paolo pileri – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Wed, 06 Dec 2023 15:13:21 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.6 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg paolo pileri – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Sulla Giornata mondiale del suolo e le trappole da evitare. Come il ponte sullo Stretto http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/12/sulla-giornata-mondiale-del-suolo-e-le-trappole-da-evitare-come-il-ponte-sullo-stretto/ Mon, 04 Dec 2023 22:45:51 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16238 Paolo Pileri

Articolo originale pubblicato su Altreconomia

Il 5 dicembre ci ricorda che il suolo esiste ed è l’ecosistema strategico che vogliamo tutelare. Per coltivare un pensiero ecologico coerente che rifiuti la cementificazione, l’ipocrisia della politica dei “ristori” che non vuole cambiare direzione e la propaganda governativa sull’inattuale e assurdo progetto del “ponte”. L’analisi di Paolo Pileri

Quest’anno la Giornata mondiale del suolo del 5 dicembre cade in mezzo a un campo minato di contraddizioni e disastri. Una breve lista.

Primo. Siamo nel mezzo di una Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop28) che ha sede a Dubai, culla planetaria dell’insostenibilità dove migliaia di tonnellate di sabbia desertica (ovvero suolo) sono state buttate a mare per fare le famose isole artificiali con i loro lussuosi grattacieli che sono costati migliaia di morti sul lavoro.

Secondo. Due guerre in corso che hanno sulle spalle migliaia e migliaia di morti, tra cui moltissimi bambini, donne e anziani (siamo penosi); guerre in buona parte sostenute dalle nostre economie a base di armi; guerre che hanno distrutto i suoli agricoli di quei popoli che, se usciranno dalla guerra, entreranno nella fame.

Terzo. Siamo in un’Europa che ha accordato l’uso del peggior erbicida cancerogeno di tutti i tempi, il glifosato, fino al 2033 anche grazie alla posizione complice del nostro governo. Solo negli Stati Uniti, fornitore di parte del grano che i nostri pastifici usano per i maccheroni “Made in Italy” e molti prodotti mais-derivati, sono oltre due miliardi le tonnellate di glifosato sparse nei campi. Nel 2015 la l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha dichiarato che il glifosato è assai probabilmente all’origine del diffuso e grave linfoma non Hodgkin. Cose che non sembrano interessare i nostri decisori politici che non sappiamo neppur se si domandano quante tonnellate di glifosato ci sono e ci saranno nei suoli agricoli italiani. Che ignorano, verosimilmente, che esistono relazioni certe tra la salute dei suoli, quella delle piante e quindi quella delle persone (si chiama “One Health”).

Quarto. Tanto per non perderci nulla, abbiamo il clamore del ponte sullo Stretto che è tornato a occupare le pagine di giornali, social e dibattiti in tv: un congegno geniale per distrarre tutto e tutti dai tanti temi che contano. Un progetto inattuale e assurdo che non si farà mai o, peggio, che magari inizierà ma non finirà mai andando a ingrossare le fila dei tanti incompiuti, simbolo della nostra decadenza culturale. In fondo il ponte sullo Stretto che cos’è se non un progetto bandiera di un Paese che si ostina a non cambiare nulla di se stesso, nonostante la crisi climatico-ecologica. Un Paese che vuole ancora dimostrare di saper domare tutto e tutti attraverso la soluzione infrastrutturale da record mondiale, in perfetto stile autocelebrativo. Se siamo i primi, si risolvono tutti i mali: falso. Se facciamo un’opera pubblica miliardaria che fa parlare di noi (la famosa reputation che piace a tutto l’arco politico), risolviamo i milioni di problemi e di ingiustizie del Paese: falso. È solo fumo negli occhi.

“La dittatura perfetta è una dittatura con le sembianze di una democrazia, una prigione senza muri da cui i prigionieri non vogliono affatto evadere. Un sistema di schiavitù dove, grazie al consumo e all’intrattenimento, gli schiavi amano la loro condizione servile” – Aldous Huxley

La vecchia grande macchina di distrazione che inganna anche i pochissimi politici ancora dediti alla questione ecologica. I pochissimi che dicono ancora di lottare contro il consumo di suolo, l’urgenza ecologica forse più urgente. Non è certo tutta farina del sacco di questo governo l’idea del ponte sullo Stretto, visto che quello precedente non ha sbarrato definitivamente la strada al ponte nonostante l’allora ministro competente fosse l’ambasciatore dell’agenda 2030, e quelli precedenti ancora lo hanno tenuto sempre in caldo e mai sepolto.

Per il suolo sarà un’opera devastante. Le infinite tonnellate di sabbia e ghiaia per fare il cemento sventreranno migliaia di ettari di territorio. Altrettante migliaia e migliaia di ettari di consumo di suolo lo genereranno le aree di fondazione, le strade, i raccordi, le aree tecniche, i cantieri immensi. Ma nessuno ne parla e forse se ne rende conto. La propaganda di governo è talmente convinta di sé e talmente vociante che pare essere pure scomparsa la valutazione di impatto ambientale (mi permetto di suggerire alle opposizioni di tenere molto sotto controllo questa procedura). E così, natura e suolo sono indiscutibilmente “a disposizione”, sottomessi all’imperativo del solito modello della crescita.

Se il ponte domina la scena anche del 5 dicembre, temo non si parlerà del legame stretto tra cementificazioni e alluvioni-frane marchigiane, romagnole, campane, toscane che hanno messo in ginocchio il Paese e ucciso più di quaranta persone (e ne arriveranno altre di frane). E semmai qualcuno ci proverà, ci aspettiamo una politica pronta a rispondere con la parola dell’anno che mette d’accordo tutti: ristoro. Il ristoro è la “pezza” che evita di ragionare sulle cause, cucinando noi e la giustizia ambientale in un unico brodo insidioso. Non si evita nulla e si ristora tutto. Almeno a parole. E questo sta iniziando a valere anche per il consumo di suolo.

Abbiamo costruito in aree mediamente allagabili altri 917,6 ettari (13% dell’intero consumo nazionale 2022) e altri 529 ettari in aree franose (7,5%)? Nessun problema, in caso si ristorerà. Abbiamo costruito a meno di 150 metri da un corso d’acqua (più 817,2 ettari nel 2022)? Nessun problema, in caso si ristorerà. I governi sembrano ormai utili solo a ristorare. La nostra presidente del Consiglio alla Cop28 di Dubai ha addirittura annunciato di ristorare con anticipo, promettendo 100 milioni di euro per le future vittime della crisi climatica (loss and damage). Pensiamo di cavarcela con cento milioni di euro senza far nulla di serio per fermare il treno di tutto ciò che produce crisi climatica. Solo il suolo consumato nel 2022 ha generato danni finanziari equivalenti a circa otto-nove miliardi di euro a causa della scomparsa dei relativi servizi ecosistemici.

