A cura dell’Ing. Donato Cancellara, Associazione VAS per il Vulture Alto Bradano.
L’aspra vicenda del fotovoltaico in area agricola ha sempre sollevato svariate critiche sin dall’emanazione del d.lgs. n. 387/2003 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) che prevedeva all’art. 12, comma 4, la possibilità di ricorrere a pretestuose procedure espropriative anche per quelle superfici agricole che sarebbero state occupate da dissennate distese di pannelli fotovoltaici anche ricorrendo alla suggestiva tecnologia dell’inseguimento solare.
A più riprese cercammo di segnalare l’abuso che veniva commesso tramite una distorsione dell’utilizzo dell’esproprio per pubblica utilità, con l’aggiunta dell’indifferibilità e dell’urgenza, tramite un atto legittimato dallo Stato quale appunto il decreto legislativo sopra menzionato. In altre parole, si stava assistendo ad un maldestro accaparramento delle terre agricole a fini industriali con la beffa di potersi avvalere della pubblica utilità. Beffa che aveva ricevuto il benestare dello Stato cristallizzando la perversa procedura in un quadro normativo semplificato così da aprire le porte ad una deregolamentazione selvaggia quindi ad un’occupazione irrispettosa, arrogante e tendenzialmente criminogena della proprietà altrui.
Si dovettero attendere ben sei anni perché lo Stato decidesse di arginare quell’abuso rappresentato dal prevedere il ricorso all’esproprio per pubblica utilità anche per quelle superfici, spesso di decine e decine di ettari, indirizzate all’installazione di centinaia di pannelli fotovoltaici. Infatti, fu l’art. 27, comma 42 della legge n. 99/2009 ad introdurre il comma 4bis al famigerato art. 12 del d.lgs. n. 387/2003: per la realizzazione di impianti fotovoltaici, il proponente deve dimostrare, nel corso del procedimento e comunque prima dell’autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto. Questione, quella della disponibilità del suolo, non più espropriabile come inizialmente previsto, esteso anche agli alimentati a biomassa, ivi inclusi gli impianti a biogas e agli impianti per produzione di biometano.
Che tristezza assistere ad uno Stato che non si impegna prioritariamente nella difesa del cittadino, ma pensa soprattutto ad ingrassare i conto correnti di società private proponenti impianti fotovoltaici in nome di un profitto sfrenato, mascherato dalla voce pubblica utilità, grazie alle generose entrate economiche assicurate da sconsiderati incentivi statali pagati da tutti noi, come una sorta di “pizzo”, nella bolletta dell’energia elettrica. Che tristezza l’aver atteso sei anni perché venisse rettificata una bruttura normativa che di fatto autorizzava, rendendola legittima, ciò che ciascuno di noi – in assenza di una legge – avrebbe chiamato truffa. Purtroppo il termine “truffa” ai danni dello Stato non poteva essere utilizzato poiché, all’epoca dei fatti, era lo stesso Stato ad aver legittimato, tramite il comma 4 dell’art.12 poi rettificato con il comma 4bis, un abuso sconsiderato, ingiusto ed inimmaginabile in una Paese che si vanta di essere uno Stato di diritto. Ma quale diritto! Forse trattasi di un diritto che sa essere forte con i deboli e vergognosamente debole con i forti?
Tanto ci sarebbe da dire sulla deregolamentazione selvaggia in materia di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e del ritenere di utilità pubblica ciò che invece rappresenterebbe, in misura preponderante, arricchimento smisurato per società private, spesso matriosche che celano società con capitali molto più ingenti, ai danni della collettività per una “gonfiata” incentivazione statale. È proprio l’idea dell’incentivo, chiamato anche con l’espressione fiabesca “certificato verde“, ad aver creato una rocambolesca corsa alla colonizzazione del nostro territorio con pannelli ed aerogeneratori sfruttando anche, direi soprattutto, la complicità di tanti incapaci disposti a vendersi e di svendere la propria dignità e la propria Terra.
