tempesta.

Dal 2000, con la possibilità di spendere gli oneri urbanistici liberamente, è stata data ai Comuni la licenza di svendere il territorio: con gli incassi si tamponano le falle nei bilanci. Altri Paesi hanno preso sul serio la faccenda. La Germania si è ripromessa di dimezzare i 60 ettari consumati ogni giorno. La prima legge in tal senso fu promossa negli Anni 80 da Angela Merkel, all’epoca ministro dell’Ambiente. Inoltre ha stanziato 22 milioni di euro per ricerche, mentre in Italia l’ultima finanziata con denaro pubblico risale agli anni ‘80. In Gran Bretagna, ogni anno il premier stila un documento sul suolo consumato: quanto, come e perché, ettaro per ettaro, considerando che la legge obbliga a costruire per il 60 per cento su «brownfield sites» (aree già edificate).

In Italia il ministero dell’Ambiente non ha nemmeno un osservatorio.

Il suolo è prezioso per diverse ragioni: garanzia di sovranità alimentare, come dimostra l’accaparramento delle terre a opera delle economie emergenti; antidoto al dissesto idrogeologico, in un Paese a rischio per due terzi; serbatoio di anidride carbonica; formidabile riciclatore di rifiuti. «Insomma il suolo è il fegato dell’ecosistema terra», sintetizza l’agronomo Antonio Di Gennaro, autore del libretto «La terra lasciata» (Clean Edizioni). Non solo. La pellicola di suolo formatasi in processi millenari si distrugge facilmente e in modo irreversibile.

A metà del secolo scorso, l’Italia aveva il massimo della superficie coltivata. Poi è cominciata l’edificazione di massa, che negli ultimi decenni si è concentrata sul 20 per cento di territorio pianeggiante, cioè più fertile e delicato. Contemporaneamente, l’abbandono della montagna causava un aumento dei boschi per 80 mila ettari. Notizia solo apparentemente positiva: la montagna senza manutenzione rovescia acqua sulla pianura inflazionata. Seguono disastri. Che fare? Negli ultimi anni, qualcosa si è mosso: dal piano regolatore di Napoli, elaborato ai tempi della prima giunta Bassolino dai «Ragazzi del piano» (titolo di un libro dell’urbanista Vezio De Lucia, Donzelli) a quello della Provincia di Foggia, firmato da Edoardo Salzano, fondatore del sito web eddyburg.

In Lombardia, che ha il record di 15 ettari consumati ogni giorno, Domenico Finiguerra, giovane sindaco della minuscola Cassinetta di Lugagnano, è diventato portabandiera dell’urbanistica a consumo zero di suolo. Per ovviare agli incassi ridotti, ha creato un business dei matrimoni attirando turisti fin dalla Russia: dopo i primi contrasti, è stato rieletto a furor di popolo e ora gira l’Italia a raccontare la sua esperienza. Successo inaspettato ha ottenuto Nicola Dall’Olio, autore del documentario fai-da-te «Il suolo minacciato» sulla pianura padana sepolta dai capannoni vuoti.

A Milano la ricerca «Spazi aperti», promossa dalla Fondazione Cariplo e realizzata dal Politecnico, ha monitorato la corona di comuni intorno all’area dell’Expo: in soli otto anni più di mille ettari di campi, prati e boschi sono stati persi «con il rischio che gli appetiti sollecitati dal grande evento spazzino via gli ultimi spazi liberi». Due anni di lavoro e settemila fotografie sono diventati una mostra alla Triennale con 5 mila visitatori in due settimane.

Movimenti e comitati si moltiplicano in tutta Italia e due mesi fa Slow Food ha lanciato un appello con il network «Stop al consumo di suolo», proponendo una moratoria per legge sulle aree non edificate. Proprio quello che ha deciso di fare la Provincia di Torino. Per lunghi anni (e in molte parti d’Italia ancora oggi) questi piani provinciali sono serviti solo a elargire laute consulenze, producendo libroni di vaghi e inattuati precetti. In realtà, possono essere importanti.

La Provincia di Torino lo ha elaborato proprio nel pieno della polemica sul nuovo megastore Ikea. Lo stesso Saitta aveva bocciato il progetto della multinazionale del mobile low cost: un nuovo megastore su una zona agricola nell’hinterland torinese. Saitta aveva obiettato: con tante zone industriali dismesse, non è il caso di compromettere un’area libera. L’azienda aveva già da tempo opzionato i suoli, il cui valore nel frattempo si era moltiplicato da 4 a 16 milioni di euro, impuntandosi: o lì o niente investimento. E così è nato un braccio di ferro. Lo scontro ideologico sull’Ikea avrebbe potuto mandare all’aria il piano del territorio, che negli stessi giorni giungeva a conclusione di un lungo iter.

Invece è accaduto il contrario: è stato approvato rapidamente sia in Provincia (maggioranza di centrosinistra) che in Regione (centrodestra) e condiviso con gran parte dei 315 sindaci del territorio. Ora Ikea sta trattando con le istituzioni una diversa collocazione del megastore, su un’area industriale dismessa. Se l’accordo andasse in porto, un capannone abbandonato sarebbe riutilizzato e oltre 150 mila metri quadri di terreno agricolo (un’area pari a venti campi di calcio) sarebbero salvi.