A questo serve la Giornata mondiale del suolo: a dire che il suolo esiste ed è l’ecosistema strategico che vogliamo tutelare. A regalarci un briciolo di chiarezza e a mostrare con fierezza che esiste un pensiero ecologico che fa attenzione a quel che i decisori dicono. A smascherare l’ipocrisia, a non distrarsi davanti alle trappole mediatiche come l’assurdo progetto del ponte sullo Stretto. A sentirsi parte di una comunità ecologica che rinnova il suo impegno quotidiano a dare voce al suolo. Non è poco, credetemi. Crediamoci.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo”, Altreconomia, 2022

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Edifici non utilizzati: una proposta concreta per fermare il consumo di suolo http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/11/edifici-non-utilizzati-una-proposta-concreta-per-fermare-il-consumo-di-suolo/ Wed, 01 Nov 2023 16:28:53 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16174 di Paolo Pileri

Articolo tratto da Altreconomia

Ogni Regione ha a disposizione una superficie urbana da recuperare così ampia che potrebbe non consumare un centimetro quadrato di suolo per cinque anni. L’incrocio tra dati Ispra e Istat, questi ultimi non aggiornati da oltre dieci anni, certifica l’urgenza di investire sul patrimonio esistente. Che cosa faranno politici e urbanisti?

Tra le statistiche che l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) elabora vi è anche quella sulla superficie degli edifici non utilizzati (Munafò, 2023). Il conteggio non può che affidarsi a una base-dati vecchia dell’Istat sull’edificato italiano (2012), non aggiornata, probabilmente per mancanza di fondi.

Apriamo una parentesi che è già una proposta per la politica: finanziare la conoscenza statistica degli immobili e del loro stato d’uso così da avere più contezza del da farsi per risparmiare suolo. Se la politica non vuole fare questo investimento è chiaro a tutti che non vuole dare evidenza a questo patrimonio invisibile e quindi non vuole mettersi dalla parte della tutela dei suoli o del contenimento del consumo di suolo e preferisce, senza dirlo apertamente, continuare a foraggiare la cementificazione, magari con l’ipocrisia di qualche proclama green.

Chiusa la parentesi, torniamo al dato Istat del 2012 che è sorprendente: in Italia la superficie degli edifici non utilizzati è pari a 248,7 chilometri quadrati, qualcosa come tre volte la superficie urbanizzata di una città come Torino, ma abbandonata ai fantasmi. Ora proviamo ad associare questo dato, pur con tutti i suoi limiti, a quello di consumo di suolo annuo regionale del 2022, l’ultimo anno disponibile. Quel che ne esce è sorprendente.

Mediamente ogni Regione ha a disposizione una superficie urbana da recuperare talmente ampia che potrebbe non consumare un centimetro quadrato di suolo per cinque anni. La Lombardia per 3,2 anni potrebbe occuparsi solo di recupero, il Lazio per 2,8, la Liguria per 14,5, l’Abruzzo per 7,3, la Calabria per 17,8, il Trentino-Alto Adige per 1,6, l’Umbria per 6,2, la Valle d’Aosta per 6,9 e così via.

È pur vero che molti di quegli immobili non soddisfano i requisiti della domanda attuale e non c’entrano nulla con le infrastrutture e gli impianti che alcuni reputano necessari (ma è tutto da dimostrare e loro non lo fanno mai), ma quei rapporti numerici sono talmente alti che tolgono il fiato a chiunque e mostrano che esiste in Italia una riserva di urbanizzato enorme della quale non solo non ci si cura, ma che sicuramente potrebbe ridurre il consumo di suolo agli sgoccioli. Con questi rapporti c’è un ampio margine anche per tranquillizzare buona parte delle ansie dei costruttori e dei professionisti del mattone.

Quindi, ancora una volta la domanda casca sulle spalle dei politici e pure degli urbanisti loro consulenti e consiglieri: che cosa volete fare del suolo italiano? Ancora terra di caccia per il cemento facile? Questi dati non sono sufficienti a convincere voi e chiunque che stiamo massacrando quel che rimane del suolo italiano pur avendo in tasca un patrimonio edilizio abbandonato che grida vendetta? Oppure volete dare retta al marketing immobiliare che si è inventato le città attrattive (Milano è campione di rendimenti immobiliari e la sua guida politica da anni aiuta queste rendite a crescere) per concentrare lì altri consumi di suolo redditizi e spopolare e degradare altrove?

Peraltro buona parte di questo edificato abbandonato, se non tutto, è già servito da strade, fognature, acquedotti, rete elettrica ed energetica e quindi non avrebbe neppur bisogno di investimenti infrastrutturali di supporto e neppure andrebbe a pesare sui futuri bilanci comunali o regionali per le necessarie opere di manutenzione. Lavorare al solo recupero dell’esistente è la mossa vincente e urgente. Continuare a non considerarla per dare voce alle pretese di costruttori e di sviluppatori immobiliari rapaci che vogliono guadagnare il più possibile disinteressandosi di impatti ambientali, sociali e futura spesa pubblica è una grave inadempienza politica.

Quel che c’è da fare subito è l’aggiornamento puntuale di quella vecchia base-dati sugli edifici perché occorre sapere con più esattezza quanti sono gli immobili, la tipologia, lo stato d’uso e di conservazione e soprattutto la localizzazione e le infrastrutture attorno. Dopodiché occorre un lavoro di matching che una agenzia pubblica (tipo un Demanio riformato ma con una sensibilità ambientale ed ecologica che ancora gli manca) deve mettersi a fare. Il tutto avrà successo solo se dall’altra parte, nel frattempo, si sarà approvata e definita una legge che ferma il consumo di suolo (magari anche solo per i prossimi cinque anni, una specie di patto per il suolo, come il patto dei sindaci di anni fa) e si consente di cancellare le troppe superfici ancora edificabili, stabilite anni e anni fa per pura ingordigia urbanistica, ma ancora là a fare danni nei piani urbanistici. A quel punto il mercato dovrà per forza guardare al patrimonio esistente. Fintanto invece che ci saranno campi verdi o gialli a disposizione, il recupero rimarrà sempre al palo pur con tutti i sussidi che ci si può immaginare.

Per chi non lo ha capito, questa è una proposta. Non si dica che i difensori del suolo criticano e basta. Non ci si limiti a fare silenzio e passare ad altro. Se qualcuno davanti a questi dati non è d’accordo con quanto qui proposto, ben venga, ma è vietato cavarsela alzando le spalle o bofonchiando qualcosa di spocchioso o asserendo dal proprio podio di eletto che questa proposta è totalmente inattuabile perché non gli piace: porti delle convincenti argomentazioni per continuare ad affogare nel cemento come ci ha dimostrato il rapporto Ispra del 2023.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022).

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L’Emilia-Romagna cancella la Valutazione ambientale strategica: il cemento governa http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/09/lemilia-romagna-cancella-la-valutazione-ambientale-strategica-il-cemento-governa/ Wed, 13 Sep 2023 15:27:59 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16061 di Paolo Pileri, da Altreconomia

All’Emilia-Romagna non sono bastati gli argini dei fiumi spazzati via dall’alluvione. La Giunta Bonaccini ha voluto con le sue mani abbattere altri argini, gli unici rimasti a frapporsi tra le ragioni della natura e del suolo e gli artigli del cemento: quelli cioè della Valutazione ambientale strategica (Vas). Il 7 agosto il governo regionale ha infatti approvato una delibera che toglie competenza all’Agenzia ambientale regionale (Arpae): non si pronuncerà più sulle Valutazioni ambientali strategiche dei piani urbanistici comunali (Valsat). Gravissimo. Hanno messo il lucchetto all’agenzia ambientale dove lavorano geologi, agronomi, biologi, ecologi, climatologi, fisici dell’ambiente, insomma tutte quelle competenze preziose per la transizione ecologica che mancano a Province e Comuni e che quindi possono accompagnare, correggere e/o, se occorre, respingere le proposte di trasformazione del suolo fatte dai Comuni.

