di Giuliana Cislaghi, Comitato Salviamo il Paesaggio Casorezzo.
Come tutti o quasi sanno, da circa venticinque anni a Casorezzo, paese a nord ovest di Milano, si combatte una battaglia contro delle cave che regolarmente vengono trasformate in discariche di rifiuti di ogni genere. L’area estrattiva interessata è quella a confine tra Casorezzo e Busto Garolfo, 70 ettari di terreni agricoli in cui dal 1969 sono stati scavati oltre due milioni e mezzo di metri cubi di suolo e sottosuolo. Nei fatti, per le aziende che si sono succedute nella proprietà dell’ATE, da Ecodeco a Ecoter a Vibeco- Solter, le attività di scavo sono sempre state solo funzionali al più lucroso affare dei rifiuti attraverso la creazione di discariche, dribblando abilmente la lacunosa normativa nazionale e regionale in materia nonché le pianificazioni territoriali compiacenti come i piani cave provinciali.
La popolazione casorezzese ha sottolineato ripetutamente le elevate criticità ambientali e le irregolarità degli innumerevoli atti autorizzativi, contrastandoli pubblicamente e nelle sedi istituzionali; negli ultimi dieci anni il contrasto ha riguardato principalmente il progetto della quarta discarica in territorio di Busto Garolfo, che inizialmente avrebbe dovuto essere riempita con amianto e poi definitivamente con rifiuti speciali (circa 150 CER). Il Comitato Salviamo il Paesaggio Casorezzo ha cercato di contrastare da subito anche le attività di un’altra discarica presente nell’area, chiusa infine nel 2022 dopo 26 anni dalla prima autorizzazione.
In aggiunta alle manifestazioni di piazza, alle assemblee pubbliche, agli articoli di stampa e agli aggiornamenti social, i Cittadini e l’Amministrazione hanno contrastato quest’ultimo progetto con ampie e documentate osservazioni alle conferenze dei servizi e con ricorsi ai Tribunali amministrativi contro la Ditta proponente e l’Ente autorizzante, cioè Città Metropolitana di Milano (ex Provincia di Milano): si contano infatti 14 ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato da parte dei Comuni di Casorezzo, Busto Garolfo e Parco del Roccolo e 10 ricorsi più una Mediazione ambientale per Comitati, Associazioni, Cittadini, oltre a svariate istanze di prelievo e di sospensiva cautelare. Con sei sentenze favorevoli e otto contrarie, tra cui le ultime due del maggio scorso, tutti i ricorsi in Consiglio di Stato ancora pendenti, i lavori per la costruzione della discarica mai interrotti e quasi finiti, possiamo considerare che l’assalto alla diligenza sia stato infruttuoso oltre che costoso.
La lettura delle sentenze, favorevoli e sfavorevoli, e soprattutto delle memorie difensive presentate da Città Metropolitana, lascia una profonda inquietudine. In tutti i casi il pensiero della gente e delle Istituzioni del territorio viene trattato con superficialità e supponenza, bollato ripetutamente come NIMBY, le argomentazioni ambientali e economiche superate con nonchalance, il grave conflitto istituzionale ignorato. L’ultimo ricorso dei Comuni e Parco del Roccolo è stato infatti sostenuto ad adiuvandum da altri ventuno Comuni del territorio; se si sommano questi ventuno ai sei Comuni appartenenti al Roccolo, abbiamo ben ventisette Amministrazioni comunali che osteggiano l’Ente sovralocale a cui appartengono, ovvero il 20% dei 133 Comuni che compongono Città Metropolitana di Milano, nel cui ultimo bilancio sono contem- plati i soldi per le spese legali sostenute, e da sostenere, contro i Comuni stessi.
Risulta evidente l’accordo a monte tra chi rilascia le autorizzazioni e il privato proponente che non ha nemmeno bisogno di difendersi. Prova ne sono le tre autorizzazioni reiterate in un solo anno dopo che due sentenze favorevoli ne avevano annullata la validità. Sentenze che contenevano i giusti suggerimenti per superare le opposizioni.
Che dire? No, dire o dichiarare fatti inconfutabili non si può. Pena vigliacche querele per diffamazione da centinaia di migliaia di euro, come è capitato poche settimane fa al Sindaco di Casorezzo.
Che fare? I giochi devono necessariamente continuare fuori dalle aule dei Tribunali amministrativi, alla ricerca di quella ‘pistola fumante’ che dimostri a chi di dovere i probabili danni ambientali provocati nel tempo dalle discariche; danni che, se dimostrati, potrebbero portare (il condizionale è d’obbligo) al sequestro dell’area e alla fine delle attività che vi si svolgono.
Noi del Comitato SIP Casorezzo abbiamo continuato a chiedere agli Enti competenti di aprire anche a consulenti terzi le indagini ambientali per la chiusura della vecchia discarica e di effettuare una approfondita caratterizzazione di tutta l’area estrattiva prima di autorizzare la nuova discarica; le risposte ricevute sono state elusive e, a nostro parere, poco trasparenti. Pertanto decidemmo di provare a fare noi quei controlli che ritenevamo dovessero essere fatti con le modalità che prevede la legge.
Nell’estate scorsa incaricammo, in accordo con il Sindaco di Casorezzo, un qualificato studio di consulenze chimiche forensi ad effettuare delle autonome indagini qualitative della falda acquifera, da tre pozzi usati per l’irrigazione dei campi, pescanti a livello della prima falda (20-30 metri dal livello del suolo), situati a monte e a valle (sud e sud-est) rispetto all’area estrattiva Rg17 e alle sue discariche. I risultati ci pervennero nel dicembre successivo allegati alla relazione tecnica in cui veniva certificato un elevatissimo inquinamen- to da cromo e cromo VI nel punto di prelievo del campo sportivo comunale di Casorezzo, posto a sud-est rispetto all’area di cava, nella direzione di falda proveniente dalla cava stessa.
A quel punto il Sindaco Oldani, informato dei risultati delle analisi, ha correttamente passato la pal- la agli organi di controllo per la ricerca della fonte del grave inquinamento, chiedendo una indagine di area vasta con la partecipazione di tecnici di parte comunale; a oggi i suddetti organi di controllo (Città Metropo- litana, ARPA) stanno tergiversando . In compenso la Ditta ha deciso di scrivere una querela per dichiara- zioni fatte dal Sindaco tre anni prima, guarda caso subito dopo la conferenza stampa in cui congiuntamente informavamo dell’inquinamento da cromo esavalente. Diffamazione o intimidazione?
Il suolo con la sua immensa biodiversità, l’aria, l’acqua, sono gli elementi che permettono la vita dell’uomo sulla terra, sono quei beni comuni che devono essere preservati e tutelati evitandone la preda- zione in nome del profitto di pochi.
La battaglia di Casorezzo, nel suo piccolo, esprime questi principi. NIMBY? Why not!