Il libro di Lucia Tozzi svela il ruolo del marketing urbano e della cattura del dissenso nella creazione di una città diseguale e privatizzata
di Maria Cariota.
Da molti anni le politiche urbanistiche a Milano sono finalizzate a soddisfare gli interessi di gruppi industriali, della finanza e immobiliaristi. Nel Piano di Governo del Territorio e attraverso un uso sconfinato della perequazione e degli strumenti di urbanistica contrattata, il Comune ha assunto un ruolo di facilitatore dei processi di trasformazione proposti dai privati, attratti dalla possibilità di realizzare rendite elevatissime, anche per gli oneri di urbanizzazione spesso irrisori.
Il nuovo libro di Lucia Tozzi, “L’invenzione di Milano”, pubblicato per Cronopio nel marzo di quest’anno, racconta la “rigenerazione urbana” che ha stravolto interi quartieri di questa città, disegnata in funzione della massima valorizzazione degli immobili. Mentre sono ridotti i fondi per garantire i servizi pubblici, la manutenzione di strade, case popolari, parchi. Nelle zone ricche piscine, palestre, mercati, ambulatori, biblioteche e uffici pubblici vengono alienati, trasformandosi in uffici di lusso e centri commerciali; le zone meno ricche sono accerchiate e tendono a diventare nel tempo anche esse meno ospitali ai meno abbienti. Il ciclo è sempre lo stesso, la manutenzione della struttura pubblica viene deliberatamente lesinata, il “degrado” avanza, la chiusura incombe, spunta un privato pronto ad investire nella riqualificazione, che ne farà uno spazio di lusso non per la gente comune. Negli ultimi quarant’anni gli alloggi popolari sono stati dimezzati, l’ente gestore Aler continua ad alienare case, lasciando 17.500 famiglie senza risposta.
Esaurita la possibilità di ricostruire un tessuto produttivo, è soprattutto con l’Expo2015 che Milano ha valuto assumere l’immagine di una metropoli splendente e attrattiva, cercando di estrarre dall’evento un brand per competere con le altre grandi città. Seguendo il modello di New York e Londra, s’intende valorizzare ogni metro quadro, gentrificare tutto (centro e periferia) e mira ad una “rigenerazione” continua degli abitanti, attirando non solo turisti ma anche expat (turisti lenti) e city users o short term citizens: nomadi agiati che sono soprattutto consumatori di città e richiamano investimenti; non possedendo memoria della città non tentano di conservarla, non mirando a restarci sempre sono meno interessati alle conseguenze delle azioni politiche. Essi man mano prendono il posto dei nativi, che, se appartenenti a fasce più deboli, sono di fatto espulsi per gli affitti elevatissimi.
Chi governa la città è impegnato in una campagna di marketing senza precedenti
Lucia Tozzi cerca di disvelare le retoriche e il linguaggio usati per produrre il consenso e di studiare le ideologie forgiate dal capitale. L’amministrazione milanese ha costruito attentamente uno storytelling fondato sull’assioma per cui la collaborazione tra pubblico e privato sia necessaria, in una logica win win: gli investimenti del privato che costruisce la città del lusso consentono di avere verde urbano e spazi sistemati, oltre che, secondo loro, di portare bellezza, ricchezza e lavoro per tutti.
In una città escludente, classista, con servizi e beni privatizzati, lavoro precario, aria pessima, consumo di suolo tra i più elevati in Italia, chi la governa è impegnata in una campagna di marketing senza precedenti, finalizzata a diffondere una percezione positiva sulla qualità della vita e lontana dalla realtà. Un ipertrofico sfoggio di vitalità e di ottimismo forzato in cui le contraddizioni svaniscono. L’ “invenzione di Milano” appunto. Il marketing e la comunicazione hanno fagocitato l’agire politico, assumendo una posizione di egemonia, potente strumento per delegittimare la mediazione della critica e dell’articolazione discorsiva attraverso la semplificazione, lo svuotamento di significato, il ricorso all’emozionalità, riuscendo ad evadere qualsiasi possibilità di verifica su ciò che si asserisce. Chi osa esprimere critiche è definito retrogrado e accusato di frenare la competitività, si screditano così in partenza le sue istanze. Le porzioni di verde (di solito su soletta e di difficile fruizione) inserite nei progetti di trasformazione, ogni nuovo gruppetto di alberelli piantati di ForestaMi, le piste ciclabili disseminate qua e là, i minuscoli interventi di urbanistica tattica (area pedonali) sono oggetto di eccessiva enfasi mediatica, inaugurati in pompa magna, simulando uno sviluppo partecipato e attento alle comunità, per bilanciare la violenza delle grandi operazioni.
Anche la cultura e l’associazionismo diventano funzionali alla definizione dell’immagine di metropoli attrattiva
L’autrice si sofferma molto anche sul ruolo primario della cultura in questo processo e sulla terzosettorializzazione del sociale. La cultura a Milano è diventata una degli strumenti della valorizzazione immobiliare: dalle prime conversioni in spazi espositivi di aree dismesse di Pirelli e Prada, la cultura diventa un booster efficiente per il valore delle aree; inoltre il legame tra le trasformazioni e soggetti culturali (ad esempio Expo e teatro La Scala) crea un soft power con forte capacità di persuasione.
Allo stesso tempo le organizzazioni che raccolgono le proteste degli abitanti, che prodigano energie e servizi sul territorio sono state ingabbiate in un sistema di bandi, stimolato dalla finanza a impatto sociale o da fondi europei, che forniscono piccole entrate e un po’ di riconoscimento ad associazioni e attivisti; progetti calati dall’alto e non, come viene raccontato, mediati da una progettualità dal basso. Spesso un regime di privatizzazione di servizi e spazi allocati a privati e terzo settore, ma spacciati per tutela del bene comune. Il sistema dei bandi, ad alto tasso di burocratizzazione, sottrae energie e tempo al lavoro di ricerca e sul campo, frammenta la continuità del lavoro subordinandolo alla durata dei progetti, lo condiziona ideologicamente e avalla un generale definanziamento del welfare pubblico; oltre a neutralizzare la carica politica dei movimenti sociali. Una vera e propria cattura delle forze che potrebbero produrre attrito nel sistema e lotta alle diseguaglianze, forze usate anzi per “rivitalizzare” a livello molecolare quartieri, strade e piazze, in modo funzionale alle grandi trasformazioni.
Il meccanismo di propaganda sfugge alla percezione dei cittadini
D’altra parte i media, in cerca di sponsor e protezioni hanno allentato spontaneamente i principi deontologici, prestandosi alla grande propaganda dell’amministrazione. Propaganda che è riuscita a fare interiorizzare ai cittadini i valori che li rendono complici e subalterni, che è condivisa da una buona parte della classe media più agiata e che spesso ha convinto anche collettivi di artisti, lavoratori culturali, writers, centri sociali, che sono diventati indirettamente agenti della gentrificazione.
Milano modello da riprodurre?
La consapevolezza che il sistema di Milano incarna questa comunicazione ideologica a scala urbana, che ha sostituito quasi per intero l’intreccio dei sistemi politici, economici, sociali e culturali preesistenti, producendo una città diseguale, dovrebbe auspicalbilmente contribuire a demolire l’idea stessa che esista un “modello” da riprodurre altrove.
L’invenzione di milano. Culto della comunicazione e politiche urbane. Cronopio Ed., 2023, LUCIA TOZZI.
Lucia Tozzi è giornalista ed esperta di politiche urbane.