Un vero e proprio bavaglio, anche umiliante per tutti quegli esperti pubblici che dovrebbero essere valorizzati e ai quali, anzi, andrebbe dato più spazio proprio nelle fasi in cui il piano si forma, per limitare i danni che l’uomo-betoniera continua a fare. La decisione di azzerare la funzione di Arpae è ancor più grave perché avviene qualche mese dopo lo sfascio alluvionale che, sappiamo bene, è stato aggravato di parecchio a causa proprio del super consumo di suolo in questa Regione, nonostante la millantata legge 24/2017 che, solo a detta di quel governo regionale, è la migliore di sempre (ma non è affatto così). Grave anche perché frutto di una Regione governata dal presidente del più grande partito di opposizione teorica alle destre e quindi c’è pure il rischio che venga presa come “buona pratica” politica. Come buona pratica ci saremmo aspettati un rafforzamento degli staff tecnici ed ecologici dell’agenzia ambientale regionale, una stretta ai cordoni dell’urbanistica consumista, un’autoverifica dopo i fatti delle alluvioni, un nuovo corso politico ed ecologico. E invece è arrivata la mannaia della semplificazione (cioè della deroga) che decapita nei fatti la Valutazione ambientale strategica (peraltro voluta dall’Unione europea).

Italia Nostra regionale, onorando la sua missione statutaria e il suo buon nome, ha scritto pochi giorni fa una lettera al presidente Stefano Bonaccini invitandolo ad annullare quella delibera (lo farà? Ne parlerà? Altre associazioni ambientaliste si uniranno alla richiesta di Italia Nostra? Le voci della cultura si faranno sentire?). Nell’attesa andiamo a vedere nel dettaglio i fatti.

Partiamo dalla legge regionale 24/2017 e per la precisione dall’art. 19 comma 4 (scritto in burocratese) nel quale, traduco, si legge che chi fa un piano urbanistico (ad esempio un Comune) deve acquisire il parere di Arpae proprio sui temi della sostenibilità ambientale riguardanti le previsioni di piano. In soldoni, la legge obbliga gli enti locali a tener conto, come è corretto che sia, del parere esterno e qualificato in materia ambientale dell’Agenzia. Se gli enti locali non sono d’accordo con le valutazioni di Arpae devono prendere carta, penna e responsabilità tecnica e politica per motivare il disaccordo. Un atto che obbliga il valutato a prendersi una forte responsabilità qualora voglia opporsi. Tutto questo che, come vedete, è già poca roba per incamminarsi nell’era della conversione ecologica, è stato spazzato via d’imperio dalla Giunta regionale il 7 agosto 2023 con la delibera 1407.

Nel concreto, i punti uno e due della delibera dicono (sempre in burocratese) che gli eventuali pareri di Arpae su piani e varianti non devono comprendere la “valutazione circa la positività o negatività” dei pareri dati da Province e dalla Città metropolitana di Bologna le quali, purtroppo, hanno meno “expertise” ecologico-ambientali rispetto ai tecnici di Arpae e, sappiamo tutti, sono affaticate da un processo di depotenziamento amministrativo dopo l’infelice riforma del Governo Renzi. Insomma: non ce la fanno. La valutazione di Arpae era quindi ancor più fondamentale e, invece, viene silenziata. L’Agenzia non può dire né sì né no, il che equivale a non dire più nulla. Ma la spallata decisiva arriva al punto tre, dove espressamente si mette fuori gioco Arpae dicendo che “nei procedimenti di approvazione dei piani urbanistici comunali e delle loro varianti attivati ai sensi della L.R. n. 24/2017, la previa istruttoria di Arpae ai fini del rilascio del parere motivato di Valsat da parte della Città metropolitana di Bologna e delle Province non è dovuta”. Disastro: fine dell’esistenza di Arpae, fine dell’esistenza di un controllore qualificato e indipendente (e già faticava a esserlo per le pressioni politiche a cui era sottoposto), via libera ai pruriti di cemento locali. Se non è grave questo non so più che cosa lo sia.

A onor del vero una piccola porta l’hanno lasciata aperta: se le Province e la Città metropolitana fanno una convenzione onerosa (tradotto, soldi) con Arpae, allora l’Agenzia può dare dei pareri. Ma sappiamo tutti che le Province sono in sofferenza finanziaria e che ci vogliono mesi per avviare una convenzione. Insomma, è come dire a un indigente che se vuole trovare una casa deve pagare un consulente e pagare pure chi redige la convenzione con il consulente. La porta che hanno lasciato aperta ma di fatto è chiusissima dalla burocrazia e dalla mancanza di denaro, una tattica che conosciamo per dire no nei fatti, ma apparentemente non del tutto.

Detto tutto ciò -che ritengo essere un attacco vero e proprio alla natura, alla cultura della valutazione ambientale e alla cultura ecologica in politica-, c’è da chiedersi che cosa spinga una Regione come l’Emilia-Romagna a uccidere l’ultimo baluardo ambientale che ancora abbiamo. Come possono andare in giro a farci lezioni di transizione ecologica, di leggi perfette e di non consumo di suolo? Anziché usare la loro storia infelice di disastri romagnoli per far girare pagina al governo del territorio ed essere di esempio per tutti, gettano in una stanza buia quel poco di argine al declino che avevano e buttano pure le chiavi a mare. In fondo è proprio vero che il cemento è una livella politica: rende uguali i governi della Lega a quelli del Partito democratico, quelli della destra a quelli della sinistra (o centrosinistra, o come li si chiami). Ultimissima cosa: perché non discutere un fatto di tale grave portata in Consiglio regionale? Vuoi dire che in tutto questo possiamo leggere anche un’erosione della democrazia?

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022). Questo articolo è stato pubblicato da Altreconomia.it

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La folle legge regionale che in Liguria fa edificare nelle aree a pericolosità idraulica http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/06/la-folle-legge-regionale-che-in-liguria-fa-edificare-nelle-aree-a-pericolosita-idraulica/ Thu, 29 Jun 2023 16:02:53 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16008 di Paolo Pileri*.

Sembra una storia che arriva da un altro Pianeta. Non sono bastate tre alluvioni e 41 morti per far capire che non bisogna aggiungere un solo metro cubo nelle aree a pericolosità idraulica ma semmai togliere, decostruire, liberare dal cemento e dall’asfalto, ridare agio ai fiumi, diminuire l’esposizione di persone e cose ai potenziali danni, aumentare la permeabilità ovunque.