Questa premessa, per illustrare un caso emblematico riguardante due impianti fotovoltaici, della potenza elettrica 10 MW ciascuno, in agro di Minervino Murge (BT), proposti dalla società Agrienergy di Bari S.r.l., dalla Solare di Minervino S.r.l. a cui si è aggiunta la Enersole di Spinazzola S.r.l. Tutte società afferenti al medesimo soggetto. Due furono le Autorizzazioni Uniche rilasciate dalla Regione Puglia nel lontano 2010 con determinazioni dirigenziali n. 219 e n. 220 del 30.09.2010. Una delle Autorizzazioni prevedeva anche la realizzazione di un cavidotto lungo circa 15 Km, da Minervino Murge a Spinazzola, una sottostazione elettrica ed una mega stazione elettrica di trasformazione 150/380 Kv della società Terna S.p.A., in agro di Spinazzola, quest’ultima per il collegamento alla linea AAT denominata Matera – S. Sofia.
Un lungo, lunghissimo contenzioso amministrativo costellato da un iniziale ricorso al Capo dello Stato presentato da chi vi scrive, successiva trasposizione al Tar di Bari e svariati altri ricorsi amministrativi con appelli al Consiglio di Stato, esposti alla Procura della Repubblica di Trani e di Bari con indagini affidate al N.O.E., interrogazioni parlamentari, quesiti ministeriali, perizie, osservazioni, svariati articoli cartacei e telematici per accendere i riflettori su ciò che si sarebbe voluto realizzare senza battere ciglio. Vicenda conclusasi definitivamente con la sentenza del Consiglio di Stato n. 2235/2020 pubblicata il 2 aprile scorso e destinata a lasciare traccia per nuove pronunce in materia.
Una sentenza che ripercorre i numerosi ricorsi dianzi al Tar di Bari, i numerosi tentativi da parte delle società ricorrenti nel sostenere il rispetto delle prescrizioni in materia di tutela ambientale e paesaggistica. Ripercorre le anomalie su ciò che doveva essere un approfondito e minuzioso studio di impatto ambientale. Ripercorre le modifiche progettuali, apportate tramite assurdi “ritocchi” al piano particellare d’esproprio, considerati – inizialmente dai giudici del Tar – semplici modifiche grafiche per poi divenire aspetti insuperabili per l’Autorità espropriante regionale con successivi provvedimenti di sospensione dell’esecuzione dell’esproprio e successivo provvedimento di sospensione dell’efficacia.
Autorizzazioni uniche annullate in autotutela dalla Regione Puglia con provvedimento n. 5090 del 15 aprile 2011 a sua volta annullato, sulla base di due distinti ricorsi dell’Agrienergy e della Solare, dal Tar di Bari con sentenze n. 1198/2011 e n. 1199/2011.
Le autorizzazioni uniche vennero nuovamente interessate da un procedimento di riesame per essere per la seconda volta annullate in autotutela dalla Regione Puglia tramite Determinazione Dirigenziale n. 8 del 9 febbraio 2012 anche alla luce dei rilievi della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Barletta-Andria-Trani e Foggia n. 358/2011 (Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Bari all’epoca dei fatti). Puntualmente nuovi ricorsi da parte delle società proponenti gli impianti. Un contenzioso, con annessa richiesta di risarcimento danni, alquanto faticoso da ripercorrere in tutti i suoi aspetti anche per la “complessità della controversia” per usare un’espressione dei giudici amministrativi riportata a conclusione della loro sentenza.
Dopo dieci anni di abusi e di forsennati tentativi nel realizzare qualcosa che non poteva essere realizzato, finalmente la parola fine scritta implicitamente nella sentenza del 2 aprile 2020, tramite la frase: “Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui riuniti appelli (n. 3684 e n. 3686 del 2019), come in epigrafe proposti, li respinge“.
Qui il testo integrale della sentenza del Consiglio di Stato.