di Nicolò Migheli
Un amico che lavora nell’agroalimentare, qualche tempo fa è stato contattato da dei buyer tedeschi che volevano acquistare formaggi pecorini. Prima di vistare stabilimenti e caseifici hanno voluto fare un giro dell’isola. Sono stati portati nei luoghi più suggestivi e alla fine del tour è stato offerto loro un pranzo in una azienda pastorale. Alla conclusione del viaggio uno di loro si ebbe a confidare: “ I prodotti sono buoni ed interessanti, il paesaggio è stupendo con gli animali al pascolo, però ho notato che lungo le strade vi sono cumuli di immondizia, che in qualche azienda vi sono rotami di auto abbandonate. Mi dispiace, ma questo dovrò scriverlo nel mio rapporto”.
Quando si discute di paesaggio, di normative, sfugge il valore che esso ha nella produzione di cibo. Non si considera quanto contribuisca al prezzo finale di una bottiglia di Bordeaux, di Chianti, di Barolo, il fatto che quei vini vengano prodotti in ambienti belli e puliti. Quanto il pregio di un Brunello o di un Barbaresco accrescano in notorietà e valore Montalcino e le Langhe e viceversa. L’incidenza dell’ipersimbolicità dei prodotti e dei luoghi è un calcolo difficile, però se si entra in un supermercato si noterà che il pecorino toscano è venduto a maggior prezzo rispetto al nostro, indipendentemente dalla sua bontà e qualità, solo per il fatto di essere prodotto in Toscana. Quei vini e quei formaggi hanno dentro di sé l’Umanesimo e il Rinascimento; i borghi medievali e i cipressi di Bolgheri, le crete senesi e i tufi maremmani.
Al contrario, le eccellenze di alcune regioni meridionali trovano più difficoltà ad imporsi perché spesso vengono associate ad un terra inquinata dalle discariche, sfregiata dall’urbanizzazione selvaggia. Secondo uno studio della Confederazione Italiana Agricoltori: ”Tra turismo rurale e l’indotto creato dall’enogastronomia tipica, le nostre campagne valgono più di dieci miliardi l’anno.” Il valore però potrà essere tenuto e accresciuto se si salvaguarda la vocazione principe dei terreni agricoli: la produzione di cibo. Se questa avviene in un ambiente bello e suggestivo. Allo stesso tempo è in continua crescita il segmento dei consumatori etici, attenti alla qualità dei prodotti, alle pratiche agronomiche, agli ambienti rurali, come dimostrano quei buyer tedeschi. Tendenza che con la crisi aumenterà, si comprerà di meno e si sceglierà meglio.
Vi è sempre più il bisogno di guardare in faccia il produttore. La fiducia la si darà a chi si conosce e non solo ad un marchio. Il cibo sarà il fulcro sul quale ruoteranno, come in altri tempi, i sistemi di economia locale, le tradizioni culturali ed artistiche. Connessioni che dovranno essere immediatamente recepibili e che l’integrità dei paesaggi darà ulteriore valorizzazione. Ciò è in conseguenza della sempre maggiore importanza che si da al lato estetico del consumo, come conferma il successo dei prodotti Apple, che coniugano innovazione e bellezza. In questo caso però, il consumatore non si chiede in che condizioni di lavoro l’oggetto venga costruito.
Nell’agroalimentare, invece, la giusta remunerazione dei contadini comincia ad essere percepita come valore determinante, come dimostra il successo del commercio equo e solidale. Sono tendenze in crescita presso fasce sempre più ampie di popolazione europea. E’ chiaro che l’agricoltura intensiva, non riuscirà a reggere la sfida se non altro perché l’OMS si attende che il 70% delle prossime malattie deriveranno dal rapporto animale-uomo. Gli allevamenti intensivi sono la causa prima. Le coltivazioni industriali, inoltre, sono all’origine della salinizzazione dei suoli e delle falde freatiche, producono a lungo andare desertificazione, distruggono al biodiversità.
Secondo le raccomandazioni del Parlamento Europeo, agricoltura oggi vuol dire: sicurezza alimentare, salubrità e qualità degli alimenti, benessere animale, presidio del territorio, eredità culturale, preservazione del paesaggio e della biodiversità, difesa dalle calamità naturali.
La Sardegna si trova ad avere un vantaggio competitivo per l’agricoltura del futuro. Bisogna, però, prima superare la crisi devastante di oggi. La politica europea del disaccoppiamento, in questi anni, ha favorito chi non coltiva. La scarsa remunerazione delle produzioni sta facendo il resto. La crisi di un animale simbolico come il cavallo, per il fatto che gli allevatori non hanno i soldi per i trattamenti, racconta di un degrado ambientale fortissimo. Un abbandono progressivo della campagna che ha implicazioni perfino sul nostro senso di appartenenza. Eppure è lì che si gioca il nostro futuro. La difesa della terra e la produzione di cibo sono sempre più strategiche. Bisognerà fare di tutto per salvare la nostra terra dall’assalto sconsiderato che oggi sta subendo.
Il rapporto tra Piano Paesaggistico Regionale e produzione di cibo è evidente. Debbono esserne consapevoli per primi gli agricoltori e i pastori, i trasformatori, le loro organizzazioni e gli enti locali. Non possiamo giocarci la nostra fortuna per poche migliaia di euro. Chi pensava di fare un affare con l’eolico oggi di sicuro farebbe un’altra scelta.
Di tutto questo si parlerà a Sedilo (Or) sabato 15 ottobre alle 10 nella Sala del Municipio
Fonte:
Sardegna Democratica
Mai dare niente per scontato quando si parla della Toscana che ha si una bel contributo di arte e storia alle sue spalle che ci è stato donato e lasciato ed è stato venduto a caro prezzo mitizzandolo nel momento stesso in cui colate di cemento travolgevano le campagne dove stalle diventavano centri benessere, case diventavano paesi, ruderi e annessi agricoli posti di recezione……
Un paesaggio, fatto da chi vive e lavora la campagna quotidianamente a fronte di una banalizzazione e di una patinatura da vendere a caro prezzo come originale.
La Toscana è ridotta quasi a mito e ricordo di se stessa, troppo cemento, troppo affarismo, troppa voglia di ingrassare, troppe speculazioni…. meno cemento.
Qualcosa stile questo per capirsi…
http://andreapagliantini.simplicissimus.it/2011/10/24/etruscany/