E chi non l’ha capito? La Liguria o, meglio, in Liguria, una Regione massacrata dal cemento, dove già il 23,2% dell’urbanizzato è in aree a elevata pericolosità idraulica, il 29,1% in media pericolosità e il 33,1% in bassa pericolosità (Ispra, 2022). Praticamente in Liguria è dura trovare suolo già urbanizzato non minacciato da una qualche pericolosità idraulica. Con dei numeri del genere un buon padre di famiglia -per citare il Codice civile- che farebbe? Forse si inventerebbe una legge regionale per edificare nelle aree a pericolosità idraulica? No o magari lo avrebbe fatto, incautamente, prima dei fatti di Ischia, Marche e Romagna. Ma oggi, davanti a 41 morti e ancora dei dispersi, davanti a miliardi di euro di danni e migliaia di famiglia e imprese a cui è saltato tutto, non gli dovrebbe passare per la testa neppure l’ombra di una proposta di legge per urbanizzare là dove le acque, stanche della nostra stupidità cementizia, porteranno via tutto alla prossima pioggia. E invece la Liguria ci sorprende perché nel forno della Giunta regionale sta per uscire una torta al vetriolo che prevede -reggetevi forte- una serie di vari interventi di nuova edificazione e di ampliamento degli edifici esistenti proprio dentro le aree a pericolosità idraulica elevata e media.

Per smorzare le cose si sono rivolti alle pericolosità relative, delle foglie di fico urbanistico-idrauliche fatte per urbanizzare nonostante l’assurdità. Le assurdità sono previste dallo Schema di regolamento regionale recante “Disposizioni concernenti l’attuazione dei Piani di bacino distrettuali, anche stralcio, per le aree a pericolosità da alluvione fluviale e costiera in attuazione dell’articolo 91, comma 1 ter 2 della legge regionale 21 giugno 1999, n. 18” incluso nell’atto di Giunta regionale del 12 maggio 2023 (prot-2023-0383440).

Stupefacente persino nella data: a metà tra le due alluvioni romagnole (3 e 16 maggio 2023), proprio come se nulla fosse accaduto. Come se la Liguria fosse un continente a sé, dall’altra parte dell’emisfero. Dire che è un provvedimento inopportuno oltre che pericoloso è dire poco. Però lo è, inopportuno. Lo è perché ci mostra che chi governa parti di questo Paese non ha capito la portata del cambiamento climatico e che l’accumulo di malgoverno del territorio subìto negli ultimi due, tre decenni ha reso buona parte del nostro territorio estremamente fragile: è esaurito lo spazio per nuovo consumo di suolo. Fine del cemento. Che senso può mai avere, andare a costruire in Liguria proprio nelle aree pericolose? Semmai, la storia di fragilità della Liguria e le recenti nonché antiche notizie di sgretolamento degli Appennini (su cui è gran parte di quella Regione) avrebbero dovuto far precipitare quei governanti a scrivere di getto una proposta di legge all’opposto di quanto vogliono approvare nei prossimi giorni.

Quel che occorre in Liguria e non solo sono norme che prevedono la sola desigillazione di cemento e asfalto nelle aree pericolose e di fare spazio tra edifici eliminando piastre di parcheggio e aree dismesse ma impermeabili. E invece no. Propongono il contrario. Ad esempio, all’articolo 5 di quello Schema di regolamento si arriva a dire che “all’interno di ambiti di tessuto urbano consolidato in aree a minor pericolosità relativa P3_0 […], sono consentiti: a) interventi di nuova edificazione e di ampliamento degli edifici esistenti, purché non interrati e non riguardanti servizi essenziali, che prevedano le opportune misure od accorgimenti tecnico-costruttivi […] b) nuovi parcheggi a raso”.

Le aree P3_0 sono aree ad alta pericolosità idraulica dove l’acqua rimane un po’ più bassa e scorre meno rapida delle aree P3, ma pur sempre si tratta di alta pericolosità; stanno dicendo che ci potranno stare nuove abitazioni, con dentro persone che dovranno subire una potenziale esposizione a quella pericolosità. Se gli andrà bene si salveranno ma potrebbe anche non andargli bene. E comunque non saranno evitati danni alle cose, e comunque la collettività si addosserà il costo della protezione civile e degli interventi di salvataggio e delle ricostruzioni.

Ma abbiamo proprio bisogno di questo? Sempre all’articolo 5 si dice ancora che “Nel caso di interventi di demolizione con ricostruzione senza ampliamento di edifici/manufatti esistenti deve essere assicurata la riduzione della vulnerabilità…”. Ecco vorrei spiegare a chi legge che la vulnerabilità è qualcosa che ha a che fare con le caratteristiche intrinseche della struttura edilizia e non con le persone danneggiabili. Stando a quel che si capisce dalla proposta, il legislatore sta dicendo di continuare a costruire ma con l’avvertenza di fare edifici più robusti o stagni ai piani bassi (ad esempio). Siccome il rischio idraulico è dato dal prodotto tra vulnerabilità, pericolosità ed esposizione, sicuramente se si migliora la vulnerabilità, il rischio si abbasserà. Peccato però che una buona legge dovrebbe abbassare il rischio riducendo o eliminando del tutto l’esposizione di persone e cose piuttosto che la vulnerabilità (sulla pericolosità non si può agire perché è la probabilità che piova o esondi il torrente). Capite che la sostituzione degli addendi non è proprio indifferente al risultato? Se riduco l’esposizione salvo vite e riduco i costi pubblici. Se riduco la vulnerabilità, non è detto che salvi vite né che riduca i costi pubblici legati alla protezione civile.

E allora, mi chiedo: che senso ha? Nessuno, se non quello di garantire al mondo del cemento di poter fare i propri affari liberamente e perfino nelle aree più pericolose. Ovviamente le gravità previste aumentano nelle aree a minor pericolosità idraulica relativa (le P2_0) dove sono consentiti gli “interventi di nuova edificazione e di ampliamento degli edifici esistenti, purché prevedano le opportune misure od accorgimenti tecnico-costruttivi […], e risultino assunte le misure di protezione civile” (art. 6). Di nuovo una proposta improponibile. Stanno suggerendo di fare case allagabili se si accerta che la protezione civile (spesata dal pubblico) è in grado di intervenire per tempo. Addirittura, nelle aree P2 relative si possono realizzare cantine e depositi interrati che sappiamo si riempiono d’acqua subito e la gente muore come topi.

Certo, il legislatore dice che non è ammessa la permanenza di persone, ma è solo una formula per cavarsi fuori dalle responsabilità perché sappiamo tutti che poi le persone là sotto ci vanno e ci restano o ci possono capitare ed essere travolte dall’onda. Queste cose hanno senso? Con quale coraggio vengono proposte cose del genere? E per di più con 41 morti alle spalle e miliardi di danni generatisi in poco meno di 10 mesi tra Ischia e Romagna?

Qualcuno fermi queste proposte. Lo faccia lei, presidente Mattarella: non credo abbia voglia di farsi un giro in elicottero tra qualche anno per contare nuove vittime e piangere un’Italia che si sgretola di più sotto l’insipienza politica e affaristica oltre che sotto i colpi del cambiamento climatico. Non ci dica che i danni che vedrà erano imprevedibili, perché le stiamo dicendo ora che non solo lo sono, ma stanno disegnando le condizioni di legge perché avvengano di sicuro. Progetti di legge del genere sono irricevibili e ci confermano l’impreparazione della classe politica alla questione ecologico-climatica. Una classe politica così non può e non deve governare nessun territorio, perché non è sostenibile in nulla. E poi, chi andrà a dire agli acquirenti che quelle case sono state costruite in aree inondabili e loro le stanno comprando a migliaia di euro al metro quadrato? Saranno gli assessori regionali ad avvisarli a uno a uno? Perché sulla legge non c’è scritto nulla al riguardo. Fermate quella proposta prima che apra la strada a proposte simili in altre parti d’Italia, facendo sprofondare sempre più nella insostenibilità al cubo.

* Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. L’articolo originale è apparso su www.altreconomia.it

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Piante e suolo: la Giornata della Terra è vostra http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/04/piante-e-suolo-la-giornata-della-terra-e-vostra/ Sat, 22 Apr 2023 04:00:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15910 di Paolo Pileri.

Il 22 aprile è la Giornata della Terra. Come sta? E quella del nostro Belpaese? Che cosa diranno i nostri politici in quell’occasione? Discorsi di circostanza come al solito o impegni concreti? Dal “Piano Terra” vogliamo suggerirgli di impegnarsi sulla gestione dei malandati suoli italici che -forse gli sfugge ancora- hanno un grande ruolo per la biodiversità e la cattura di anidride carbonica (CO2) devastante per il clima. Quest’ultima dovrebbe essere una vera ossessione per ogni politico: bisogna evitare come la peste qualsiasi azione ne aumenti l’emissione. Per fare questo però non partirei dal cercare bizzarri e costosi rimedi tecnologici come spingere la CO2 nelle profondità oceaniche o nei giacimenti esauriti di metano o petrolio. O intrappolarla in giganteschi filtri o fissarla su carboni attivi. Ho sempre pensato che la passione per i rimedi tecnologici eviti di far cambiare stile di vita (quello che realmente ci serve) e continui a far spendere soldi pubblici senza rimuovere le cause dei guai.

Inoltre catturare con la tecnologia una tonnellata di CO2 costa, nella migliore delle ipotesi, dai 200 ai 500 euro (secondo le stime di Eni). E sono milioni le tonnellate da acciuffare.

Invece che fissarsi sui rimedi tecnologici, tornerei alla vecchia e inossidabile coppia “suolo&piante” che da miliardi di anni rimuove gratis l’anidride carbonica seguendo uno schema iper-collaudato. Ripassiamolo in breve: le piante la catturano e attraverso la fotosintesi la “spaccano” in due e trattenendo parte del carbonio per se stesse, che usano anche per produrre glucosio (zucchero) da spedire alle radici (dall’11% al 40%) le quali, a loro volta, lo cedono a batteri e funghi.

I primi strati di suolo fanno da “stomaco esterno” delle piante (la rizosfera) digerendo il carbonio che viene così bloccato nei primi 30-50 centimetri di terra sotto i nostri piedi dove rimane per sempre, come un diamante. È una vera macchina salva clima. Attenzione però: la cattura non avviene solo grazie alle piante, come spesso si sente dire parlando di forestazione urbana o di piante sui balconi dei grattacieli. Così come non avviene solo grazie ai suoli “nudi” e men che meno quelli sotto il cemento o l’asfalto. La cattura avviene con efficienza nei suoli con buoni/ottimi livelli di coperture vegetali permanenti e sovrastati da sane agricolture.

Ottimi argomenti per la Giornata della Terra. Se vogliono, e ne hanno il potere, i nostri politici possono allora annunciare leggi che tutelino il suolo fermandone il consumo e le edificabilità che intossicano i piani urbanistici. Possono riconoscerlo come ecosistema fragile, non rinnovabile e non resiliente ma anche strategico per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Questioni estremamente urgenti in Italia dove i suoli sono ancor più fragili rispetto ai Paesi del Nord Europa, vuoi per le temperature sempre più alte, vuoi per l’eccesso di agricoltura intensiva e per l’incessante urbanizzazione. I suoli sfruttati e degradati sequestrano meno CO2 rispetto alle attese e addirittura finiscono per ri-emetterla: la situazione sta peggiorando.

Conviene quindi impegnarsi il 22 aprile, magari iniziando da due mosse. La prima: fermare il consumo di suolo (lo abbiamo detto mille volte). La seconda: definire un piano per ridurre le coltivazioni intensive, l’uso di pesticidi e fertilizzanti. L’uso di quelli azotati, ad esempio, aumenta enormemente la presenza di gas serra in atmosfera perché una tonnellata di protossido di azoto (N2O) riemesso dai suoli trattati vale quanto 298 tonnellate di CO2: un disastro per il clima. Che aspettate?

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022).

Tratto da: https://altreconomia.it/piante-e-suolo-la-giornata-della-terra-e-vostra/

Immagine: © Donald Giannatti, unsplash

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Si allungano ancora “Le mani sulla città” http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/03/si-allungano-ancora-le-mani-sulla-citta/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/03/si-allungano-ancora-le-mani-sulla-citta/#comments Mon, 06 Mar 2023 22:08:27 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15862 di Paolo Pileri.

“Lo so che la città sta là e da quella parte sta andando perché il piano regolatore così ha stabilito. Ma è proprio per questo che noi da là, la dobbiamo fare arrivare qua”. “E ti pare una cosa facile”. “E cambiamo il piano regolatore”. […] “Non c’è bisogno. La città va in là. E questa è zona agricola! E quanto la puoi pagare oggi? 300, 500, 1.000 lire al metro quadrato? Ma domani questo stesso metro quadrato, ne può valere 60-70mila. E pure deppiù. Tutto dipende da noi. Il 5.000% di profitti. Eccolo là: quello è l’oro oggi. E chi te lo dà? Il commercio? L’industria? L’avvenire industriale del Mezzogiorno? Sìììì… investili i tuoi soldi in una fabbrica. Sindacati, rivendicazioni, scioperi, cassa malattia. Ti fanno venire l’infarto custiccose. E invece niente affanni e niente preoccupazioni. Tutto guadagno e nessun rischio. Noi dobbiamo fare solo in modo che il Comune porti qua le strade, le fogne, l’acqua, il gas, la luce, il telefono”.

Sono le parole del primo minuto de “Le mani sulla città”, il film di Francesco Rosi che vinse il Leone d’oro al festival di Venezia nel 1963: una sintesi acuta e lucida per denunciare l’ingordigia urbanistica che senza scrupoli sputava cemento sulle terre agricole del nostro Paese, in nome della rendita. Aree che la banda degli speculatori definiva “squallide estensioni di terreno”, ovvero asservite alle sole utilità del cemento, del consenso elettorale e del potere.

Dopo sessant’anni corre l’obbligo di farci e di porre alcune domande, ma con più furore del solito: che cosa abbiamo imparato da quella denuncia? Perché sono ancora pochi quelli che chiedono una legge nazionale di tutela del suolo? È un’urgenza per gli urbanisti? Di stop al consumo di suolo non si vede l’ombra. Di un cambio di pelle al governo del territorio, non abbiamo notizia.

Forse l’unica cosa che è cambiata sono le parole di quel dialogo ma non il risultato: le lire sono diventate euro; commercio e industria sono ora logistica, grandi eventi e infrastrutture veloci; il piano regolatore è il Piano nazionale di ripresa e resilienza; l’avvenire del Mezzogiorno è la Next generation del Sud Italia. “Le mani sulla città” era ed è una denuncia attuale, e continua a essere una domanda politica rivolta a tutti, elettori ed eletti.