Di Giuseppe Salvaggiulo
La Stampa 10/10/11

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La Civiltà dell’abuso http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2008/12/la-civilta-dell%e2%80%99abuso/ Tue, 09 Dec 2008 11:18:47 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=297 Attorno al cemento si scontrano due visioni del mondo. Da un lato l’economia dei grandi numeri, ancora dominante, della crescita a tutti i costi, del costruire come elemento di potere, motore di finanze e di presunto progresso. Dall’altro la piccola economia del conservare, avere memoria e migliorare l’esistente, del considerare l’ambiente come risorsa e non come intralcio, della crescita umana piuttosto che quella del prodotto interno lordo.

 

Sono due visioni antitetiche che hanno nello stile del costruire, come ogni forma di civiltà, la loro espressione più immediata e d’impatto, quella che si tramanderà. Se in Italia negli ultimi 15 anni abbiamo coperto di cemento una superficie equivalente a quella di Lazio e Abruzzo messi insieme, nel mondo non si è certo stati da meno: in altre regioni d’Europa si è forse viaggiato a ritmo leggermente (solo leggermente) ridotto, ma quello che sta avvenendo nelle zone a forte sviluppo, come Cina, India, Brasile, Messico o certi posti dell’Africa, in alcuni casi ha dell’orribile.

 

Orribile non è solo l’ingordigia di chi si arricchisce senza scrupoli, e nemmeno soltanto il fatto che si distruggano immense porzioni di natura o intere zone rurali; orribili sono pure gli ambienti che si vanno a creare, quello che si edifica: megalopoli senza senso e senza nulla di bello, spesso nemmeno degnamente abitabile.

 

Eppure il cemento continua ad avere appeal: la sua capacità di generare denaro a costi che non si vedono (ambientali, energetici, in termini di qualità della vita per chi ci lavora e per chi poi ci vivrà in mezzo) rimane inossidabile, tant’è vero che la ricetta che molti propongono per uscire dalla crisi è quella di costruire ancora di più. Le recenti polemiche sui progetti di trasformazione di Milano in ottica Expo 2015 rappresentano forse il terreno di scontro e l’esempio più lampante. Pensare a come sia diventata più brutta negli ultimi 50 anni quella città e a come potrebbe ancora peggiorare fa tristezza. Intanto il Governo sottrae risorse alle detrazioni per intervenire sulle case secondo parametri ecologici (pannelli solari, caldaie a bassa condensazione, finestre a norma con vetri isolanti, cappotto esterno o isolamento interno ecologici, ecc), per destinare il risparmiato alle “opere”, grandi e piccole che siano.

 

Opere che non prevedono di ristrutturare, ma di occupare terre agricole e parchi; non rendere più piacevole l’esistente, ma fare colate di nuovo cemento, non importa dove e con che caratteristiche. È tipico della società dei consumi: produrre cose nuove per poi buttarle, illudere di soddisfare bisogni mentre non si fa altro che disattenderli, perché il sistema ha un disperato bisogno di autogenerarsi. Non siamo noi che abbiamo bisogno di ciò che produce il sistema consumistico, ma è il sistema che ha “bisogno” dei nostri bisogni: c’è dunque da sospettare che scientemente questi non saranno mai soddisfatti.

 

Lo spreco è il motore. Come lo sono le montagne di rifiuti di ogni tipo o di cibo ancora edibile buttato via (4.000 tonnelate al giorno nella sola Italia, fa sempre bene ricordarlo), lo è anche lo spreco di verde, di terreni agricoli, della ruralità, di spazi urbani a misura d’uomo, del bello.

 

Non si costruisce più per tramandare ai posteri qualcosa. Il cemento ha una deperibilità maggiore rispetto ad altri materiali, è il simbolo di una civiltà che inserisce i geni di una fine programmata in quasi tutto quello che produce: che sia un palazzone di periferia, l’imballo di un prodotto da supermercato o un seme Ogm che dà un raccolto sterile da cui non si possono trarre altri semi. L’Italia è piena di edifici fatiscenti costruiti negli anni ’60 e ’70, certi addirittura negli anni ’80, alcuni già disabitati, impraticabili, che penzolano scrostati e pericolosi, terribili. Tutti noi li vediamo, ovunque. Abbiamo continuamente sotto gli occhi la dimostrazione di com’è assurdo continuare a edificare qualcosa che nel giro di qualche decennio non servirà più: quegli obrobri dovrebbero servirci adesso come il senno di poi.

 

Oggi, imparando dagli errori commessi in passato, avremmo l’opportunità di ripensare le città in maniera sostenibile, di ricostruire il rapporto tra città e campagna affinché sia produttivo e mutuamente vantaggioso per chi abita questi ambienti. Ci sono i modi per farlo e sono anche economicamente vantaggiosi. Non è soltanto una questione estetica o ecologica: bisogna cambiare modo di fare economia. Bisogna ripensare il costruire, perché oggi, per come si realizza, è sempre più sinonimo di distruggere.

 

di Carlo Petrini

Fonte: La Repubblica

 

 

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