Come rispondere? Iniziamo a mostrare il film ovunque e a ripetizione: nelle piazze, nei Consigli comunali e regionali, nel Parlamento, nelle scuole, negli ospedali, nelle feste estive. “Imbrattiamo” le facciate con quel film: non rovina muri e portoni ma ci apre gli occhi e spalanca la bocca per dire che non abbiamo né suoli, né climi, né ecosistemi di riserva. Mi appello ai comitati locali, alle associazioni, agli insegnanti, ma anche ai sindaci, ai parlamentari, ai presidenti di Regione e agli assessori. Tutti costoro hanno la possibilità di organizzare delle proiezioni: lo facciano.

Mi appello anche ai giovani e al loro coraggio, magari proprio a quei “verniciatori” affinché mettano a riposo per un attimo il pennello per brandire l’arma pacifica, arguta e artistica di questo film assieme alle domande che si porta dietro. Pretendete spazi e luoghi pubblici dove proiettarlo e dove dibattere. Sta a noi usare quel materiale prezioso per innescare cambiamenti culturali e politici: è un regalo che Francesco Rosi ci ha fatto e che ora noi possiamo fare alla sua memoria e al buon futuro di tutti.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022).

Tratto da: https://altreconomia.it/si-allungano-ancora-le-mani-sulla-citta/

(Immagine tratta dall’articolo pubblicato da Altreconomia: © Francesco Rosi – pubblico dominio, wikimedia commons)

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Il “Fondo per il contrasto del consumo di suolo” che non contrasta il consumo di suolo http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/01/il-fondo-per-il-contrasto-del-consumo-di-suolo-che-non-contrasta-il-consumo-di-suolo/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/01/il-fondo-per-il-contrasto-del-consumo-di-suolo-che-non-contrasta-il-consumo-di-suolo/#comments Mon, 09 Jan 2023 11:08:26 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15741 di Paolo Pileri.

Nella manovra proposta dal Governo Meloni c’è un articolo dedicato al “contrasto del consumo di suolo”. Dietro il titolo si cela in realtà una mistificazione, denuncia Paolo Pileri: non c’è infatti alcuna misura concreta per bloccare la cementificazione ma (scarse) risorse per la “rinaturalizzazione dei suoli degradati”. Che è cosa ben diversa.

Il Governo Meloni si è inventato un articolo di legge altamente mistificatorio che getta fumo negli occhi della verità ecologica. È l’articolo 127 del Disegno di legge di bilancio 2023, intitolato “Fondo per il contrasto del consumo di suolo”. Il titolo sembra perfetto, come spesso accade agli articoli sull’ambiente. Ma poi il testo è tutt’altro.

“Al fine di consentire la programmazione e il finanziamento di interventi per la rinaturalizzazione di suoli degradati o in via di degrado in ambito urbano e periurbano -si legge nella manovra del governo- è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, il ‘Fondo per il contrasto del consumo di suolo’, con una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2023, di 20 milioni di euro per l’anno 2024, di 30 milioni di euro per l’anno 2025 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2026 e 2027”.

Ma che cosa si sta dicendo? Nulla che contrasti il consumo di suolo, nulla che fermi la cementificazione che sta uccidendo il Paese. Stanno solo mettendo soldi (e pochi) per “rinaturalizzare” suoli (non si sa come: magari pure denaturalizzando altrove) che un attimo prima erano stati degradati, cosa che, diciamo pure, dovrebbe fare chi li ha inquinati e degradati. Ma leggiamo meglio. C’è scritto che i soldi servono pure per naturalizzare i suoli “in via di degrado”. Questo vorrebbe dire -e non credo proprio di sbagliarmi- che il consumo di suolo non viene per nulla fermato ma, al contrario, se ne accetta il suo “divenire” come qualcosa che non si può fermare.

E che si fa? Ci si porta avanti nel mettere pezze e rattoppi. È come se vi dicessero che vi danno soldi per mettere una pezza al buco che sicuramente si genererà nei vostri pantaloni. Il buco non si può e non si deve evitare e quindi il “buon governo” pensa per voi alla pezza.

Quell’articolo non contrasta nessun consumo di suolo ma al contrario non lo mette in discussione e ne protegge il suo corso. Spero che le opposizioni arrivino a leggere fino all’art. 127 e sollevino il caso. Il consumo di suolo sappiamo che cos’è e non è quanto scritto in quell’articolo: il consumo di suolo va fermato e non rattoppato. E va fermato subito perché peggiora la crisi climatica e mette le mani nelle tasche dei cittadini (ovvero aumenta la spesa pubblica). Il disegno di legge non è ancora una legge: cambiatela, non fate diventare definitiva quella misura e con quei termini. Se si vogliono investire risorse sulla rinaturazione non la si chiami contrasto al consumo di suolo né si faccia passare il messaggio delle pezze. Manomettere parole e concetti è un grave attacco al pensiero e all’esercizio della democrazia oltre che, in questo caso, a un nulla di fatto al contrasto del consumo di suolo.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022).

Tratto da: https://altreconomia.it/il-fondo-per-il-contrasto-del-consumo-di-suolo-che-non-contrasta-il-consumo-di-suolo/

(Foto di Paolo Baldi).

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Gli insulti di Jovanotti alla cultura ecologica e il silenzio di convenienza della politica http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/08/gli-insulti-di-jovanotti-alla-cultura-ecologica-e-il-silenzio-di-convenienza-della-politica/ Tue, 23 Aug 2022 13:20:49 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15528 di Paolo Pileri.

La vicenda dei concerti in ecosistemi fragili conferma che in Italia se sei famoso, ricco e mobiliti consensi di massa puoi fare quel che vuoi e il ceto politico resta a guardare. Una questione grave, commenta il prof. Pileri, in un Paese che già umilia chi si occupa di tutela e di divulgazione ambientale, salvo poi piangere Piero Angela.

Torno su uno dei tanti fatti inaccettabili che stanno macchiando questa estate bollente: le dichiarazioni di Jovanotti intorno al suo JovaBeachParty. Ci torno innanzitutto perché non posso accettare di ricevere dell’”econazista” -io come tanti altri che hanno “osato” sollevare dubbi– per di più nel bel mezzo di un tempo storico dove le destre e i nostalgici del fascismo potrebbero prendere il potere e farci tornare nel buio più buio. E non ci sto neppure a sopportare il silenzio di quasi tutti i politici che occupano le prime pagine di social e media i quali nulla dicono e han detto sull’accaduto, nulla sulle parole impronunciabili rivolte agli attivisti ambientali e nulla sulle mancate scuse da parte dell’artista pop a cui peraltro nessuno ha dato del “popnazista”. Probabilmente hanno fatto i loro conti e sanno che a dire qualcosa ci si potrebbe scottare e perdere molti voti. E così fan finta di niente e giocano la carta colpevole dell’inazione, della bocca cucita: giusto per non sbagliare. E invece sbagliano, eccome se sbagliano.

Continua qui.

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Davvero possiamo parlare di consumo di suolo buono e consumo di suolo cattivo? http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/davvero-possiamo-parlare-di-consumo-di-suolo-buono-e-consumo-di-suolo-cattivo/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/davvero-possiamo-parlare-di-consumo-di-suolo-buono-e-consumo-di-suolo-cattivo/#comments Wed, 27 Jul 2022 14:04:37 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15497 di Alessandro Mortarino.

Come ogni anno, nel pieno dell’estate è stato presentato il Rapporto SNPAConsumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. E, come ogni anno, la fotografia che esce dal puntuale e dettagliato monitoraggio dei ricercatori dell’ISPRA mostra un impietoso quadro che rende (dovrebbe rendere…) sempre più evidente la situazione di emergenza piena in cui versa il martoriato suolo italico.

Già, perché i dati riferiti al 2021 sono gravi. Ed essendo dati rilevati da una fonte scientifica dello Stato, non sono suscettibili di opinabilità: si tratta di cifre e statistiche di monitoraggio effettivo. La cruda realtà. Su cui troppe volte e per troppi anni si è continuato a sorvolare, confidando che la mano provvidenziale delle crisi e del “mercato” risolvessero o, almeno, alleviassero la contingente difficoltà.

Ma se il consumo di suolo aveva mostrato di non conoscere sosta neppure nel periodo del primo duro lockdown pandemico, il 2021 va oltre e ci certifica (come sintetizza il comunicato ufficiale di ISPRA, che potete leggere qui) una perdita di suolo a perdifiato, con una media di 19 ettari al giorno, il valore più alto negli ultimi dieci anni, una velocità che supera i 2 metri quadrati al secondo, per quasi 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno. Il cemento ricopre ormai 21.500 km2 di suolo nazionale, dei quali 5.400, un territorio grande quanto la Liguria, riguardano i soli edifici, che rappresentano il 25% dell’intero suolo consumato.

Quest’anno, però, la presentazione del Rapporto è stata parecchio “animata”. Nelle precedenti occasioni i Relatori avevano sempre espresso le loro valutazioni rispetto alle cifre asetticamente illustrate da Michele Munafò cercando di mettere in luce le criticità e l’esigenza di portare a compimento una necessaria legge nazionale capace di contrastare il fenomeno del consumo di suolo, considerarlo una emergenza, agire per custodire una risorsa preziosa, non riproducibile, elemento di vita o morte.
Quest’anno il dibattito è andato oltre e ha demarcato una – forse insanabile – linea di confine tra due mondi e due visioni: da un lato ricercatori, comunità scientifica e società civile; dall’altro le rappresentanze politiche. Mai come quest’anno…

Il detonatore che ha fatto “brillare” il divario tra i due blocchi è stata l’affermazione fugace dell’uscente ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, che si è addentrato in una disamina che ha scatenato l’immediata reazione di Paolo Pileri e di Luca Mercalli.

Giovannini ha sostanzialmente sostenuto che il consumo di suolo avvenuto e monitorato da ISPRA va considerato anche sotto il profilo degli investimenti strategici e delle priorità della visione politica, sia nazionale e sia europea. Occorre, infatti, considerare anche «quello shift modale da trasporto su gomma a trasporto su ferro, obiettivo principale del PNRR». Vale a dire interporti e centri di interfacciamento gomma/ferro, porti, retroporti.
Giovannini non ha usato perifrasi per evidenziare il concetto: «quindi da considerare benvenuti, perchè nel settore siamo indietro».
Insomma, dobbiamo considerare che «esiste dunque un consumo di suolo cattivo ma anche un consumo di suolo buono, necessario». E di questo consumo buono anche Ispra dovrà tenerne conto nei prossimi anni, poiché rappresenterà un fenomeno rilevante e in crescita (ci auguriamo sia da considerare un semplice suggerimento metodologico e non una velata “minaccia” ai ricercatori di ISPRA…).

Le frasi dell’uscente ministro non hanno raccolto reazioni da parte delle tre parlamentari intervenute (Silvia Fregolent, Paola Nugnes e Chiara Braga), che hanno ammesso l’incapacità (anche) di questa tornata legislativa nel porre risoluzione alle sofferenze del nostro suolo, compreso per l’amata (da Giovannini) legge nazionale sulla Rigenerazione Urbana, anch’essa arenatasi nelle aule romane.

Immediata, invece, la replica di Paolo Pileri (Politecnico di Milano): «è un disastro, c’è da piangere; passare da 14 ettari al giorno a 19 ettari al giorno è un incremento del +34%: un cataclisma. E’ un dato che mette il bollo del fallimento politico negli ultimi 15 anni. E resto basito davanti alle parole del ministro: consumo di suolo buono e cattivo? 323 ettari di logistica in un solo anno equivalgono a una superficie pari al consumo di suolo totale registrato da Toscana e Liguria messe assieme. Oltre tutto considerando che il ministero non ha un osservatorio, non sappiamo quante sono le aree dismesse, dove si sta appoggiando la logistica ecc. ecc. Eppure vogliamo sostenere che è un consumo di suolo utile?».

Altrettanto immediata anche la reazione di Luca Mercalli: «aggiungo un’altra parola: disperazione. La disperazione che ci prende: a cosa serve avere tutti questi dati se poi siamo ridotti in questa condizione? Il clima ha mille punti di contatto con la devastazione del nostro suolo, il cambiamento climatico dipende in primis dalla devastazione del suolo. Sono allibito dalle parole del ministro Giovannini, che non pare accorgersi che le cartine illustrate da Michele Munafò sono come le metastasi, celle cancerose che si staccano e aggrediscono l’intero organismo: come possiamo pensare che vi siano metastasi buone e metastasi cattive?».

In ultimo, Massimo Mortarino, a nome del Forum nazionale Salviamo il Paesaggio, ha ricordato come, oltre a non disporre di una legge che contrasti il consumo di suolo, l’Italia non sia dotata nemmeno di una disposizione di rango statale che individui definizioni uniformi e, in primis, definisca cosa è “consumo di suolo”: situazione che consente a chi “vuole fare il furbo” di disporre di un ampio margine di manovra, come dimostrato – ad esempio – dalla recentissima L.R. 7 piemontese del 31 maggio scorso, che va addirittura a modificare il metodo di conteggio del consumo del suolo.

Non dobbiamo trascurare il fatto che dal marzo 2012 a oggi, sul contenimento del consumo di suolo sono stati depositati, nei due rami del Parlamento, più di 60 tra proposte e disegni di legge. Con l’esito che ben conosciamo. E che il Rapporto annuale di SNPA stila la “classifica” delle Regioni che nell’ultimo anno hanno registrato i più elevati livelli di consumo di suolo: tutte hanno in vigore una legge regionale per limitarlo/contenerlo e, allo stesso tempo, anche norme per “semplificare” gli iter delle pratiche edilizie e urbanistiche!

Le parole dell’ex ministro e delle tre parlamentari, l’insuccesso in aula della nostra legge per l’arresto del consumo di suolo e il riuso dei suoli urbanizzati e di quella (che per il Forum dovrebbe essere considerata “figlia” della legge per lo stop al consumo di suolo) indirizzata alla Rigenerazione urbana, i dati angoscianti del nuovo Rapporto ISPRA e la quantificazione della perdita di servizi ecosistemici causata dal consumo di suolo libero calcolata anche in termini monetari/finanziari, rendono assolutamente evidente che è ora di creare una nuova alleanza “dal basso” tra ricercatori e società civile.

Da poche ore siamo entrati in una difficile campagna elettorale, che tuttavia potrebbe rappresentare un’opportunità per la nostra comunità di “custodi” del suolo e dei territori. Questa volta vogliamo cogliere l’occasione, tutti insieme, per chiedere con forza non “una” legge nazionale ma “la migliore” legge nazionale possibile per contrastare il consumo di suolo e in tempi rapidissimi?
Facciamo entrare questo tema nel dibattito politico e, anzi, facciamo sì che “la terra” (insieme all’acqua, l’aria e il fuoco, cioè energia e calore), tornino a essere il fulcro della nostra vita, delle nostre priorità. E la loro corretta e lungimirante gestione contribuiscano a ridisegnare un nuovo modello di società.

Oggi possiamo e dobbiamo farlo. Noi ci siamo, il nostro Forum nazionale c’è: rimbocchiamoci le maniche e tutti insieme sollecitiamo un opportuno “time out” alla nostra prossima classe dirigente!

Qui potete vedere la registrazione integrale della presentazione del Rapporto SNPA 2022 “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. Non è solo un invito alla visione ma un consiglio, perché il dibattito è appena iniziato e quanto gli autorevoli Relatori hanno espresso deve essere conosciuto da tutte e tutti!…

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Criticare la disordinata corsa al fotovoltaico a terra non vuol dire tifare per i petrolieri http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/06/criticare-la-disordinata-corsa-al-fotovoltaico-a-terra-non-vuol-dire-tifare-per-i-petrolieri/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/06/criticare-la-disordinata-corsa-al-fotovoltaico-a-terra-non-vuol-dire-tifare-per-i-petrolieri/#comments Mon, 27 Jun 2022 15:33:38 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15431 di Paolo Pileri.

La tutela dei suoli e la produzione di energia solare non devono essere messe in conflitto. Ecco perché è importante richiamare l’attenzione sul metodo sbagliato adottato dal Governo Draghi per individuare le aree idonee alla pannellizzazione. La risposta del prof. Pileri all’accusa di fare il gioco dei combustibili fossili.

Il 20 giugno abbiamo pubblicato l’opinione del prof. Paolo Pileri intitolata “Questa corsa alla pannellizzazione fotovoltaica non fa il bene dei suoli agricoli”. È parte di un dibattito che vogliamo stimolare anche a seguito del nostro recente approfondimento “Fotovoltaico a terra: tra rischi e benefici per il (fragile) suolo”. Tra chi ha commentato su Facebook sotto al contributo di Pileri c’è anche il prof. Mario Grosso, ingegnere ambientale che insegna al Politecnico di Milano. Grosso ha scritto: “Poiché se l’energia non si produce da fonti rinnovabili va prodotta da combustibili fossili, con questo scritto Pileri si schiera ufficialmente a favore di questi ultimi, i quali stanno sì mettendo in crisi tutti i nostri ecosistemi. Imbarazzante…”. Ecco la risposta di Paolo Pileri. Questo spazio è naturalmente aperto (redazione@altreconomia.it).

***

L’accusa che mi viene mossa da Mario Grosso mi obbliga a un chiarimento.
Provare a dire qualcosa che non va nel modo in cui si sta disegnando la transizione energetica non equivale a schierarsi con l’uso dei combustibili fossili. Starei molto più cauto nel fare queste equivalenze che, onestamente, sono spericolate.

Comunque, voglio chiarire. La vicenda del “Decreto energia” ci ripropone di nuovo il medesimo dilemma che spesso questo modello di sviluppo usa: mettere una contro l’altra due sostenibilità. Da un lato la tutela dei suoli (agricoli, in questo caso) e dall’altro la produzione di energia solare. È chiaro che vorremmo entrambe e di entrambe abbiamo diritto. Ed è proprio per questo che non possiamo sceglierne una a scapito dell’altra perché quel che davvero la transizione ecologica dovrebbe fare, diciamolo alla politica, è darci entrambe al posto di qualcosa di altamente insostenibile.

Quello che ho provato a spiegare è proprio il fatto che il decreto energia non fa questo, ovvero non fa iniziare la nostra transizione energetica con un principio ecologico alto, ma bassissimo: va a occupare terre agricole in nome della fretta o dell’emergenza che la situazione internazionale ha aperto. A onor del vero, questo stesso governo e pure il precedente non avevano dato migliori soluzioni prima della guerra, questo dobbiamo ricordarlo (e lo avevo già scritto nella mia rubrica “Piano Terra” l’1 luglio 2021, quando però nessuno si è preso la briga di dirmi nulla).
E infatti nelle prime stesure del Pnrr non vi era scritto che le terre agricole non si sarebbero toccate. Non vi era scritto nulla di chiaro e certo e tutto faceva sospettare al peggio. E oggi eccolo il peggio (e in un anno non si è riusciti a pensare a nessuna alternativa per le aree idonee?).

Il mio articolo non è contro la transizione energetica verso il fotovoltaico, che io voglio, ma è una riflessione su un’infilata di decreti che ha scelto una strada iper-semplificata (banale potremmo probabilmente dire senza essere smentiti) per avviare una transizione energetica necessaria ma non per questo da deregolamentare, urgente ma non per questo con la licenza di non rispettare la sfida ecologica nel suo complesso.

Vorrei che si facesse di tutto e di più per fare energia pulita partendo da tutte le superfici impermeabili (tetti, piastre, strade abbandonate, ex aeroporti, edifici abbandonati e dismessi, capannoni e magazzini, impianti, etc.) e poi, solo poi, se davvero vi sarà necessità, parleremo di aggredire i suoli agricoli con i quali mangiamo e non solo.

Ma dico di più. Vorrei anche che si accelerasse per attivare tutte le misure possibili per il risparmio energetico, per orientare a una dieta meno carnivora (che sappiamo eccessiva e sballata dal punto di vista delle unità di energia spese rispetto a quelle rese), per ridurre spostamenti urbani inutili o sostituibili (i cugini tedeschi stanno offrendo in questo momento ai loro cittadini un abbonamento a tutti i mezzi pubblici per soli nove euro al mese: questa politica fa risparmiare un sacco di energia privata e pure di consumo di suolo), per obbligare tutto il comparto logistico e delle grandi superfici di vendita a pannellarsi, e così via.

Insomma sto dicendo che prima di far fuori la risorsa più preziosa e meno rinnovabile che abbiamo, il suolo, avrei gradito che il “governo dei migliori” ci proponesse qualcosa di migliore e non un metodo geometrico con il compasso per decidere le aree idonee alla pannellizzazione. Se questo mio appello è totalmente infondato e per questo volete accusarmi di essere del clan dei petrolieri, accomodatevi. Comunque ci hanno teso una trappola e ci stiamo cascando: ci accusiamo tra noi anziché denunciare chi non è sostenibile.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

Articolo e immagine tratta da: https://altreconomia.it/si-puo-criticare-la-disordinata-corsa-al-fotovoltaico-a-terra-senza-essere-del-clan-dei-petrolieri/

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